Chicago, Hemingway e l’arroganza del ricco Epulone, di Eraldo Affinati

C’è un doppio passaggio di consegne nella Dilexi te fra Papa Francesco e Leone XIV: in senso pratico, perché questa esortazione apostolica cominciata da Jorge Mario Bergoglio prima che le forze gli venissero meno è stata ripresa e conclusa da Robert Francis Prevost, e in senso simbolico, in quanto l’amore verso i poveri nel cristianesimo non è un semplice tema da svolgere, ma il suo centro fondativo.
Dio si è fatto uomo scegliendo di nascere in una mangiatoia. Fra tutte le citazioni presenti nel documento basterebbe ricordarne una: «Beati i poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Luca 6, 20). Gesù povero, Gesù straniero, Gesù profugo, Gesù reietto, Gesù incompreso, Gesù emarginato, Gesù artigiano, Gesù spigolatore di grano, Gesù maestro itinerante. Gesù amore, potremmo aggiungere, come leggiamo in calce a ciascuna delle lettere di santa Caterina da Siena: lancinante cromosoma della letteratura italiana, misura e cadenza del nostro sentimento.
Non può sfuggire a nessuno il significato anche politico di un Papa nordamericano impegnato a raccogliere la staffetta, caduta a terra, da quello argentino, in uno scenario planetario che vede i poveri ancora una volta umiliati, offesi e sconfitti con una potenza triplicata rispetto al passato, in virtù del sensazionale sviluppo tecnologico al quale assistiamo.
Tuttavia l’invito evangelico a sottrarsi alla logica retributiva e strumentale che ci governa, cercando di far capire soprattutto ai ragazzi come donare abbia in sé la propria ricompensa, possiede un valore ulteriore, nella prospettiva indicata da Johann Baptist Metz, il grande teologo tedesco, il quale nella sofferenza delle genti andine, decifrò il volto stesso di Dio. Musica nelle orecchie di Prevost che proprio in Perú verificò di persona lo scarto, riaffermato in Dilexi te, tra filatropia e Carità, beneficenza e Rivelazione.
Ognuno di noi è chiamato a compiere un salto, sociale, geografico e spirituale, dall’opulento Illinois, radice familiare del Pontefice e Chulucanas, la diocesi dove Prevost operò come missionario. Chicago è stata la città di Ernest Hemingway e Saul Bellow, quando ci sono stato pensavo soprattutto a loro. I grattacieli come soldatini prussiani di Ludwig Mies van der Rohe, schierati marzialmente sul lago Michigan, mostravano ai miei occhi il fulgore e la tracotanza della modernità. Poi sul Magnificent Mile, dove sfilano ristoranti e alberghi di lusso, incrociando lo sguardo di un barbone seduto al semaforo, ho sentito tutta la possibile atrofia di quei capolavori in vetro e cemento armato.
Fra le tante suggestioni presenti in questa esortazione, molte delle quali relative alla storia bimillenaria dei numerosi testimoni, alcuni famosi, altri meno noti e quindi magari ancora più interessanti, sottolineo col pennarello rosso i concetti che vorrei approfondire: non c’è solo la povertà economica. Quelle culturali e morali possono essere altrettanto terrificanti.
La non conoscenza della lingua in un Paese straniero ci mette fuori causa. L’azione di soccorso è insufficiente se non produce vera conversione. Il rigore dottrinale senza misericordia rischia di trasformarsi in un discorso vuoto. È vero che la povertà ha una precisa causa strutturale, non è un destino, ma la logica conseguenza di processi egoistici tesi a potenziare alcuni a danno di molti, ma per san Francesco l’indigenza non era solo una questione sociale: per scendere da cavallo e baciare il lebbroso ci vuole qualcosa di più. Il chiostro non deve essere concepito come un rifugio dal mondo, altrimenti sarebbe soltanto un alibi interiore, bensì alla maniera di una scuola dove si impara a servirlo meglio.
Tutti i grandi educatori ci hanno dimostrato che non si può insegnare senza amare. I migranti ci guidano verso la carne di Cristo. Non dovremmo aderire alla prospettiva di portare Dio ai poveri, bensì trovarlo in loro. I modelli di successo ci conducono verso un muro cieco, privato, nel cortiletto chiuso del proprio interesse condominiale. A proposito di tutte le dichiarazioni sul merito: chi nasce con poche possibilità di sviluppo, vale forse meno in quanto essere umano? Come possiamo superare l’arroganza del ricco Epulone? Ad esempio, non dimenticando la vulnerabilità che i nostri anziani incarnano e ci insegnano. L’elemosina ti aiuta a guardare in faccia l’altro: sorta di apprendistato antropologico.
Intendiamoci: il benessere di per sé non deve essere concepito come una colpa. A patto che non lo si tenga solo per sé. I tesori nascosti avvizziscono. Questo oggi vale per tutti, come hanno sentenziato Papa Francesco e Papa Leone XIV, anche per la Chiesa.
Indimenticabile resta per me il modo in cui don Lorenzo Milani incise sulla propria carne Matteo 19,24 e Marco 10, 25. Due giorni prima di spirare, consumato dalla leucemia eppure luminosamente consapevole, il priore, trovò non so dove la forza e l’energia per avvisare i suoi scolari: «Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello passa nella cruna di un ago».

osservatoreromano.va/it/news/2025-10/quo-236/chicago-hemingway-e-l-arroganza-del-ricco-epulone.html

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