«Bisogna evitare il pregiudizio che la crisi ambientale sia un tema settoriale. Non lo è: tocca il senso stesso della nostra convivenza umana. Viviamo in una ‘casa comune’ in cui le relazioni tra persone, società e ambiente sono profondamente intrecciate. Papa Francesco ha avuto una intuizione molto lucida al riguardo. L’impatto dei cambiamenti climatici, della perdita di biodiversità, della crisi idrica e dell’inquinamento non si misura solo in termini ecologici, ma anche sociali, economici, culturali. Per questo, l’ecologia è parte integrante della dottrina sociale della Chiesa: riguarda il bene comune e la giustizia. Non basta intervenire tecnicamente; occorre una conversione culturale e spirituale che ricomponga il legame spezzato tra noi e il creato».
Padre Antonio Spadaro, ex direttore de La Civiltà Cattolica, gesuita, teologo, giornalista, saggista, entra così nel cuore della grande rilevanza globale delle questioni ambientali e di cura del Pianeta nella nostra era contemporanea. In questo dialogo con Pianeta 2030 del Corriere della Sera, Spadaro affronta la rilevante questione dell’ecologia integrale, spiegando le posizioni di Papa Francesco e del nuovo pontefice Leone XIV, al centro anche del suo nuovo libro Da Francesco a Leone, (edito da Edb). Il teologo, inoltre, nel corso della conversazione mette in connessione molteplici aspetti, con una visione di ampio respiro e affronta anche i cambiamenti climatici in Sicilia e nel Mediterraneo, la genesi dei “negazionismi climatici” ed altri argomenti di stretta attualità.
Può dirsi che Laudato si’ di Papa Francesco abbia avuto un impatto rilevante sulle posizioni della Chiesa cattolica?
«Voglio ricordare che già Paolo VI nel 1971 nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens aveva tuonato contro lo ‘sfruttamento sconsiderato della natura’, fino a distruggerla e ad essere a sua volta vittima di questa degradazione. Parlava del rischio di creare un ambiente intollerabile per l’essere umano. E così i papi seguenti hanno fatto sentire la loro voce. La Laudato si’ di Francesco ha segnato un vero e proprio salto qualitativo. Non si limita a elencare problemi come il cambiamento climatico: propone una visione unitaria, l’ecologia integrale, che lega insieme giustizia sociale e giustizia ambientale. Il metodo è innovativo: parte dai dati scientifici, li legge alla luce della tradizione biblica e patristica, li integra con il magistero dei predecessori e con il dialogo ecumenico e interreligioso. Questo approccio, ampio e olistico, ha reso la questione ambientale un capitolo stabile della dottrina sociale della Chiesa, indicando che non c’è cura della natura senza cura della dignità umana e viceversa».
Sul piano storico e teologico vi è l’ispirazione al pensiero di San Francesco?
«Francesco d’Assisi è il riferimento simbolico e spirituale dell’enciclica. Per lui il creato era fraternità universale: il sole, la luna, l’acqua, il lupo erano fratelli e sorelle. Questa non è un’immagine superficiale, ma una teologia radicale che rifiuta la logica del dominio e propone quella della relazione. Francesco vedeva il mondo come ‘veste senza cuciture’ di Dio, e questa visione è ripresa nella Laudato si’: se ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiscono spontaneamente. ‘Tutto è connesso’ è il senso profondo dell’enciclica».
Vi è un parallelismo tra la visione ecologica di Papa Francesco e la sua attenzione alle periferie esistenziali?
