Il sinodo, risposta a un mondo in frantumi, di Riccardo Cristiano

Dal 2015 papa Francesco ci avverte, con riferimenti diversi, che non siamo in un’epoca di cambiamento, ma ad un cambiamento d’epoca. Mi sembra che i fatti, messi insieme, gli diano ragione. Ma bisogna capire in che senso questo sia un cambio d’epoca. Un’idea che si sta diffondendo è che la supremazia occidentale sul mondo non regga più. Alcuni in questi giorni hanno ipotizzato la fine dell’impero americano, o per meglio dire della supremazia occidentale. Si andrebbe dunque verso quel mondo multipolare che ancora nessuno sa immaginare come sarebbe o sarà?
I critici e i sostenitori dell’ordine americano non si contano, come gli esperti capaci di dirci i punti di crisi o di sfida che l’Occidente si trova davanti. Dall’Ucraina, alla gestione della crisi climatica, dal Medio Oriente alla Cina ovviamente, questi ragionamenti raramente si intersecano, eppure la realtà lo richiede, perché le sfide avvengono tutte insieme. Si unisce la dinamica Est-Ovest e quella Nord-Sud? Si può esercitare una leadership globale senza creare e guidare il fronte della sfida ambientale-energetica-climatica?
La logica seguita da Francesco a mio avviso è stringente: la trovo nella frase che ha segnato il suo famoso discorso in piazza San Pietro, il 27 marzo 2020, davanti alla diffusione inarrestabile della pandemia: “Nessuno si salva da solo”. O il mondo multipolare si baserà su questa comune certezza o sarà diverso da ciò che è auspicabile, almeno per me.
La richiesta di Francesco di ottenere per il Vaticano lo Status di osservatore presso i Brics, dimostra che nonostante l’età il pontefice è tra gli uomini che meglio sanno vedere la necessità di intervenire oggi per plasmare il futuro ordine multipolare, forse inevitabile, migliore di quello temibile. Il papa prefigura una maggiore vicinanza della Chiesa cattolica al mondo dei Brics rispetto a quello occidentale? Io non penso, io penso che la sua Chiesa globale non possa essere “targata”, né con i Brics né con l’Occidente, opzione questa che è prevalsa in passato per motivi storici ovvi. Così mi appare evidente che il sinodo sulla sinodalità faccia parte di una vasta operazione che è ecclesiale ma anche culturale, per fare della Chiesa cattolica, e quindi universale, un modello, o forse un vettore verso una multipolarità virtuosa.
Questa sinodalità (che vuol dire camminare insieme) ha numerose e diverse declinazioni che ci consentono di immaginare questo sforzo epocale come una via diversa per l’uscita dall’epoca nella quale ancora crediamo di essere e per avventurarci in quella nuova. Non è detto che si debba immaginare la fine dell’impero americano o della supremazia occidentale come la fine dell’impero romano. Ma certo nella “dottrina Biden” c’è questa consapevolezza e questo timore.
L’identificazione dell’epoca da cui usciamo con “la democrazia”, contrapposta al totalitarismo, (innegabile e spaventosa in molte esperienze esterne al nostro mondo), ha indotto Biden ad accennare più volte a questa sua dottrina delle democrazie contro i totalitarismi, che può essere capita come “ovest contro est” o come “nord contro sud”. Ma il punto debole dell’Occidente è indicato dal progressivo rafforzamento al su interno dei populismi che indicano una diffusa paura e chiusura, rifugiandosi nell’indicare o ridurre l’identità in una sola affiliazione. È proprio quel che si rimprovera ai soggetti non occidentali, che rimandano una visione dell’identità basata su di un’unica affiliazione. Il sistema tribale. Qui sparisce l’individuo, cancellato nella massa. La reazione prevalente in molte nostre società vira proprio in questa direzione.
Il sinodo, in quanto “camminare insieme”, configura il percorso opposto: è allora un evento globale per una Chiesa globale e questo indubitabilmente comporta un’apertura a tutta l’umanità. Per prima cosa apre un’opportunità di incontro dentro la Chiesa ma anche nel mondo cristiano, essendo la sinodalità una scelta che apre la via a un diverso modo di essere unite nelle diversità anche per le Chiese cristiane che mi sembra riconoscano (non tutte, ma molte) in Roma un punto di possibile luogo di raccordo tra di esse (come dimostra la partecipazione di tanti leader di altre Chiese alla veglia di preghiera per il sinodo il sabato precedente l’apertura dei lavori). La Chiesa sinodale per questo non può che voler incontrare anche gli altri, e qui credo che sia connaturato alla Chiesa sinodale quanto disse Paolo VI: la Chiesa si fa dialogo.
Immaginare il mondo multipolare è il compito che, a mio avviso, Francesco si assume nella sua dimensione e levatura di leader mondiale globale, ed è per questo che tale scelta lui stesso la presentò così in occasione del 50esimo anniversario del Sinodo, istituito da Paolo VI come strumento consultivo del papa e che oggi mi sembra evolvere in un mondo giunto all’intreccio di sfide cruciali: lui già allora, nel 2015, parlò di Chiesa “tutta sinodale”, e che il suo sguardo, parlandone, si apriva a tutta l’umanità: “Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che ‘cammina insieme’ agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.
Davanti tante paure, a questo diffuso nascondersi nei tribalismi, l’unica vera buona notizia per credenti, diversamente credenti e non credenti è il sinodo sulla sinodalità, coraggioso e visionario antefatto che accetta la sfida del cambiamento d’epoca.

Il sinodo, risposta a un mondo in frantumi. La riflessione di Cristiano

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