Ha fatto molto discutere un video elettorale diffuso online la mattina del 22 agosto scorso dal partito Fratelli d’Italia. Si vede e ascolta la leader, Giorgia Meloni, mentre garantisce che, se andrà al governo, sarà finanziata molto la pratica dell’attività sportiva: per «combattere le droghe, le devianze e crescere generazioni di nuovi italiani sani e determinati». Nessuno dubita che lo sport possa contribuire a rafforzare, in senso buono, ragazzi e ragazze, sebbene – come ci spiegano pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva – da solo non basti. D’altra parte il concetto non è una novità: quasi 2.000 anni fa, in tempi non sospetti rispetto alle scadenze elettorali attuali, Giovenale scrisse nelle Satire (X, 356) il verso “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano” («Bisogna chiedere agli dèi che la mente sia sana nel corpo sano»), lasciandoci in eredità una sentenza ancora in voga.
Un’attribuzione soggettiva
Però che cosa intende FdI per “devianza”? È opportuno premettere che il problema della definizione di questo concetto è complesso, come ha scritto a suo tempo su Treccani.it il sociologo Stanley Cohen (1942-2013), professore di Sociologia alla London School of Economics: «Non si può compilare un elenco universale dei “comportamenti devianti”, poiché non tutti i gruppi sociali concordano su ciò che è normale e normativo… Non ci può essere organizzazione sociale senza regole e norme, e non ci possono essere regole e norme senza la possibilità di infrangerle o di deviare da esse. Ma non… esiste un elenco standard di comportamenti considerati ugualmente devianti in tutte le società… La devianza, in altre parole, non è una qualità obiettivamente data dell’atto, ma è un’attribuzione soggettiva (o politica)».
L’elenco su Twitter
Secondo il partito di Meloni, invece, un elenco esiste, perlomeno per quel che riguarda i ragazzi italiani. Infatti, come ha riportato ilFattoQuotidiano.it, nel pomeriggio del medesimo giorno in cui è stato pubblicato il video, il 22 agosto, lo stesso partito, dopo le prime contestazioni, ha reso esplicito il significato attribuito a quel termine: lo ha fatto proponendo sul suo profilo Twitter un post che riportava questa tabella: «Devianze giovanili: droga, tabagismo, ludopatia, autolesionismo, obesità, anoressia, bullismo, baby gang, hikikomori». Un elenco che – come hanno rilevato anche molti esperti estranei alle polemiche politiche – mischia erroneamente cose molto diverse. Di fronte alle contestazioni, il post è stato cancellato e la leader è intervenuta per cercare di chiarire, citando Wikipedia («Dice che le devianze sono comportamenti che violano le norme», ha scritto) e stralciando una breve frase da un post sulla delinquenza giovanile pubblicato dalla psicoterapeuta Maura Manca, nel 2014, sul suo blog AdoleScienza.it.
“Reati” o disagi?
Resta il fatto che quell’elenco “sbagliato” ha lasciato tracce nel mondo incancellabile del Web. A proposito dei suoi contenuti, su VanityFair .it, lo psicologo cognitivo-comportamentale Emanuel Mian ha spiegato che, «quando ci riferiamo alla devianza – soprattutto se in relazione al disagio giovanile – stiamo parlando di comportamenti che non seguono le norme di legge…: ma nessuno va davanti al giudice per un disturbo alimentare, per autolesionismo, per ludopatia, né tantomeno per la sindrome di Hikikomori … Le uniche “devianze giovanili” fra quelle menzionate nel post potrebbero essere il bullismo e le baby gang, forme di violenza ascrivibili all’interno di un contesto normativo: tutto il resto ha a che vedere con le psicopatologie e le dipendenze, inclusa la droga» (semmai è una devianza – e un reato – spacciarla). È dunque piuttosto evidente che FdI ha sbagliato ad accomunare fenomeni molto differenti. Quindi è comprensibile l’indignazione di chi ha avuto a che fare, direttamente o a causa dei disagi patiti da un familiare, con gravi disturbi come l’anoressia o l’obesità, trasformati di colpo in “reati”.
