La bontà del pastore e la cattiveria dei mercenari, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio»
(Gv 10, 11-18 – IV Pasqua B).

In tempi di guerre in atto, o incombenti, chiedersi qualcosa sulle qualità di un vero leader può sembrare una domanda dalla risposta quasi impossibile. Diciamo che i leader autentici – di Paesi, istituzioni, amministrazioni, comunità e gruppi organizzati – sono veramente pochi. Molto sembra mutare rapidamente: relazioni, potere, politica, economia, religioni, a livello europeo come globale. E in questa mutevolezza epocale cambia anche il modo di esercitare le responsabilità verso gli altri, di essere leader, nel bene e nel male. 

La questione potere è sempre una chiave fondamentale. Gruppi, società e Paesi vanno bene dove i responsabili delle varie istituzioni, con la collaborazione dei cittadini, sono persone mature umanamente ed eticamente, sufficientemente competenti e disposte a farsi aiutare, e risolvere lei vari problemi. Ma produce più danni dove i responsabili sono  immaturi, riprovevoli dal punto di vista etico e incompetenti. E tante sono  le domande, che in materiai, ci poniamo. Per esempio su quanto, alcune guerre in corso, dipendono, anche, dall’immaturità, se non proprio follia, di chi le ordina. 

Nel linguaggio di Gesù il leader è il pastore, che si oppone, come modello e come prassi, al mercenario. Il primo conosce le pecore, le ascolta, ne ha cura, le difende, le guida, le riconduce all’ovile, offre la vita per loro; il secondo ruba, uccide, distrugge, abbandona la scena e fugge via quando le pecore sono in pericolo. Detto altrimenti, il pastore ama, mentre il mercenario odia; il pastore si prende cura e ha passione per gli altri, il mercenario trascura.

E’ ormai una moda parlare di leader, come di percorsi formativi per la leadership. Come tutte le mode culturali nasconde alcune analisi ed esigenze reali e, spesso, anche un sacco di chiacchiere. Leader, per diversi aspetti, si nasce e la formazione, necessaria e indispensabile, deve portare a sviluppare e migliorare doti naturali, già esistenti. Natura insegna che non tutto è per tutti. Leadership inclusa. Del resto basta osservare le passerelle dei politici italiani, di vecchia o nuova leva, e capire come, forse, metà di loro dovrebbe cambiare subito mestiere (a destra, centro o sinistra che sia). Pochi sono leader autentici e, come direbbe Gesù, molti sono mercenari. La domanda è: i percorsi formativi sulla leadership sono solo tecnici o aiutano anche a fare discernimento sull’assetto perverso del potere (mercenari) e quello positivo (bontà del pastore)?

Il discorso di Gesù sembra essere orientato a farci comprendere come la passione per gli altri – da tradurre come amore, tenerezza, aver cura, sguardo profondo – sia qualità fondamentale ed essenziale, non solo nella normale vita cristiana, ma anche in quella di responsabilità, cioè dell’esercito del potere, nella Chiesa come nel mondo. Evangelicamente non si può concepire un potere, che non sia esercizio di passione e intelligenza, cura degli altri e dono di sé. E come cattolici italiani, più che pensare a partiti e partitini da rifondare, dovremmo chiederci quanto i nostri leader cattolici (politici o preti o vescovi o responsabili di istituzioni varie) vivono il loro potere con come cura e dedizione al bene di tutti. I pericoli sono tanti, come i mercenari.

Per esempio quel tipo di mercenario cosi descritto: “Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, il potere, il successo, i primi posti nella nostra società”. Lo scriveva Ilario di Poitiers, molti secoli fa. Ce ne sono ancora in giro di mercenari del genere?

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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