La voce di Hind, la voce delle vittime, di Rocco D’Ambrosio

Ho visto il film “La voce di Hind Rajab”, sulla tragedia dei piccoli di Gaza. Da non perdere. Fa molto riflettere e pensare. E piangere. Ci vorrebbe un film del genere per ogni popolo che soffre la guerra specie sulla pelle dei piccoli e degli indifesi. Per ricordare e non dimenticare mai.

Non dimenticare mai le colpe di quelli che progettano e attuano guerre, violenze, genocidi, abusi, speculazioni sulle armi e cattiverie di ogni tipo. Non importa a quale etnia appartengano, non importa a quale religione appartengano, non importa da quale cultura provengano: sono cattivi e pieni di odio. E una delle maggiori prove è lo scatenarsi della loro cattiveria verso piccoli e indifesi.

Diventano sempre più insopportabili tutte queste polemiche “anti” o “pro”: che riguardino Israele o Palestina, Ucraina o Russia o diversi altri popoli segnati da violenze e guerre continue, poco importa. Queste polemiche moltiplicano le tante polarizzazioni già presenti, che chiudono cuore e mente a un dialogo sincero e proficuo. E, infine, favoriscono le guerre e le ingiustizie.

Un popolo ha meriti in più non per la provenienza, non per il colore della pelle, non per il numero delle ferite o dei colpi mortali subiti. Un popolo è degno di essere ricordato per la giustizia e la pace che ha promosso, per aver limitato al minimo l’uso della forza, cioè solo per difendersi dalla barbaria altrui e mai per attaccare eccessivamente e follemente. Ma un popolo non è mai un’unità compatta: in esso ci sono giusti e ingiusti, pacifici e violenti, onesti e ladri, solidali e razzisti e via dicendo. Per questo l’unico schierarsi eticamente accettabile è quello dalla parte di chi promuove onestamente giustizia e pace e, allo stesso tempo, dalla parte di chi è vittima della mancanza di giustizia e di pace, qui come ovunque.

Credo nella politica. Non quella degli show, siano di Trump, Netanyahu, Putin, Meloni, Salvini o chi per loro. La politica è una cosa seria e questa gente, tranne nobili e rare eccezioni, di serio ha ben poco: ha solo interesse a tutelare il proprio ego fuori misura, a favorire parenti e compagni di merenda e di affari, a rivincere le elezioni per accrescere questi interessi, a spargere propaganda politica che non ha niente da invidiare ai peggiori sistemi totalitari o dittature del ‘900, di destra o sinistra che siano.

La politica è dialogo che trova e ritrova unità radicandosi sempre più nei principi etici alti della Carta Costituzionale e della Dichiarazione Universale dei diritti Umani. E non hanno solo colpa quei politici che non conoscono questi principi o li calpestano continuamente; hanno anche colpa tutti i cittadini che non si formano su questi principi e votano chi, come loro, è ignorante, maleducato civilmente, razzista, violento, genocida. Oppure, ancor peggio, sanno di che pasta sono quelli che votano, ma li votano lo stesso perché lo sfascio e la guerra, la dissoluzione e il baratro, se mi sono garantito alcuni interessi vitali, mi interessano ben poco, anzi potrei anche sfruttarli per il mio tornaconto, per esempio in armi e ricostruzione.

Il deficit formativo ed etico aumenta a dismisura nelle scuole e università come nelle famiglie e nelle associazioni, nelle comunità di fede religiosa come nei contesti laici. La formazione si fa raramente; si preferisce l’indigestione di eventi (laici o religiosi o sportivi che siano) purché facciano pensare poco e distrarre e divertire molto. La formazione è quasi scomparsa e il volontariato è in crisi. In altri termini si educa poco a dare e ad essere solidali e accoglienti e, unitamente, si fa poca esperienza nell’incarnare i principi fondanti di une democrazia. E in questo quadro ci meravigliamo se aumentano guerre e violenze?

Sono anche stucchevoli i riferimenti continui alla speranza, ridotta a surrogati stupidi o palliativi ridicoli, senza senso né fondamento. “La speranza è la passione per ciò che è possibile”, ha scritto Søren Kierkegaard. Ed è possibile salvare Hind Rajab, costruire più pace e più giustizia ovunque. Ma ci vuole più passione.

Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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