Una voce necessaria, di Antonio Polito

Dodici anni da Papa, e noi «laici» siamo ancora qui a chiederci se è stato progressista o conservatore. La sinistra dei diritti trovò rivoluzionaria la sua frase sui gay, «chi sono io per giudicare», e reazionaria l’accusa ai medici «sicari» se praticano l’aborto. La destra populista soffrì i suoi pellegrinaggi a Lampedusa e a Lesbo, le isole della vergogna dove i migranti sono i nuovi martiri. Ma in chiave anti-Bruxelles gioisce ancora per il suo appello al «disarmo». Mentre in versione securitaria e manettara ne ha ignorato l’ultimo atto: l’abbraccio ai carcerati di Regina Coeli nel giorno della lavanda dei piedi. I pacifisti ancora sbandierano il suo appello al «coraggio della bandiera bianca», rivolto a Kiev; ma dimenticano quando riconobbe all’Ucraina il diritto a difendersi in armi: «Non è solo lecito, ma anche espressione di amore per la Patria». Si potrebbe continuare. Ci sono apparse contraddizioni perché la nostra razionalità partigiana, che vive le vicende del mondo esclusivamente sull’asse destra/sinistra, ne è rimasta più volte spiazzata. Gli abbiamo allora dato del peronista, o del populista, scavando in tradizioni politiche della sua terra natale nelle quali non è facile distinguere il confine ideologico. 
Ma abbiamo così dimenticato chi era: il capo della Chiesa di Roma. Che si chiama «cattolica» in quanto universale, inviata da Cristo alla totalità del genere umano.
 Eppure, se è sbagliato leggerlo con gli occhiali da miopi della politica interna, ciò non vuol dire che Francesco non abbia presentato a noi laici una formidabile sfida politica. Fin dalla scelta del nome.
Il predecessore si chiamava Benedetto, come il santo che tenne accesa nei monasteri la fiaccola della virtù cristiana, all’epoca delle invasioni barbariche: studio e lavoro per nutrire quella «minoranza creativa» che seppe resistere alla scristianizzazione del mondo, per poi riconquistarlo. 
Francesco, invece, è il santo che alla solitudine ascetica dei monaci preferì la fraternità operosa dei frati, e invece di «monasteri» arroccati nelle campagne creò «conventi» vicini al nuovo popolo dei borghi. Allo stesso modo, il Papa che ne ha preso il nome ha voluto una Chiesa «ospedale da campo»: immersa nel mondo, piantata nel secolo e nelle sue contraddizioni. «Dio vive nelle città», ha detto. «Il santo non spreca il suo tempo lamentandosi degli errori altrui».
In questo modo Francesco è stato anche più «politico» di altri pontefici. Ha infatti sfidato i poteri pubblici di tutto il mondo e di qualunque colore con l’intransigenza di un umanesimo cristiano; così estremo — ha scritto Giuliano Ferrara — da risultare spesso incompreso. È per questo che destra e sinistra se lo sono goffamente conteso, restandone di volta in volta sconcertate. 
Guardate il suo ultimo, paradossale miracolo: con la sola forza di quell’«umanesimo» porterà a Roma, per il suo funerale, Donald Trump. L’uomo al quale Francesco si riferiva, quando dichiarò: «Una persona che pensa a costruire muri, invece che ponti, non può dichiararsi cristiano». Il presidente che aveva redarguito appena due mesi fa, in una irrituale lettera ai vescovi statunitensi, per condannare «l’atto di deportare persone, che lede la dignità di uomini e donne». Con un vero e proprio grido di ribellione, quasi un appello alla resistenza morale contro le leggi ingiuste: «Esorto tutti i fedeli della Chiesa cattolica e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a non cedere… a considerare la legittimità delle norme e delle politiche pubbliche alla luce della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, non viceversa». 
Eppure, mentre una deputata fedelissima di Trump esulta sui social per la morte di FrancescoIl male viene sconfitto per mano di Dio»), il suo capo accorre nella Città Eterna. E magari incontrerà anche Ursula von der Leyen per parlare di dazi. Le vie del Signore sono davvero infinite.
Se ci sono contraddizioni nel papato di Francesco, e ci sono, riguardano paradossalmente più i fedeli, rimasti un po’ in mezzo al guado tra una rivoluzione che sembrava destinata a riempire di nuovo le parrocchie e una prassi rimasta incompiuta. Ha spesso irritato i conservatori, preoccupati di trasformare la Chiesa in una grande Ong, e allo stesso tempo ha deluso quei liberali che avrebbero voluto un salto più deciso nella modernità, dal sacerdozio femminile alle unioni omosessuali. 
Ma per noi cittadini, credenti o no, che abbiamo bisogno della Chiesa e del suo messaggio di fede in quanto laici, per tenere cioè in piedi le fondamenta etiche di società sempre più irriconoscibili e decadenti, la voce di Francesco è stata una benedizione. Ha gridato. Ha fatto scandalo. Ha smosso le coscienze. Anche quando non l’abbiamo ascoltata, o condivisa. La Chiesa deve darcene un’altra.

corriere.it/opinioni/25_aprile_22/una-voce-necessaria-aebe5e7d-3c63-43bd-a8a4-63eab87b1xlk.shtml?refresh_ce

 

 

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Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

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