Anche l’Italia deve riconoscere lo Stato di Palestina. Ci sono ormai ragioni innumerevoli per cui è urgente e necessario. La prima, se si vuole, è quasi fatalistica: perché lo farà comunque, solo in ritardo, la direzione storica è segnata. L’occupazione di Gaza City ha rappresentato un salto di qualità ulteriore nell’offensiva militare che prosegue da due anni. Da sola, viola così tanti diritti umani e contempla così tanti crimini di guerra da rendere superato ogni dibattito sulla convenienza storica e il tempismo migliore. È ormai evidente, al di là delle schermaglie di parte, come la liberazione degli ostaggi venga utilizzata per giustificare nel modo più cinico possibile una guerra di espansione territoriale. Una parte del governo di Israele non si preoccupa nemmeno più di dissimularlo e ieri ha prontamente colto l’opportunità di questa iniziativa da parte di Paesi come il Regno Unito e il Canada per pretendere l’annessione della Cisgiordania.
È su questi punti, sulla constatazione di dove è arrivato il presente, che anche al governo italiano è richiesto un salto di qualità, il coraggio di svincolarsi da certi paradigmi fissi, ritenuti sacri, del nostro rapporto con Israele. Proprio come Israele si è svincolato dai paradigmi fissi e sacri del diritto internazionale. Come ha osservato Le Monde, il riconoscimento dello Stato di Palestina serve oggi, prima di tutto, a riaffermare il principio di autodeterminazione dei popoli. E a mantenere viva la possibilità della soluzione dei due stati, seppure minima, forse perfino ridicola ormai, e tuttavia l’unica che riusciamo a immaginare. Non intendo con questo non considerare le ragioni dei detrattori di uno Stato di Palestina proprio adesso. La principale è questa: Hamas organizza il 7 ottobre e il risultato finale è che ne esce premiato. In parte è davvero così, un paradosso, ma un paradosso apparente. Perché non è più soltanto così, e da parecchio. Come interpretazione trascura ventiquattro mesi di storia che nel frattempo sono avvenuti, decine di migliaia di vittime e il cambiamento di rotta che Israele per primo ha imposto alla sua azione. Trascura quelli che, ormai, sono dei fatti accumulati su altri fatti.
Lo ripeto: non è nemmeno una scelta reale quella che il governo italiano deve compiere e che infatti altri governi hanno già compiuto. È una via stretta, il modo più rapido per bucare la bolla d’immobilismo in cui ci troviamo. Per smuovere l’impasse diplomatico. Per rispettare un diritto. Per iniziare a risarcire il debito d’inerzia che l’Europa e l’Italia hanno maturato nei confronti del popolo palestinese. Per non consegnare tutta la frustrazione nei confronti di Israele alla popolazione, con tutti i rischi che comporta. Per non stare a guardare ancora, fermi, mentre avviene l’ennesimo esodo di massa forzato, dopo mesi di carestia e decine di morti quotidiane che sarebbero state evitabili. E per non ricordarci in futuro di non aver opposto a tutto questo, come paese, nemmeno un atto formale e giusto.
corriere.it/opinioni/25_settembre_21/stato-di-palestina-un-atto-giusto-contro-la-bolla-di-immobilismo-8b7622e3-533c-468c-8fea-d75d2762bxlk.shtml


