Non sono solo quelle che un tempo venivano definite “armi intelligenti” a produrre terribili effetti collaterali in termini di morti e feriti. Passano i decenni ma per molti, troppi, la storia non cambia: la piaga del debito costringe alcuni tra i Paesi più poveri del mondo a spendere di più per il servizio del debito che per salute e istruzione. Rischiando così di consegnarci una nuova generazione perduta. Ancora una volta il problema è inasprito dalle politiche macroeconomiche (le “armi intelligenti” della politica economica, appunto) con le quali i Paesi creditori rispondono all’esplosione dei prezzi delle fonti fossili che genera inflazione domestica. Le politiche monetarie restrittive aumentano i tassi d’interesse, attraggono capitali e generano per i debitori il doppio choc dell’aumento dei tassi e della svalutazione del cambio del debitore, combinato disposto che scatena una catena di fallimenti. Ancora una volta, come in passato, tutto accade per responsabilità congiunte dei creditori e delle classi dirigenti dei Paesi debitori. Prestare denaro non è sempre la risposta giusta al bisogno. I prestiti – e soprattutto le condizioni a cui si presta – non sono sempre e necessariamente un atto di carità, ma diventano in molti casi un cappio che condanna il debitore a una condizione di perenne dipendenza.
La trappola del debito scattava, con meccanismi diversi, anche nell’antichità. Per questo motivo – evitare cioè che le responsabilità dei padri ricadessero sui figli e li condannassero a una vita di schiavitù al servizio dei creditori – l’istituzione del Giubileo offriva una possibilità di ripartenza. È con l’obiettivo di cogliere anche oggi il tempo-kairos (opportunità) giubilare che la commissione internazionale di esperti nominata in Vaticano (composta tra gli altri dal Nobel Stiglitz e dall’economista ed ex ministro delle finanze argentino Guzman) ha pubblicato il rapporto, di cui si è parlato su Avvenire, che potesse costituire una cornice e un auspicio per l’avvio di un percorso di liberazione. Oltre a descrivere con sincerità e crudezza la situazione e i meccanismi che l’hanno generata, il rapporto delinea con chiarezza alcuni principi e linee d’azione necessarie per correggere i guasti dei meccanismi che perpetuano la piaga.
Con molto realismo, il rapporto sottolinea che evidenziare le falle del sistema non ci rende di per sé ottimisti sulla possibilità di una riforma virtuosa promossa e accettata da tutti i protagonisti. Una delle conclusioni più importanti è che le possibilità, ancorché parziali, di soluzione al problema possono nascere da una coalizione che condivida uno spirito di solidarietà, sottolineando come «qualche volta una coalizione più piccola che condivide una missione può fare di più di un gruppo universale di Paesi potenti che però sono riluttanti ad adottare l’azione globale collettiva che sarebbe necessaria».
Una tale coalizione potrebbe ad esempio raccogliere l’appello pressante con il quale ci ha lasciato papa Francesco e appena richiamato da papa Leone a un’azione che tenga assieme debito ed emergenza climatica. È necessario quindi essere pragmatici e realisti, indirizzando energie e sforzi verso l’individuazione di soluzioni capaci di creare condizioni di mutuo vantaggio per conquistare in questo modo il consenso da parte di un gruppo di creditori. Soluzioni piccole ma scalabili, come quella della trasformazione di una parte del servizio del debito che un Paese sta pagandolo in un fondo per finanziare e rendere più facili gli investimenti in progetti di alto impatto sociale ed ambientale nello stesso Paese. Soluzioni praticabili come questa dovrebbero evidenziare e valorizzare quei motivi che legano creditori e debitori in un unico destino. Così è per gli sforzi di mitigazione (riduzione delle emissioni climalteranti) che sarebbero inutili se non condivisi anche dai debitori.
Ma un Paese debitore che si trova in difficoltà non partecipa a questo sforzo comune e diventa sempre meno capace di pagare il debito quanto più è vulnerabile e colpito da choc climatici. È dunque interesse comune sostenere uno sforzo congiunto di debitori e creditori su mitigazione e adattamento in una cornice che trasformi il servizio del debito in progetti per lo sviluppo sostenibile locale, progetti per di più sottoposti a una rigorosa valutazione di impatto che allontani il sospetto dello spreco di risorse e migliori la reputazione del debitore stesso. Ora che il rapporto è stato reso pubblico si apre una fase nella quale gli studiosi e la società civile devono impegnare insieme tutte le energie intellettuali e la capacità politica per far scaturire cambiamenti e iniziative concrete in grado di sottrarre persone e risorse al giogo della schiavitù e della dipendenza.
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