Vince l’astensione, è una patologia, di Massimo Franco

È riduttivo limitarsi a una fotografia dei risultati. Anche perché erano abbastanza prevedibili: vittoria delle sinistre in Campania e Puglia, affermazione della destra in Veneto. La fine delle Regionali a tappe riconsegna un tre a tre che conferma i vecchi equilibri, aggiungendo Marche, Calabria e Toscana. Per questo il trionfalismo che tende a fare capolino soprattutto a sinistra appare esagerato. Il voto di ieri non legittima ma rischia di mostrare delegittimato l’intero sistema politico.
 Quando va a votare meno di un elettore su due, c’è qualcosa che si è rotto nel rapporto tra i partiti e l’opinione pubblica: circa 12 punti in meno rispetto a cinque anni fa.
Non basta alzare i toni per mobilitare chi ha scelto di starsene a casa. Anzi, è il contrario. Anche per questo, pensare che la sequela di elezioni regionali archiviata ieri si possa proiettare sulle Politiche del 2027 ha il sapore dell’azzardo. Per le opposizioni, il voto in Campania e in Puglia dice che il trionfo di Giorgia Meloni nel 2022 non è replicabile. Le sinistre e il M5S non faranno più l’errore di presentarsi divisi, ha avvertito la segretaria del Pd, Elly Schlein. E questo garantirà la conquista di alcuni dei collegi uninominali perduti tre anni fa. 
In questa analisi, figlia di una realpolitik spinta fino all’estremo, non c’è spazio per misurare le divergenze sulla politica estera. Eppure, l’ostilità agli aiuti militari all’Ucraina e gli attacchi all’Europa da parte dei Cinque Stelle rappresentano un macigno sul piano internazionale. E, per quanto riguarda i rapporti tra potenziali alleati, non ci si pone il tema dell’effetto che il passaggio dagli insulti all’abbraccio tra Pd e M5S in poche settimane provoca in una parte dell’elettorato; né il fatto che il postgrillismo non è più in grado di dare voce agli scontenti, se non in minima parte. 
Il M5S è un elemento aggiuntivo necessario, per le opposizioni. Ma non è chiaro se sarà sufficiente. Giuseppe Conte, il leader, esalta la «doppietta storica: due governatori di regione in due anni», aggiungendo alla Campania la Sardegna. Ma questa abbondanza di potere apicale non riflette un reale peso elettorale. È solo il prezzo che il Pd ha pagato ai Cinque Stelle per tenerseli vicini. Forse servirà a Conte per coprire i magri risultati ottenuti, ma difficilmente basterà per far sopravvivere le sue ambizioni di candidarsi a Palazzo Chigi al posto di Schlein.
La questione incrocia, di nuovo, quella dell’astensionismo. La tendenza è a liquidarlo come un fenomeno fisiologico, perché sarebbe un dato comune a tutto l’Occidente. Non se ne vuole cogliere l’aspetto patologico, che comporterebbe un ripensamento serio delle leadership e delle strategie. Si preferisce proiettare sulle Politiche future solo i risultati elettorali, in modo più o meno arbitrario; non quelli sull’astensione, perché si tratta di un tema scomodo, imbarazzante. Eppure, la diserzione dalle urne avrà un’incidenza pesante sugli equilibri politici.
Dirà qualcosa sulla salute del sistema fin dal prossimo referendum sulla giustizia, indetto dal governo per il prossimo anno. Il fatto che non sia necessario il quorum del cinquanta più uno per cento dei votanti per renderlo valido rischia di scoraggiare la partecipazione; e di offrire una competizione tra minoranze radicalizzate, che imporranno il risultato, qualunque esso sia, alla maggioranza di un’Italia in apparenza distaccata da quella consultazione. È una riflessione che riguarda governo e opposizioni. E dovrebbe suggerire qualche correzione di rotta.
 Anche perché, pur nell’immobilismo sostanziale dell’elettorato, si colgono segnali sorprendenti all’interno dei due campi. Il modo in cui la Lega ha doppiato FdI in Veneto si deve in buona parte alla popolarità del governatore uscente, Luca Zaia. Prevale dunque un fattore locale, che non era affatto scontato e neppure previsto: non in queste dimensioni. Ma la novità del risultato rovescia il responso del 2022, che sembrava consegnare il primato della regione e del Nord al partito di Giorgia Meloni.
È la conferma che nulla può essere dato per scontato. Le posizioni di rendita non esistono per nessuno. È così vero che FdI comincia a preoccuparsi degli scricchiolii, e insiste per cambiare la legge elettorale. Ma viene da chiedersi se una riforma voluta da Palazzo Chigi invocando una stabilità che in realtà dura da tre anni, incontrastata, sia la soluzione migliore: non solo per superare le contraddizioni interne ai due schieramenti, ma soprattutto per debellare il virus dell’astensionismo.

corriere.it/opinioni/25_novembre_24/vince-l-astensione-e-una-patologia-2bb25e87-3112-4073-ad17-811d88c5axlk.shtml

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