Il linguaggio del Ventennio
Merita però di essere esaminato anche il contesto in cui quell’espressione è stata inserita dalla segretaria e il motivo per cui ha fatto venire in mente a tanti il linguaggio usato nel Ventennio mussoliniano. Diciamo che è una circostanza di cui non dovrebbero meravigliarsi i dirigenti (e i responsabili della comunicazione) del partito meloniano. Infatti certamente l’associazione di idee, più o meno fondata, è stata favorita dalla notorietà del terreno politico e culturale in cui Fratelli d’Italia affonda le radici: è l’erede del Movimento sociale italiano (Msi), a sua volta fondato nel dicembre 1946 per iniziativa di fascisti che avevano militato nella Repubblica sociale italiana (Rsi). Quest’ultima è stata la denominazione assunta dal regime instaurato il 23 settembre 1943 da Benito Mussolini nella parte di territorio italiano ancora occupato dalla Germania nazista. Oggi il simbolo del Msi, una fiamma tricolore. spicca ancora all’interno di quello di FdI ed è esibito con orgoglio. Ciò spiega, tra l’altro, perché le affermazioni di Meloni hanno suscitato clamore; mentre non è successo quando, per esempio, il 23 giugno 2021 la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese (di professione prefetta, tecnica nel Governo Draghi) ha tenuto un discorso dal titolo “Lo sport come fattore di prevenzione di illegalità e devianza giovanile”. A parte il fatto che la ministra distingueva, correttamente, tra illegalità e devianza, l’effetto delle parole dipende anche dal pulpito da cui vengono. Se giungono dalla segretaria del partito erede del Msi post-fascista, colpiscono in modo diverso.
Sport, disciplina e audacie
Prendiamo il termine in teoria più neutro usato dalla leader: sport. L’ha citato come fucina dalla quale possono nascere «nuove generazioni di nuovi italiani sani e determinati». Ebbene, a suo tempo, la propaganda mussoliniana usò fortemente lo sport come simbolo del regime e delle nuove leve forgiate all’ombra del fascio littorio. Basti pensare che nel 1929 fu lanciato, tra molte altre esibizioni sportive, il “Concorso Dux”, una competizione con saggi ginnici che si svolgeva nei “Campi Dux”. Coinvolgeva decine di migliaia di giovani avanguardisti, tra i 14 e i 18 anni, cui Mussolini arringava entusiasticamente. Diceva , nel maggio 1929: queste sono «prove che debbono fortificare il vostro corpo e preparare il vostro spirito». Mentre sulla rivista « Lo Sport fascista » (n. 5, 1929) – fondata da Lando Ferretti, prima giornalista, poi presidente del Coni – si legge che il regime credeva fermamente nella «pratica sportiva… come educazione sistematica, razionale delle masse, attraverso le audacie dello sport e la metodica disciplina della ginnastica».
Un altro esempio: il 28 ottobre 1934, agli “Atleti d’Italia” radunati a Roma, il Duce rivolse queste parole : «Chi vi ha visto sfilare ha avuta la profonda e quasi plastica impressione della nuova razza che il Fascismo sta virilmente forgiando e temprando per ogni competizione». Sempre Ferretti, sulla rivista citata (n. 1, 1933) scrisse che, «prima di educare virilmente gli italiani al culto delle discipline fisiche, […] è egli stesso – come sempre – vivente e insuperabile esempio dello sportivo di razza. Non temiamo accusa d’omaggio servile se diciamo che Mussolini è il primo e più completo sportivo d’Italia».
La patologizzazione
Anche l’uso del termine devianza – oltre ad essere stato citato nel video e nel post in modo intrinsecamente sbagliato – si presta a riportare alla memoria quel regime. Come scrive il giurista Guido Neppi Modona in Treccani.it, nel Codice penale fascista, varato nel 1930 dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco, «per la prevenzione e repressione di specifici comportamenti devianti si ricorre a sistemi alternativi alla giustizia penale ordinaria, quali, per l’opposizione politica, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e la misura amministrativa del confino di polizia».
