I distretti sociali che sanno dare voce ai punti di crisi, di Aldo Bonomi

Da tempo siamo entrati nell’epoca in cui senza rappresentazione non c’è rappresentanza. E non è un invito al contarsi nello storytelling, ma al prendere atto che il sociale si muove carsicamente alimentandosi e raccontandosi in anfratti di civiltà materiale. Non aspetta più Godot. Cerca forme e saperi per rendere visibili gli invisibili e per attraversare il deserto cercando l’acqua per calmare l’arsura dei bisogni. Rimandano alla memoria del sottosuolo, di quelli che stanno sotto che «per l’ordine sociale è incompatibile affinché diventi compatibile e trovi spazio nel mondo», le due giornate di lavoro napoletane sul Fare Intraprese Sociali. Percorso organizzato un anno fa a Trieste, memoria viva degli incompatibili basagliani (Copersam, Coopoerative sociali Trieste) per riemergere a Napoli laboratorio a Sud del capitale sociale che viene prima dell’economico e per economie che si mettano in mezzo con Il forum diseguaglianze e diversità.
Movimenti carsici emergenti anche per la scienza triste dei numeri se alle giornate dell’economia sociale di Bertinoro lo statistico militante Guido Caselli ha stimato 450mila organizzazioni e in 1,9 milioni quelli al lavoro tenendo tra i denti tanto senso e poco reddito (più della filiera metalmeccanica). Il rapporto Terzjus di Unioncamere più nel dettaglio ci dice che il cosiddetto terzo settore diventa primo +4,9% nel fare impresa e ci svela militanza giovanile 22% e di genere, molte sono donne. Per capire come questa nebulosa, che diventa prima nei numeri e rimane terzo settore, forse occorre scomporre e ricomporre in un terzo racconto di territorio tra Stato e mercato i 5 punti emersi a Napoli «per identificare intraprese sociali: organizzazioni, associazioni, collettivi, comunità».
È interessante seguire il prender voce degli invisibili che da subito si chiedono se per contare di più e per trovare spazio serve più conflitto o più rammendo nel tenere assieme il sincretismo tra impresa e sociale. La risposta sta in quel “intra” messo prima di impresa che rimanda ad un confligger – rammendando una rete di esperienze che partendo dal capitale sociale interroga e chiede con forza un salto di paradigma alle economie. Facendo conricerca con gli invisibili aumentando la loro emancipazione che non può avvenire se non aumentando la loro capacitazione di prendere voce per andare nel mondo. È l’eterotopia del margine che si fa centro che presuppone rammendare, il mettersi in mezzo alle lacerazioni sociali degli ecosistemi. Lacerazioni delle diseguaglianze che presuppongono un ancoraggio alla coscienza di classe a cui aggiungere, in tempi di crisi ecologica, una coscienza di luogo per rammendare le faglie della terra.
Per ricreare e riprodurre bellezza del creato con creatività. Dandosi un racconto che vada oltre le buone notizie con metodi da “situazionisti” ponendosi in situazione per contaminare la società dello spettacolo con una ecologia della mente in tempi di intelligenza artificiale. Sono tracce ambiziose che in tempi di crisi e metamorfosi del welfare si ritrovano per attraversare il deserto delle risorse ad interrogarsi sul rapporto tra pubblico e privato per fare intrapresa sociale. Molto dipenderà da come questa moltitudine saprà fare non solo rappresentazione di sé, ma nuova rappresentanza interrogante e contaminante le strategie del pubblico facendo carovana.
Per intraprendere un esodo per trovare spazio nel mondo «tutto ciò che è sociale, mutualismo, cooperativo ha iscritto nel proprio codice il bisogno di generare senso e condividerlo» (Benasayag) e si ritrova nel caravanserraglio prima del deserto cercando senso a quell’intra collettivo del fare rete non virtuale, ma di cammino cercando l’acqua del senso e del reddito dell’intraprendere. I numeri fotografano una moltitudine desiderante. Ci sono i carovanieri del Novecento con le loro piste del cooperare e di rappresentanze codificate.
Ma sempre i numeri (Istat) ci dicono che i desideranti sono un sociale molecolare dove il 33% delle imprese sociali ha un fatturato che tocca i 5mila euro e passando il 13% ai 10mila, solo il 22% raggiunge la soglia dei 30mila!!! In dialettica con il pubblico e con un comunitarismo fondazionale (es. Fondazione con il Sud) ci sono tracce di distretti sociali che fanno oasi di senso e reddito. Tracciano nuove piste di attraversamento. Ma non bastano. Sono punti di una mappa utili per fare rappresentazione, ma non bastano per fare carovana di nuova rappresentanza. Sono le comunità operose di un “piccolo popolo” in divenire nella composizione sociale e in cammino dentro la crisi del welfare.

https://www.ilsole24ore.com/art/i-distretti-sociali-che-sanno-dare-voce-punti-crisi-AFD165LB?refresh_ce

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