Negli stessi giorni, a fine ottobre, è uscito il libro The Seven Rules of Trust: A Blueprint for Building Things That Last (Crown Currency, pagg. 230) del fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, ed è stata lanciata Grokipedia, l’enciclopedia online voluta da Elon Musk con l’intento di creare un’alternativa a quella che ha liquidato come «Wokepedia».
Grokipedia non è la prima iniziativa a sfidare Wikipedia. Ci hanno per esempio provato Citizendium, che invece di consentire a tutti di contribuire si avvale di esperti, e Conservapedia che, come Grokipedia, ha prediletto un’inclinazione conservatrice. Nessuno di questi progetti è però fin qui riuscito a evolvere al punto da poter competere con Wikipedia. A vent’anni dal loro avvio, Citizendium comprende oggi 16mila voci, Conservapedia 60mila. In confronto Wikipedia (fondata cinque anni prima) ha oltre 300 edizioni linguistiche e in quella inglese 7 milioni di voci, è inoltre inserita in un ecosistema ampio e articolato di cui fanno parte Wikimedia Commons (per immagini e altri media) e Wikidata (base di dati strutturati oggi molto usata in ambito scientifico) che hanno ormai entrambi assunto dimensioni maggiori per numero di voci dell’enciclopedia libera.
Grokipedia marca un cambio di passo. Sviluppata con l’ausilio di intelligenza artificiale riusando (e “correggendo”) contenuti estratti da Wikipedia e altre fonti, è partita con 800mila voci. Il lancio arriva inoltre in un momento di trasformazione del web, dove l’accesso alle informazioni è mediato in maniera crescente da chatbot che recuperano e interpretano informazioni presenti online. Le fonti passano in secondo piano: leggiamo per lo più solo quanto Chatgpt e servizi equivalenti ci “dicono”.
La Fondazione Wikimedia ha riportato per il 2024 un calo degli accessi all’enciclopedia libera dell’8 per cento rispetto all’anno precedente. Continuiamo però a leggere molto di quanto c’è scritto in Wikipedia attraverso i chatbot, che ne riusano i contenuti. Per altro con costi consistenti che ricadono su Wikipedia e sulle fonti primarie, i cui server si trovano a gestire onerosi accessi non umani e saccheggi di dati.
In un ecosistema già frammentato da polarizzazione e bolle informative grazie ai social media, e ora messo alla prova dall’intelligenza artificiale e dalle sue allucinazioni, lanciare Grokipedia sembra un’applicazione della strategia che Steve Bannon ha chiamato “flood the zone with shit”.
Wikipedia non è certo perfetta. Ma si è data gli strumenti per superare i propri limiti: è anche per questo che la consultiamo. Può contribuirvi chiunque. È scritta e curata da volontari. È finanziata dai lettori. Usa i soldi che raccoglie per l’infrastruttura e per sostenere la Fondazione Wikimedia che si occupa del supporto istituzionale, tecnico e legale – dunque non dei contenuti. Permette di ricostruire e attribuire ogni singola modifica di ogni singola voce. Ti avvisa quando dovresti essere particolarmente cauto nel leggere perché la voce è solo abbozzata o manca di fonti. In generale, si è data l’obiettivo difficile ma chiaro di assumere un punto di vista neutrale: niente opinioni, solo fatti documentati e fonti attendibili, ovvero che per esempio riconoscono apertamente di aver dato un’informazione sbagliata. E applica una gerarchia delle informazioni basata sulla rilevanza – in pratica, non mette sullo stesso piano una teoria ridicola come il terrapiattismo e una dimostrabile e su cui converge il consenso scientifico. In caso di contenzioso, i contributori discutono – e anche le discussioni sono pubbliche. Il tutto con una licenza inequivocabile e aperta: i contenuti possono essere riusati come si vuole pur di citare la fonte (CC BY-SA).
Per contro, Grokipedia è prodotta da xAI, società di Musk. È stata generata artificialmente, difficile risalire al materiale d’origine dei testi e identificare eventuali contributi umani. Non è chiaro con quale licenza siano rilasciati i contenuti, salvo che per quelle voci dichiaratamente riprese da Wikipedia e che di quest’ultima riprendono la licenza. Le ricostruzioni fattuali su temi sensibili risultano di parte, come sottolineato subito da stampa e organizzazioni non governative (mentre esulta chi crede che l’intelligent design sia una teoria accreditata scientificamente) e le fonti sono talvolta usate impropriamente: così, nella voce sul cambiamento climatico, le fonti linkate nel sommario iniziale dove si accenna a presunte controversie sottolineano al contrario il consenso scientifico sulla sua origine antropica. E naturalmente non è possibile contribuire – è solo permesso a utenti registrati di segnalare errori e… sperare.
Insomma, da un lato un bene comune, dall’altra il prodotto di un’azienda.
Oggi l’enciclopedia libera è sotto attacco – a parole, con minacce ai wikipediani, e con Grokipedia. Cosa c’è di così pericoloso in Wikipedia?
L’enciclopedia libera si distingue per essere uno dei rarissimi luoghi in cui convergiamo, a prescindere dalle nostre convinzioni, preferenze e valori. In secondo luogo, Wikipedia è scritta da esseri umani, in un contesto di crescente produzione di contenuti generati in maniera opaca. Wikipedia poi mantiene un legame diretto con le fonti primarie (archivi, istituzioni culturali e scientifiche: la studiosa Iolanda Pensa le definisce “l’esercito della conoscenza”), ancorando il sapere a dati concreti e verificabili. Imparare a valutare la qualità delle informazioni dovrebbe essere più che mai una priorità educativa, così come nell’interesse di tutti prendersi cura dei repositories aperti di dati.
Come la scienza e la democrazia, Wikipedia è una di quelle costruzioni umane imperfette ma intrinsecamente perfettibili, che prosperano fintanto che c’è fiducia. Questa è il focus del libro di Jimmy Wales. Fondato su teorie e studi scientifici che dimostrano inclinazioni umane e convenienza collettiva alla cooperazione, alla trasparenza, e, appunto, alla fiducia, Wales illustra sette principi necessari per coltivarla, e celebra le potenzialità che una comunità intraprendente e industriosa che si nutra di fiducia e implementi alcune regole pragmatiche per tutelarla può esprimere. È l’ingrediente chiave che ha permesso a un progetto come Wikipedia di prosperare – potenzialmente una bussola per una politica non populista.
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