L’educazione come antidoto alla povertà, di Gerardo Villanacci

Tra le numerose e complesse problematiche del nostro tempo, quella della povertà assume un ruolo centrale poiché rappresenta il punto di collegamento tra il disagio post pandemico, la certezza di una incertezza futura e la fluidità delle scelte che soprattutto nell’ultimo decennio ha espresso la propria forza dirompente nella politica o per meglio dire nella incoerenza del voto. La difficoltà principale non riguarda l’accertamento della povertà, che peraltro è sempre esistita salvo accentuarsi a partire dalla nascita della società industriale fino a giungere alla ormai strutturata e insostenibile situazione dei nostri giorni, bensì la sua complessità dimensionale che, ai fini del suo contrasto, oggi più che in passato impone un’analisi storicamente contestualizzata dal punto di vista culturale, economico e sociale. In primo luogo è necessario prendere atto della ormai universalmente riconosciuta distinzione tra povertà assoluta e relativa.
La prima è rappresentata dalla carenza di risorse necessarie alla sopravvivenza e nel nostro Paese colpisce oltre 5,6 milioni di persone corrispondenti al 9,7% della popolazione. Una situazione inaccettabile per uno Stato moderno che non può fare altro che farsene carico attraverso ogni possibile forma assistenzialistica sociale volta a garantire «il bisogno minimo vitale», in quanto espressione più diretta della solidarietà collettiva. La povertà relativa, che ha allargato il campo di operatività del disagio, è invece caratterizzata dalla impossibilità di fruire di beni o servizi che nella normalità dovrebbero essere alla portata di tutti coloro che vivono nella stessa area territoriale. Si tratta di una forma di indigenza non meno insidiosa di quella tradizionale, che non riguarda aspetti reddituali di sopravvivenza ma limitazioni di opportunità che dagli interessati vengono percepite come disuguaglianza sociale.
Certamente si tratta di una caratteristica delle società più economicamente evolute dove l’elemento cruciale è quello della distribuzione del benessere e le priorità propendono verso bisogni immateriali. Per questa parte di popolazione, tutt’altro che marginale trattandosi di circa otto milioni di individui (dati Istat 2020), si può parlare di un definitivo superamento della concezione che considerava la povertà una questione legata unicamente alla insufficienza reddituale. Il disagio emerso a seguito del Covid-19 ha dato luogo, ad esempio, ad una povertà educativa che riguarda innanzitutto gli studenti il cui rendimento è caratterizzato da una scarsa performance dovuta principalmente ad una mancanza di interesse verso una qualificata prospettiva lavorativa futura. Tra quelli europei purtroppo il nostro Paese risulta essere quello nel quale è più difficile emergere da una condizione sfavorevole come comprovano i rari casi nei quali da famiglie svantaggiate si sono delineate condizioni di successo individuale per uno dei suoi componenti.
Per alcuni versi una vera e propria aporia se si considera che più di altre democrazie occidentali la nostra ha posto al centro della Costituzione il principio di uguaglianza (art. 3) erigendolo a condizione essenziale per lo sviluppo umano, per poi concretamente non sostenerne l’attuazione con ogni risorsa possibile. Una corretta disamina del fenomeno povertà consente di individuare gli elementi per fronteggiarla. In primo luogo lo strumento educativo la cui forza è documentata dal fatto che la povertà diminuisce al crescere del titolo di studio che si possiede. È su questo presupposto che devono essere profuse tutte le energie al fine di creare opportunità sociali per fare emergere il talento ed il merito.

www.corriere.it/opinioni/24_febbraio_02/educazione-come-antidoto-poverta-c8179ba2-c1f8-11ee-9739-9c6ba6d141e5.shtml

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