La sfida del governo è quella di un esecutivo che si ripromette la rivincita della politica sulla stagione dei «tecnici»
Una consultazione durata una decina di minuti è un record. Idem l’incarico a Giorgia Meloni arrivato a distanza di una manciata di ore, con la lista dei ministri pronta dopo ottanta minuti di colloquio col capo dello Stato, Sergio Mattarella. E stamattina il governo di centrodestra guidato dalla leader di Fratelli d’Italia giurerà, certificando la sensazione di un cambio d’epoca. Di colpo, la maggioranza che ha vinto il 25 settembre si è ricomposta dopo le convulsioni provocate da Silvio Berlusconi nei giorni scorsi sul tema dirimente dei rapporti con Vladimir Putin.
Ma la nuova stagione diventa vistosa soprattutto nella denominazione di alcuni ministeri; e nell’impronta cattolica e tradizionalista di scelte che annunciano una curvatura culturale radicale e inedita in anni recenti. A parte un fugace, ammiccante scambio di sguardi tra Berlusconi e il leghista Matteo Salvini mentre Meloni parlava a nome di tutti, l’udienza con Mattarella è cominciata e finita quasi fosse solo una formalità. E in fondo, negli ultimi giorni era diventata tale; complicata ma alla fine affrettata dalle mosse maldestre del capo di FI. La nomina del berlusconiano Antonio Tajani alla Farnesina e di Salvini alle Infrastrutture, entrambi vicepremier, blinda l’intesa. E fotografa un equilibrio non scontato.
La sfida del governo, tuttavia, comincia adesso. È quella di un esecutivo che si ripromette la rivincita della politica sulla stagione dei «tecnici». In realtà, il premier uscente Mario Draghi lascia in eredità un Paese più credibile a livello internazionale, e in crescita; e una soluzione abbozzata a Bruxelles nella notte, in extremis, sul tetto al prezzo del gas, che dovrebbe arginare la speculazione. Ma quello, ormai, sembra già passato. Comincia una fase totalmente nuova: per la destra, per la sinistra. E per il Paese. Si profila un’opposizione nebulosa, riformista e populista, frammentata e in conflitto.
E si affaccia una leadership femminile che proviene dalla «destra sociale» di minoranza: una doppia prima volta. Eppure, Meloni si presenta con cromosomi atlantisti perfino più evidenti del suo europeismo, incline a incrociare i nazionalismi continentali; e con una condanna netta dell’aggressione russa all’Ucraina che segna la continuità con Draghi. Da questo punto di vista, si candida a essere un punto di riferimento per Stati Uniti e Ue quanto e più di Salvini e Berlusconi. Ma anche più di alcune forze d’opposizione, come il M5S, che predica fedeltà euroatlantica ma dice no all’invio di aiuti militari a Kiev.
La politica estera sarà uno spartiacque dirimente: fino a che continuerà l’aggressione russa ma anche dopo. E lì si capirà quanto Meloni a Palazzo Chigi riuscirà a correggere le oscillazioni dei suoi due compagni di strada. Qualcuno ha indovinato in entrambi un filo di imbarazzo, se non di freddezza, mentre la leader di FdI comunicava la sua designazione «unanime». Ma l’unanimità era inevitabile dopo il risultato elettorale che ha fissato i nuovi equilibri del centro-destra, a tutto favore di Meloni e a scapito di Salvini e Berlusconi.
Eppure è chiaro che la compattezza della maggioranza andrà conquistata, verificata, misurata, rafforzata quasi giorno per giorno. Più che un appoggio convinto, si ha la percezione di un sostegno un po’ rassegnato da parte del resto della coalizione. Il piglio col quale Meloni ha resistito alle pressioni e agli scarti degli alleati conferma un temperamento da non sottovalutare. Ne ha dovuto prendere atto l’ex padre-padrone del centrodestra, Berlusconi. E Salvini se ne è reso conto quando ha dovuto rinunciare al Viminale. Il problema è come la nuova premier riuscirà a applicare il metodo usato nelle trattative; come lo farà valere quando dovranno essere prese decisioni difficili.
E soprattutto, come reagirà la sua maggioranza. Il «siamo pronti» ribadito con una punta di orgoglio anche ieri esprime la volontà di dimostrarsi all’altezza del compito. Le incognite sulla tenuta della coalizione, la scarsa dimestichezza col governo, e soprattutto una situazione economica e sociale che i più prevedono in via di peggioramento sono variabili «da far tremare i polsi»: espressione usata più volte dalla premier incaricata. I sondaggi la danno in ascesa anche dopo il 25 settembre: segno che le attese nei suoi confronti sono grandi, e positive.
Ma le esperienze del passato recente raccontano storie di leadership effimere e di elettorati volubili. La scommessa che comincia da oggi è quella di legittimare i nuovi equilibri con l’azione dell’esecutivo e i fatti, oltre che con i voti; e dimostrare che il governo Meloni è in grado di garantire l’Italia anche dopo l’uscita di scena di una personalità prestigiosa come Draghi. D’altronde, l’innesto di nove «tecnici» attenua una contrapposizione a volte strumentale. È un percorso segnato dalle incognite. Ma chi vuole bene al Paese deve sperare che la premier ce la faccia, allargando l’orizzonte della coalizione; e che l’opposizione la contrasti con durezza, ma privilegiando comunque l’interesse nazionale.