Il refrain di Netanyahu è sempre lo stesso: basta demonizzare la guerra. Perché essa è utile, anzi indispensabile per uccidere i cattivi. E pazienza se poi questi cattivi sono le decine di migliaia di donne e bambini palestinesi massacrati da 20 mesi a Gaza, o i familiari di scienziati iraniani assassinati nel sonno da un missile israeliano. Tuttavia, l’aspetto più importante per il primo ministro israeliano è che la guerra continua – la “guerra eterna” – gli permetta di rimanere al potere; un potere a cui si è aggrappato con tenacia per evitare processi ed elezioni, alleandosi all’ultradestra religiosa e nazionalista, pericolosamente xenofoba e razzista.
La Repubblica islamica dell’Iran da tempo rappresenta il nemico perfetto per Netanyahu, che ha cercato per anni il permesso di Washington per attaccarla. Ora che nei fatti il via libera è arrivato, ha scatenato tutta l’iper-forza di Israele contro un nemico indebolito dalla crisi economica e di legittimità politica, dal crollo della Siria e dalla decimazione dei suoi alleati, Hezbollah e Hamas fra tutti. Questo attacco mostra la protervia e l’ambizione del governo israeliano: non già un attacco contro le infrastrutture del programma nucleare iraniano, bensì una guerra totale per spazzare via i vertici politici e militari del regime e provocare quel “cambio di regime” a Teheran sempre vanamente inseguito. Una scelta che apre altri fronti di conflitto per un Paese come Israele già impegnato in guerra da 20 mesi: una esibizione di potenza invincibile priva tuttavia di ogni progettualità politica.
A Teheran, al contrario, un regime corrotto e impopolare cerca di salvarsi dai suoi stessi errori: l’insistere sull’arricchimento dell’uranio è stata una follia ideologica che sta pagando a caro prezzo. Ma pensare che decapitare i vertici militari, o uccidere lo stesso Khamenei, massima autorità politica e religiosa iraniana, significhi far cadere il sistema, mostra la scarsa conoscenza di quel Paese. Per quanto detestato dalla maggior parte della popolazione, il Nezam (il sistema di potere), non ha opposizioni organizzate come quelle che agirono per rovesciare lo Shah nel 1978. E la morte dei vecchi capi dei potenti Pasdaran spiana la strada a una nuova generazione di ufficiali meno corrotti dai soldi e dal potere, ma sempre pronti a sparare sulla propria popolazione per difendere il sistema. Paradossalmente, uccidere la vecchia e malata Guida suprema ridurrebbe il potere del clero sciita a vantaggio degli apparati di sicurezza: l’Iran non è la Siria, il cui regime era privo di un vero sostegno militare interno. Ma Netanyahu è convinto di poter ridisegnare tutto il Medio Oriente secondo gli interessi israeliani contando solo sulla forza militare e sulla guerra continua di cui si è infatuato.
*Riccardo Redaelli è professore ordinario di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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