Non solo: lo storico Matteo Petracci, nel libro I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista, scrive che il concetto di “devianza sociale” – magari pretestuosamente associata alla “diagnosi” di alcolismo o vagabondaggio – fu utilizzato come strumento di repressione politica per chiudere nei manicomi giudiziari 475 antifascisti. La psichiatria asservita al regime, scrive Petracci, «procedette insomma alla patologizzazione del disordine e della devianza».
Quella patologizzazione diventò inoltre il pretesto per il ricovero coatto di migliaia di donne che non rispondevano al modello dell’angelo del focolare. Lo si legge nel saggio Malacarne, Donne e manicomio nell’Italia fascista, scritto dalla storica Annacarla Valeriano: «All’istituzione psichiatrica fu consegnata, dall’ideologia e dalla pratica “clinica” del fascismo, la “malacarne” costituita da coloro che non riuscivano a fondersi nelle prerogative dello Stato… con la pretesa di liberarle da tutte quelle condotte che confliggevano con le rigide regole della comunità… Fu così che finirono in manicomio non solo le donne che si erano allontanate dalla norma, ma anche le più deboli e indifese: bambine moralmente abbandonate, ragazze vittime di violenza carnale, mogli e madri travolte dalla guerra e incapaci di superare… quell’evento traumatico». Anche i “bambini anormali” subirono un analogo destino, come si legge in un altro saggio della stessa Valeriano, Leggi fasciste e bambini frenastenici. La repressione dei “devianti” venne poi usata in altri modi: per mandare al confino migliaia di oppositori e pure molti omosessuali o per discriminare e isolare i cosiddetti “zingari” italiani, teorizzando un’inclinazione razziale alla devianza.
Ebrei, deviati per eccellenza
Ovviamente anche gli ebrei, da quest’ultimo punto di vista e come presunti artefici del mitico “complotto”, ben presto diventarono i “deviati” per eccellenza, con l’esito terrificante che tutti dovrebbero ricordare.
Insomma, tra coloro che in Italia hanno qualche nozione di storia e/o maggiore sensibilità a proposito di quei temi, le parole della Meloni, viste le radici del suo partito, non potevano che ricordare il nostro non lontanissimo passato totalitario. Certamente qualcuno ha esagerato i toni per criticarla; di sicuro, quello spot elettorale e il resto erano stati concepiti senza alcun retropensiero nostalgico.
Tuttavia soprattutto i politici dovrebbero essere consapevoli del fatto che occorrono cautela, conoscenza e consapevolezza, perché si possono toccare nervi scoperti. In questo caso, sono stati toccati quelli dei presunti devianti di oggi e di chi conserva la memoria di coloro che furono perseguitati con l’accusa di aver “deviato”.
Bibliografia
Stanley Cohen, Devianza , in Enciclopedia delle Scienze sociali, Treccani, Roma 1992.
Erminio Fonzo, Lo sport nell’ Enciclopedia italiana durante il Ventennio fascista , in «Storia dello Sport. Rivista di studi contemporanei», vol. 3 – 2021, Clueb, Bologna.
Arturo Marpicati, Fascismo , in Enciclopedia italiana, Treccani, Roma 1932.
Guido Neppi Modona, La pena nel ventennio fascista , in “Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto”, Treccani, Roma 2012.
Matteo Petracci, I matti del Duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista, Donzelli Editore, Roma 2014.
Emilio Servadio, Sport , in Enciclopedia italiana, Treccani, Roma 1936.
Annacarla Valeriano, Leggi fasciste e bambini frenastenici , in Mélanges de l’École française de Rome – Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, Roma 2021.
Annacarla Valeriano, Malacarne. Donne e manicomio nell’Italia fascista, Donzelli
Editore, Roma 2017.
Fonte: https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/devianza.html