Sulla tavola di diversi leader e politici, di Rocco D’Ambrosio

“Siamo quello che mangiamo” è un’affermazione del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. L’affermazione non solo sottolinea come la nostra alimentazione influenzi profondamente la salute fisica e mentale, ma potrebbe essere estesa a idee e principi etici che ispirano mente, cuore e prassi di tutti noi. Detto questo la domanda è: cosa “mangiano” i leader politici e istituzionali che stanno determinando questa fase delicata e pericolosa della nostra storia? Scelgo di non fare nomi, non solo perché sarebbero diversi, ma anche perché il menù è condiviso, in quantità e modi diversi, a destra come a sinistra. Lungi da me l’affermare che i menù sono identici, ma solo il ricordare che i duri e puri esistono solo nella fantapolitica e ognuno ha colpe personali per cui non può scagliare pietre contro l’altro. I tempi sono difficili, anche per l’alimentazione: domina un pessimo fast food, con ingredienti non genuini, cotto e servito male, con effetti speciali per farlo sembrare buono. Ma buono non è. Anzi.

E così è per la tavola di molti leader e politici: si nutrono di frasi ad effetto (preparate dai vari spin doctor); di richiami retorici e strumentali a principi astratti o religioni, manipolazione dei numeri e dei media, tradimenti della lettera e dello spirito della Costituzione (o della Dichiarazione Universale dei diritti umani o dei cardini dell’Unione Europea), promesse elettorali, esautoramento del Parlamento e della cittadinanza attiva, difesa degli interessi di parenti e amici (anche di merenda), illegalità e corruzione. Se il ristorante è di infima categoria si aggiungono altri piatti: razzismo e disprezzo per gli ultimi, squallido revisionismo storico, denigrazione e distruzione violenta degli avversari (considerati nemici), bugie e calunnie in tutte le salse, esaltazione di guerre e genocidi, un IO spropositato, aggressivo e cattivo.

Se frequentano tavole con questi cibi perché ci meravigliamo? Sono quello che mangiano. Non solo loro, ma anche quelli che li votano e li appoggiano, spesso li idolatrano: commensali di diverse categorie e classi sociali, laiche e religiose, note o meno note, chiare od occulte. Questa gente sta distruggendo non solo Gaza o l’Ucraina (e gli altri scenari di guerra) ma anche le tante relazioni, interi Paesi, l’Europa come gli Stati Uniti di America. Sono quelli che hanno in testa, nel cuore e nella prassi solo due obiettivi, o uno se li consideriamo una coppia: denaro e/o potere. Stanno persino distruggendo il mercato globale, che loro stessi avevano creato. Ma non hanno mai ascoltato e seguito persone sagge e lungimiranti, con i loro moniti sul mercato che non può resistere senza regole etiche e norme, condivise e diffuse. Hanno denigrato (e continuano a farlo) uomini e donne di pensiero e rettitudine morale oppure fanno come gli atei devoti che tessono lodi in pubblico e odio in privato, specie nei confronti di chi cerca ancora di pensare, riflettere e indicare strade per non cadere nella terza guerra mondiale.

Ma non sto parlando solo di grandi scenari: la ricerca ossessiva e spesso immorale di denaro e/o potere corrode anche le nostre famiglie, amicizie, scuole, università, attività commerciali, associazioni, gruppi vari, parrocchie e diocesi, comunità di fede religiosa e così via. Da esse deve ripartire la riforma sociale e politica servendo a tavola principi sani e universali in un clima di formazione, studio e dialogo. In sintesi: “la rivoluzione – come ricordava Peguy – o sarà morale o non sarà”.

E per quelli che sono abituati a mangiar bene e sano occorre tanta pazienza. Non sono i social o i media che migliorano le relazioni. Se lo fanno lo è in minima parte. Ciò che migliora il mondo è la nostra scommessa personale su ciò che vale e il rifiuto netto, nonostante i personali limiti, di ciò che lo distrugge. Ciò che migliora il mondo è la cura delle nostre personali relazioni e l’aiuto reciproco a non diventare, anche noi, schiavi di denaro e potere.

In tempi travagliati come i nostri, scriveva Dietrich Bonhoeffer: “Non c’è praticamente sensazione che renda più felice dell’intuire che si è qualcosa per altre persone. In questo, ciò che conta non è il numero, ma l’intensità. Alla fine, le relazioni interpersonali sono senz’altro la cosa più importante della vita. Nemmeno il moderno uomo della prestazionepuò modificare questo fatto, e neppure i semidei o i folli che nulla sanno delle relazioni interpersonali. Dio stesso si fa servire da noi nell’umano. Ogni altra cosa è molto vicina all’hybris [superbia, tracotanza, ndr]. (…). Io mi riferisco invece al fatto puro e semplice che nella vita gli uomini sono per noi più importanti di qualsiasi altra cosa. Ciò non significa affatto disprezzo del mondo delle cose e delle prestazioni pratiche. Ma che cosa sono per me il libro, il quadro, la casa, la proprietà più belli, di fronte a mia moglie, ai miei genitori, al mio amico? Così, d’altra parte, può parlare solo chi nella sua vita abbia trovato veramente delle persone. Per molti oggi invece anche l’uomo è solo una componente del mondo delle cose. Ciò dipende dal fatto che a costoro manca semplicemente l’esperienza dell’umano”.

Rocco D’Ambrosio,

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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