«Sì, e il legame è molto più profondo di quanto possa sembrare a prima vista. In Laudato si’ Papa Francesco afferma che ‘il grido della terra e il grido dei poveri’ sono un unico grido. Non si tratta di una semplice analogia retorica: è una diagnosi teologica e pastorale. Le periferie esistenziali , quelle zone del mondo e dell’esperienza umana segnate da povertà, emarginazione, esclusione, sono anche i luoghi dove gli effetti della crisi ecologica si manifestano con maggiore violenza. Le comunità prive di risorse sono spesso costrette a vivere in aree inquinate, vulnerabili a inondazioni o siccità, prive di accesso sicuro all’acqua potabile e ai servizi sanitari. Qui l’ingiustizia sociale e quella ambientale si alimentano reciprocamente: il degrado dell’ambiente accelera il degrado delle condizioni di vita, e viceversa. Francesco rifiuta di separare queste due dimensioni, perché vede che entrambe nascono da un medesimo paradigma culturale ed economico: quello dello scarto, che riduce le persone a variabili sacrificabili e la natura a risorsa da sfruttare. Per questo la sua visione ecologica non è ‘verde’ in senso riduttivo, ma integralmente umana: parlare di ecologia significa parlare di dignità, diritti, lavoro, salute, pace. Così, curare il creato non è per lui un’aggiunta opzionale all’impegno per le periferie, ma un aspetto inscindibile della stessa missione evangelica. La periferia geografica o sociale e la ‘periferia’ ecologica sono due volti dello stesso confine: luoghi dove il Vangelo chiede di abitare, ascoltare, guarire, riconciliare. In questo senso, la sua ecologia integrale è anche un’opzione preferenziale per le periferie esistenziali, perché solo intervenendo insieme sul degrado ambientale e sull’esclusione sociale si può spezzare la spirale che le tiene prigioniere».
Qual è la posizione di Leone XIV sulle questioni ambientali?
«Nel mio libro Da Francesco a Leone ho evidenziato che Leone XIV prosegue e approfondisce il magistero di Francesco. E questo anche sulla custodia del creato. Ha presieduto la prima ‘Messa per la custodia della creazione’ nel Borgo Laudato si’ di Castel Gandolfo, celebrando nella ‘cattedrale naturale’ del Giardino della Vergine Maria. Ha invitato a pregare per la conversione di chi non riconosce l’urgenza di curare la casa comune e ad avere l’audacia di opporsi ai poteri distruttivi, ricordando che la missione della Chiesa è ascoltare il grido della terra e dei poveri. Ha più volte ribadito che la crisi ambientale è una crisi di relazione con Dio, con gli altri, con la terra , e che la risposta richiede una ‘conversione dello sguardo’ capace di vedere il creato come dono e non come risorsa illimitata da sfruttare».
Perché, a suo giudizio, vi sono posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici?
«Il negazionismo, spesso, è frutto di interessi economici e politici che temono le implicazioni di un serio cambiamento di rotta. Riconoscere la portata della crisi climatica significa ammettere la necessità di trasformare modelli produttivi, di consumo e di profitto. Papa Francesco ha denunciato le dinamiche di ‘mascheramento’ dei problemi e la tendenza a minimizzarli per evitare interventi strutturali. Ma il negazionismo è anche un sintomo culturale: l’incapacità di percepire la connessione tra le nostre scelte quotidiane e i grandi processi planetari”.
Lei è siciliano, di Messina. Qual è la sua opinione sugli effetti dei cambiamenti climatici in Sicilia e il messaggio alle classi dirigenti?
«La Sicilia è un laboratorio anticipatore degli effetti della crisi climatica: ondate di calore estremo, siccità prolungate, incendi devastanti, alluvioni improvvise. Contadini e pescatori hanno lanciato l’allarme da tempo, ben prima che le statistiche lo confermassero. Questa esperienza diretta ci dice che la crisi non è ‘altrove’: è qui e ora. Alle classi dirigenti bisogna sempre ricordare che non è più tempo di strategie dilatorie: servono politiche coraggiose e integrate per la gestione dell’acqua, la tutela delle coste, la prevenzione degli incendi, la promozione di un’agricoltura resiliente. E serve, soprattutto, un cambio culturale: passare dalla logica dell’emergenza a quella della cura preventiva, investendo nella formazione ecologica delle nuove generazioni».
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