Politica, fede, cultura: la fragilità provvidenziale, di Marco Staffolani

La fragilità (provvidenziale) di politica, fede e cultura. Il tema è stato affrontato in un dialogo tra il teologo Giuseppe Lorizio e il filosofo scrittore Marcello Veneziani il 9 aprile 2024 presso la società Dante Alighieri di Roma, per il ciclo Spiriteco («spiritualità» in esperanto). Gli incontri, organizzati in collaborazione con l’Ufficio per la Cultura del Vicariato di Roma e la Fondazione Mira, hanno «l’intento di riportare in un’epoca purtroppo arida e povera di verità, la spiritualità al centro dell’uomo».
Come indicato dai moderatori Isabel Russinova e Gianni Todini, direttore di Aska News, il titolo dell’incontro, «Egemonia culturale? La politica tra fede e cultura», ha al suo interno un punto interrogativo che rappresenta la difficoltà interpretativa del nostro areopago.
Strettamente parlando, l’egemonia culturale indicherebbe una qualche forma di «dominio» da parte di un gruppo o di una classe sociale, sfruttando ad esempio il potere mediatico, per inculcare punti di vista propri che la grande massa dovrebbe interiorizzazione, creando così il presupposto per il condizionamento delle sue decisioni e azioni.
Fragilità
Il teologo Giuseppe Lorizio mette subito in evidenza la fragilità come chiave di lettura delle tre realtà coinvolte nella discussione. C’è una fede fragile, per cui dobbiamo vigilare sul rapporto tra i cristiani e il loro maestro Gesù Cristo. Nonostante le statistiche dei sociologi misurino un aumento mondiale del cattolicesimo, che tocca cifre globali dell’ordine del miliardo e 300 milioni di credenti, tale avanzamento si verifica maggiormente in terra africana e in America Latina, mentre nella cara e vecchia Europa la «fede» (almeno numericamente) è in calo.
Lorizio chiede di guardare oltre i numeri e comprendere la qualità della fede nelle diverse zone: nella cultura europea il cristianesimo è già approdato a contrastare i fondamentalismi e gli integralismi, perché gli europei, con la loro storia, hanno già vissuto un periodo di purificazione, cosa non sempre vera per gli altri contesti in crescita, dove la tentazione dell’identità contrapposta all’alterità (verso chi non crede, o non crede allo stesso modo) rischia di cadere in una mancanza di carità, anche con atteggiamenti  violenti.
È vero che in Europa la modernità si è contrapposta al credere, ma è pur vero, ricordando gli insegnamenti di Benedetto XVI, che quando la ragione non è accecata da interessi e dalla volontà di potere è la fede che può purificarla, perché possa vedere e decidere correttamente, ma anche annotava il pontefice la ragione può svolgere il ruolo di purificazione della religione.
Anche la politica è fragile. La partecipazione al voto elettorale, come l’attenzione alla polis in quanto bene comune, guardando alla nostra Italia, sono diventate marginali nella mente dei nostri contemporanei, in particolare risulta quanto meno preoccupante il fenomeno tra le nuove generazioni.
E non è messa bene nemmeno la cultura, per cui un’altra fragilità da cui la nostra società, secondo un’espressione di Veneziani, è affetta sarebbe quella di un’«egemonia inculturale» o ancora «a-culturale», tanto che capita che sia premiata, o addirittura sembra prevalere, l’esatto opposto della cultura, cioè l’ignoranza!
Egemonie culturali
Per il teologo Lorizio, alla domanda se possiamo arrenderci di fronte a una società priva di cultura, la risposta deve essere categoricamente negativa, pena non solo il declino di questo popolo europeo ma anche, più profondamente, l’incapacità di comprendere le culture degli altri, ad esempio emergenti come quella africana, latino americana ecc.
L’incontro tra le culture non si può ridurre alla carità temporale di rosminiana memoria (sempre lodevole e comunque necessaria nelle emergenze, come prima accoglienza sociale) ma deve andare oltre ed inverarsi in una carità intellettuale, con la progettazione di un futuro umano e solidale, nella varietà di coloro che abitano da sempre la terra che accoglie, e col rispetto da parte di coloro che chiedono di condividerne le ricchezze.
Lo scrittore Veneziani ripercorre le tappe dell’egemonia culturale in Italia, individuando tre fasi salienti. Nasce con Gramsci e con l’esigenza di opporre una egemonia altra al pensiero idealista di Gentile e di Croce. L’ideale di fondo, politico-filosofico, era quello del collettivo del partito, e l’intento era di portare un pensiero illuminista alle masse, e per fare questo si agiva soprattutto attraverso il controllo di alcune case editrici. Nel ‘68 si registra una seconda fase in cui le università si aprono ad altre tematiche, soprattutto costume e società. Non si punta più alla conquista delle case editrici, ma alla società stessa, e un mezzo privilegiato diventano le testate giornalistiche. Si sostituisce il pensiero comunista con un pensiero diffuso, l’idea che c’è un ceto che guida questa nuova rivoluzione.
E finalmente si arriva ai giorni nostri in cui viviamo un’egemonia «strana», quella caratterizzata dal politically correct. Si sostituisce la realtà con un’altra visione del mondo, in cui serpeggia l’ideologia woke, che quando è retroattiva diventa cancel culture. Questa terza egemonia non porta con sé un vero e proprio pensiero, piuttosto punta alla sostituzione della realtà con una narrazione ideologica, finalizzata alla supremazia di un ceto politico che decreta i pensieri da tenere come progressivi e quelli da scartare come regressivi.
