Ha messo tutti di fronte ad una tragica realtà e ha raccontato come la storia potrebbe prendere una piega differente. Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, alla Assemblea generale delle Nazioni Unite, in un discorso finito nell’oblio dei media mainstream di tutto il mondo, ha dato una lezione a chi sta seppellendo l’Onu sotto sovranismi e guerre, contraddicendo ogni giorno i principi del diritto umanitario e facendosi beffe di quel multilateralismo, che sempre più a fatica resiste ai colpi della frammentazione globale. L’Onu compie ottanta anni e il tema scelto per l’Assemblea n°80 del grandioso anniversario non assomiglia nemmeno più ad un auspicio: “Meglio insieme: 80 anni e oltre di pace, sviluppo e diritti umani”. Prima di Gallagher sul podio più alto del Palazzo di Vetro molti sono saliti a certificarne il fallimento. C’è voluta la diplomazia della Santa Sede per indicare che la rotta può ancora cambiare e che è meglio stare insieme, richiamando al dialogo, al multilateralismo e al disarmo in tutti gli scenari di crisi. Gallagher ha spiegato che senza “azione collettiva” non si combatte la povertà, non si promuovono i diritti umani, non si arriva alla pace: “L’isolazionismo porta ad una imprevedibile instabilità”. La preoccupazione della Santa Sede a 80 anni dalla nascita delle Nazioni Unite non è mai stata così intensa tra tensioni geopolitiche, crisi climatica e diseguaglianze. Sono i pilastri della comunità dei popoli che rischiano di crollare. Gallagher ne indica tre, quelli che tengono in piedi l’idea che un mondo diverso è possibile: “Pace, giustizia e verità”. Spiega che si tratta dell’ “ordine voluto da Dio” non per rivendicare una sorta di imprimatur religioso, ma perché questa è l’unica via che porta alla “fraternità”: “Fare la pace esige che si rifiutino vendetta e odio”. Per questo la Santa Sede, precisa “loda chi costruisce ponti che superano le divisioni con mezzi non violenti” e “atti coraggiosi”. Ma poi va al cuore del problema, quello delle risorse, perché la pace ha bisogno di organizzazione e il dialogo di iniziative e per la pace occorre maggiore eguaglianza e una diversa distribuzione della ricchezza. La proposta di una Fondo globale per “sradicare la povertà e la fame, promuovere sviluppo sostenibile e affrontare il cambiamento climatico” è decisivo per una “pace duratura”. Lo ripetono i Pontefici da decenni, ma sono parole che disturbano chi pensa che solo preparando la guerra si possa fare pressione per la pace. La diplomazia della Santa Sede è rimasta l’unica a denunciare che “il massiccio riarmo compromette” l’obiettivo di “creare fiducia”. Le parole di Gallagher sono risuonate solitarie nell’emiciclo globale dove oggi siedono coloro che via via si ritirano dai Trattati di disarmo, li ritengono accordi segnati dalla debolezza, frutto di un’epoca fiacca, che ha portato solo insicurezza. Lui invece non ha esitato ad indicare la cifra della vergogna globale, che il mondo finora non aveva mai raggiunto, traguardo drammatico e dono disonorevole degli Stati per il compleanno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite: 2,7 trilioni di dollari. Il conto è del Sipri di Stoccolma, il più accreditato Istituito di ricerca e analisi sulle spese militari globali. Gallagher subito dopo ha aggiunto le parole di Papa Francesco nel suo ultimo Messaggio Urbi et Orbi, il 20 aprile, domenica di Pasqua il giorno prima di morire: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo!”. E’ la questione centrale, la madre di ogni ragionamento sulla fraternità, il dialogo e la pace. Il capo della diplomazia vaticana ne rileva la ragione di “imperativo morale”, poiché ha a che fare con la sacralità della vita, ma al Palazzo di vetro sottolinea anche la “necessità politica e strategica” del disarmo, cioè esattamente ciò di cui nessuno vuole sentire parlare. Chiede di ridurre le scorte delle armi convenzionali e nucleari, chiede di operare al contrario di quanto sta accadendo in ogni Paese, perché la sicurezza si basa sulla fiducia e non sul rancore in punta di drone. Ma oggi gli acronimi dei vari Trattati di non proliferazioni sono spariti dal vocabolario delle Cancellerie. Gallagher all’Onu li mette in fila perché almeno non se ne perda la memoria nella coscienza (cattiva) dei leader. E ripete numeri spaventosi: 12 mila testate nucleari, cioè 1,5 gigatoni di potenza, più di 100 mila bombe di Hiroshima. Poi c’è il resto, dalla fame come nuova arma all’economia che uccide al linguaggio d’odio, risultati nefasti e crudeli delle trasformazioni diventate via via minacce per la vita umana, davanti alle quali, ha ammonito la diplomazia vaticana all’Onu, nessuno può considerarsi assolto.
Da: ecodibergamo.it/ del 2 ottobre 2025


