La fascinazione della forza, di Sergio Visconti

Le recenti vicende di Palazzo Montecitorio hanno in qualche modo rimesso al centro dell’attenzione della società italiana la Camera dei Deputati spesso snobbata perché, secondo un sentire diffuso, ritenuta luogo di inutilità politica. Questa, in realtà divenuta irrilevante anche a causa dell’eccessivo ricorso alla decretazione, soprattutto d’urgenza, del Governo, è tornata a prendere un ruolo di primo piano sul palcoscenico della politica nazionale. Per una ragione, soprattutto: l’esercizio della forza. In due occasioni. La prima, quando l’on. Donno è stato accerchiato e colpito con violenza a motivo della sua “provocazione” – così ha commentato la Presidente del Consiglio dopo qualche giorno dall’avvenimento del fatto – consistente nell’esporre una bandiera tricolore italiana. Gesto che, oltre alle parole proferite dai banchi dell’opposizione, voleva esprimere visivamente l’unità dell’Italia, messa in pericolo dal disegno di Legge sul regionalismo differenziato. Gli esegeti della vicenda, ripresa dalle telecamere e trasmessa sia sulle reti televisive che sui social, hanno anche avuto modo di capire e spiegare come uno degli aggressori, membro della maggioranza parlamentare, avesse scagliato un pugno con la precisione propria di chi pratica arti marziali. Dunque, l’esibizione della forza fisica ha preso il posto al dibattito politico, che dovrebbe essere fatto di argomentazioni, valutazioni e scontri verbali fondati sulla contrapposizione di idee politiche diverse, chiamate però a concorrere insieme al perseguimento del bene comune. La seconda, tutta di ordine politico, quando la maggioranza parlamentare approva al Senato il ddl sull’autonomia differenziata, senza ricercare di fatto un dialogo costruttivo con l’opposizione, vista l’importanza delle ricadute pratiche della legge.
Dunque, la ragione della forza contro la forza della ragione, come ormai si è costretti a ripetere sempre più frequentemente. Con una aggravante: l’esercizio della forza, reso ordinaria azione politica anche in un luogo sacro delle Istituzioni repubblicane nazionali – quindi sdoganato agli occhi di coloro che della forza hanno fatto e fanno uno stile di vita – rischia di divenire normale strumento di contrapposizione politica nella società civile. La Camera dei Deputati, abitata dagli “onorevoli”, e la piazza o la strada, abitata anche dai “militanti”. La strada dove due ragazzi “militanti” sono stati vittime dell’uso della forza da parte di chi, “militante”, non condivideva l’esposizione pubblica di simboli e rimandi politici e, probabilmente, si è sentito chiamato ad intervenire in maniera decisa e violenta per imitazione di quanto avvenuto in Parlamento. La forza, allora, per emulazione, ma anche per fascinazione, diviene strumento di lotta politica. L’Italia ha già vissuto il tempo tremendo della violenza espressa dalle BR e dai vari gruppi neo-fascisti. L’uso della forza per affermare visioni politiche contrapposte, visionarie le une, revansciste le altre: entrambe votate all’annullamento fisico dell’avversario politico, avvertito come nemico. A 100 anni dall’uccisione di Giacomo Matteotti, colpisce quanto è accaduto alla Camera dei Deputati. Non può lasciare indifferenti. Sembra che l’aggressione fisica consumata nell’emiciclo di Palazzo Montecitorio sia uno degli approdi – ce ne saranno altri di più gravi? – del crescendo di animosità politica che va caratterizzando l’attuale contesto politico e sociale nazionale, ma anche europeo. Una animosità che va ricercata nello stile adottato da molti dei leader di partiti e movimenti che si sono fatti strada nella cosiddetta “seconda Repubblica” in Italia e in Europa già sul finire dello secolo scorso. Sembra essere decisivo adottare uno stile da tribuno per infiammare i cuori e parlare alla pancia delle persone, comunicando in modo tale da alzare sempre più i toni del dibattito politico, specialmente quello pubblico, facendo di talk show televisivi, che garantiscono alla rissa verbale visibilità oltre che audience, il nuovo luogo pubblico di confronto politico. I cazzotti sferrati nell’aula della Camera dei Deputati è l’inquietante ultima conseguenza di uno stile, frutto di una visione politica, fondata sulle fondamenta della fascinazione: quella della parola e quella della forza, anche violenta. Uno stile che prende piede nella società soprattutto nei tempi di crisi, di difficoltà economica, culturale, politica e che, a ben guardare, mostra una natura ben precisa e riconoscibile: adattabilità ai tempi mantenendo intatta la sua natura violenta e illiberale. Una natura che, quando è espressa dalla parola, mostra di sé la sua densa capacità di seduzione; quando è tradotta in esercizio della forza, mostra la sua densa manifestazione di violenza. Fascinazione e seduzione come cifre di comprensione di una visione politica che è insieme concausa e frutto della crisi della democrazia. Nei passaggi di crisi propri della democrazia, cioè, si insinua il morbo della fascinazione e della seduzione che, quasi si trattasse di un processo fisico, tende a riempire il vuoto lasciato dal disimpegno alla partecipazione di molti, dei più, come si è misurato pochi giorni addietro in occasione delle Elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Fascinazione, seduzione e forza divengono strumento formidabile di esercizio del potere, di conquista del potere, che abbaglia la vista di molti rendendoli incapaci di scorgere la differenza tra forza e fermezza, tra seduzione e adesione, tra fascinazione e ragione. Questi elementi, funzionali alla conquista di un elettorato disposto sostanzialmente alla sudditanza, sono sempre presenti nella cultura politica della destra, specialmente se estremista. Sono spesso latenti, nascoste; sono brace che cova sotto la cenere; sono fiume carsico immerso nei meandri di cunicoli inimmaginabili, ma sempre pronto a riemergere.
Basta l’evocazione di un leader che assommi in sé anche la postura della carismaticità, spesso espressa in modo caricaturale. Così il gioco è fatto. E la forza, cioè la violenza prende la via della legittimazione. Un riconoscimento se non collettivo certamente da parte di quanti, stanchi della fragilità della democrazia e delle fatiche dello Stato democratico, scorgono in essa una strumento sopportabile per il raggiungimento del fine; dare vita ad una nuova forma dello Stato che riesca a dare risposte certe al tempo di crisi che affatica la quotidianità di molti. Eppure la fascinazione della forza ha sempre un obiettivo: imporre forme illiberali di governo, rompendo il rapporto tra cittadino e Istituzioni per crearne uno nuovo, quello tra cittadino e leader politico, spesso voce di quella fascinazione che prova a dare alla forza, cioè alla violenza, dignità di presenza nell’agone politico e nella società.

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