Veneziani constata che quasi nessuno si è opposto a questa situazione, e anche la Chiesa (salvo qualche lodevole eccezione) se ne sarebbe tenuta fuori. Il quadro è preoccupante, siamo in una fase di deculturazione di massa, dove chi tenta di fare cultura è ritenuto obsoleto.
La Chiesa: luogo di culto e di cultura
Il teologo Lorizio conferma questa «latitanza» dei cattolici nel dibattito culturale ricordando il titolo ad effetto di un incontro tenuto in una diocesi calabrese, «prete, uomo di culto o cultura?». Se si interpreta quell’«o» come aut aut si cade in una pericolosa logica binaria, rischiando di dimenticarsi della cultura rifugiandosi nel culto, mentre realisticamente le parrocchie possono ancora essere luoghi di aggregazione culturale. Nella dimensione della esculturazione, il teologo invita a mettere in campo comunque la fede. Se il cattolico manca a questo «appuntamento sociale» mancherà anche una parte della cultura. E questo per evitare che le chiese diventino musei, o luoghi nei quali si fanno solo concerti, fossero anche di musica sacra.
La chiesa, anche ricordando un’etimologia comune, deve tornare ad essere luogo e di culto e di cultura. Non c’è culto senza cultura, e non c’è cultura senza culto.
Veneziani ha offerto alcuni suggerimenti per affrontare questo clima deculturalizzante riprendendo in mano il concetto di civiltà che fa meditare sul rapporto con la natura (e in particolare con il sintagma «natura umana», come  portatore di una sua propria dignità) sul rapporto con la storia (se si perde la memoria storica, si perde ogni paradigma che possa raffrontare l’uomo di oggi con quello di ieri, e se si perde la tradizione si perde il  ponte tra generazioni) e poi il rapporto con il pensiero meditante come antidoto al pensiero analitico  e calcolante che non affronta il fascino e il problema del mistero della realtà. Il rischio, senza l’esercizio di queste quattro dimensioni di civiltà è quello dell’alienazione sotto il potere dell’egemonia.
È stato ulteriormente approfondito il rapporto con la politica da parte del teologo in una intervista rilasciata a Radio Vaticana il 5 aprile scorso. Alla domanda su come debba essere l’impegno dei cattolici in politica, Lorizio premette che Gesù di Nazaret non è stato un messia politico (a differenza di altri leader religiosi, da Confucio a Mohammed). Come riferimento va preso il detto evangelico «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», dunque di una reciproca libertà tra la sfera politica e quella religiosa.
Se dunque il cristianesimo non si configura come una «religione del Libro», deve rimanere il fatto che la Bibbia deve essere fonte ispiratrice per la società e mediare, attraverso la cultura, i valori etici di cui i cristiani si fanno portatori, e che condividono con il mondo.
Politica e profezia
Altro interessante spunto è venuto dalla constatazione di una situazione politica italiana confusa, in cui i partiti e i governi cadono facilmente e dunque sulla difficoltà per i cattolici di identificarsi in un partito specifico che li rappresenti, e non secondario, anche il fatto che l’ordinario esercizio del diritto al voto viene sempre più disatteso.
Il teologo afferma che la piaga dell’astensionismo si può risanare solo con la credibilità. Il cattolico italiano si trova di fronte ad una politica che da un lato afferma con forza i diritti fondamentali per la vita nascente e per il fine vita, mentre dall’altro parla di accoglienza degli emigranti, della carità come esercizio pratico e attuale, dell’attenzione alle povertà del territorio, della tutela dei diritti soprattutto di chi veniva escluso da essi.
All’interno di queste due grandi compagini politiche, i cattolici dovrebbero avere un ruolo profetico, per integrare i valori del cristianesimo espressi su entrambi i fronti (che sono sicuramente anche valori umani, di dignità della persona, di accoglienza ecc.) Purtroppo, accade spesso, e questo è da deprecare, che vengano strumentalizzati simboli religiosi per attirare il consenso popolare.
Altra questione spinosa, è quale etica un politico cattolico debba seguire entrando in un partito che non rappresenta totalmente i valori cristiani. Lorizio risponde lapidariamente che c’è bisogno di un’etica umana e che non esiste un partito perfetto che esprima in maniera integrale i temi dell’etica cristiana.
Ma anche: non c’è nessun partito che non abbia o non esprima dei valori. Ad esempio, si possono giustamente rinvenire da una parte l’identità, la libertà, la tradizione. Ma dall’altra possiamo trovare la giustizia, l’accoglienza, l’inclusione.
Il compito del cattolico allora sarà quello di tenere insieme questi aspetti. Il cattolico che milita in un partito, che appartenga all’una o all’altra compagine, potrà e dovrà, all’occasione, anche andare controcorrente assumendosene la responsabilità, facendo rete con gli altri cattolici presenti nella stessa compagine, e, perché no, anche in maniera trasversale secondi i temi da trattare.
Per questo rimane sempre importante il voto segreto, di fronte ad argomenti di rilievo etico, perché venga rispettata la coscienza di ciascuno piuttosto che l’assolutizzazione della logica di partito. Essa deve rimanere come riferimento principale, ma l’attività politica del singolo deve avere a che fare in primo luogo con la sua coscienza, sacrario inviolabile.

settimananews.it/cultura/la-fragilita-provvidenziale/

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