I fatti di naufragio sulle coste del crotonese sono un punto di non ritorno per quella fetta di mondo che si proclama civile (cioè la nostra).
Sappiamo bene cosa dice la Costituzione a proposito della condizione giuridica dello straniero il quale provenga da Paesi in cui sono impedite le libertà democratiche; nulla dice però riguardo allo status del “disperato”.
Nessun sano di mente si metterebbe in viaggio su una imbarcazione clandestina.
Nessun sano di mente farebbe di sé un martire del Mediterraneo se sapesse di andare incontro a morte certa.
Nessun sano di mente vivrebbe una vita soggiogata laddove non è possibile fare rivoluzioni economiche o politiche per garantire le libertà democratiche.
Allora, immaginiamoci su un palazzo in fiamme, all’ultimo piano di un grattacielo, guardiamo giù dalla finestra: constatiamo che nessuno può salvarci con un bel materasso; possiamo salvarci solo cadendo sulla chioma di un albero.
L’Italia, per quei migranti, è proprio come quell’albero: una sorta di disperato tentativo di sopravvivenza rispetto ad una vita logora di sfortuna.
Anche io mi sarei messo su quella barca sperando in un albero in mezzo al mare. Impotentemente speranzoso, senza bisogno di una legge che me lo impedisca.
