Il 25 settembre non è stato ancora metabolizzato: gli effetti di una sciagurata e “incostituzionale” legge elettorale tenuta in vita da tutte le forze politiche a ragione di calcoli opportunistici adottati dalle Segreterie di destra, centro e sinistra, di moderati, centristi e progressisti, son tutti evidenti e sul campo. Chi legittimamente ha vinto le elezioni politiche non fa mistero di voler gestire il potere acquisito guardando al “lungo termine” mentre pone in essere politiche di discontinuità rispetto ai Governi passati, verosimilmente e amaramente finalizzate a spaccare la società civile, radicalizzandola su questioni che in buona parte fanno riferimento a quelli che in passato sono stati definiti “valori non negoziabili”. Chi, uscito sconfitto dalle elezioni, è chiamato a ricoprire il ruolo di opposizione prova a costruire o trovare la strada per un rilancio, che passi innanzitutto da una linea politica che sia immediatamente riconoscibile e potenzialmente capace di attrarre consenso. Se sul versante della maggioranza parlamentare è facile intuire difficoltà che al momento non sono eccessivamente divisive, è nel campo delle opposizioni che si scorgono le inquietudini e, forse, le contraddizioni politiche e culturali più evidenti. Inquietudini e contraddizioni che le scelte “governiste”, maturate nell’ultimo decennio soprattutto da parte del Partito Democratico, hanno lasciato sotto traccia, ma oggi, come fiume carsico, emergono alla luce del sole, tornano all’evidenza dei fatti. In casa PD le inquietudini afferiscono evidentemente a due ordini di difficoltà: da una parte il calo di consenso, certificato dagli ultimi sondaggi, a vantaggio del M5S, e l’operato di Azione e Italia Viva che sembra avere come fine principale quello di continuare a picconarne l’immagine e l’operato, dall’altra parte l’urgenza di dare vita ad un Congresso che abbia la forza non soltanto di individuare una nuova Segreteria, ma anche e soprattutto di rigenerare il partito. Inquietudini e contraddizioni che nel tempo dilatato che manca alla celebrazione del Congresso rischiano di trasformarsi in fantasmi. Questi sono evidenti e appaiono sul mare in tempesta che sballotta la barca del PD inquietando e forse terrorizzando quanti, consapevoli delle difficoltà che potrebbero emergere nel corso di un Congresso veramente aperto alla rigenerazione del partito, si adoperano per esorcizzare quanto appare all’orizzonte. Eppure non c’è altra via che “prendere il largo”. È il mare aperto del confronto libero e franco, fondato su un serio discernimento sul passato e sul presente, ed orientato ad una prospettica via di rinnovamento della visione e cultura politiche. Andare in mare aperto non significa esporsi nudi, indifesi ai possibili quanto probabili e pericolosi marosi della contemporaneità, non significa affrontare il mare degli eventi senza punti di riferimento, ma assumere alcune opportune consapevolezze. Innanzitutto: capire che “si è sulla stessa barca” e che occorre remare tutti coralmente e sincronicamente; avere la visione chiara delle proprie radici per comprendere quale nuova identità, se necessario, occorra costruire; vivere il territorio costruendo relazioni, alleanze e rapporti che diano forma e sostanza di sano protagonismo a tutte quelle realtà culturali, sociali e di volontariato che nei fatti esprimo un impegno politico concreto, orientato ai bisogni delle persone e delle città; costruire percorsi di formazione politica e di cittadinanza attiva, anche in sinergia con altri soggetti organizzati, che attraggano non soltanto per fornire risposte adeguate on demand, ma anche per la capacità di costruire un orizzonte di idealità che, senza scadere in ideologia, sia punto di riferimento per tanti che hanno a cuore un impegno sociale e politico fondato su una cultura espressamente e dichiaratamente democratica e insieme progressista. Il prossimo importante appuntamento elettorale – le elezioni regionali di Lazio e Lombardia – sembra vedere il PD su posizioni chiaramente difensive, messo sotto pressione, come evidenziato autorevolmente da alcuni osservatori e commentatori politici, dalla difficoltà a chiudere un accordo elettorale in Lazio con il M5S e dalla conseguente OPA di Conte sul Partito Democratico, e da un chiaro progetto di superamento a destra e a centro da parte della coppia Calenda-Renzi in Lombardia. PD sotto attacco? Forse…. anzi certamente. Perché il sovranismo politico, che ambisce a livello continentale a ridisegnare il senso dell’ Unione Europea, e quel sentire diffuso tutto italiano di “invidia politica”, sostengono l’agire di quanti sentono l’odore del sangue e scorgono l’opportunità di azzannare alla gola. Inoltre occorre rilevare che il PD sembra ipnotizzato da quanto sta accadendo, soprattutto al suo interno: anziché innescare processi veramente inclusivi di quella parte della società civile che ha a cuore la democrazia fondata sulla Carta Costituzionale repubblicana, perché maturi una riflessione politica di ampio respiro, si è consegnato alla logica della presentazione della candidature alla Segreteria nazionale del partito. Poco importa che si tratti di auto-candidature personali o sostenute da gruppi e correnti. Ciò che rileva osservare è che questa è una logica che probabilmente avrà poca fortuna perché sostanzialmente finalizzata al mantenimento di posizioni di potere e governo concentrate territorialmente e destinate a restare marginali a livello nazionale. Sembra altresì interessante rilevare che le candidature già avanzate o prossime a palesarsi abbiano un denominatore comune, sebbene apparentemente si presentino come portatrici di storie e istanze diverse: la pretesa di poter innovare e rilanciare il Partito Democratico in forza di presunti primati personali o di esperienze amministrative locali particolarmente felici. Tutto questo rimanda all’idea che il PD abbia innescato un processo di “transizione”: partire dalla sconfitta elettorale per costruire un riscatto politico-elettorale che riconsegni al partito l’opportunità (non immediata) di tornare al Governo nazionale ovvero riconquistare il primato amministrativo in molte regioni, città e paesi della Penisola. Un tempo sospeso, dunque, da abitare mettendo in opera azioni di maquillage politico che una personalità acuta come Vilfredo Pareto avrebbe definito come “vernice” applicata per nascondere ciò che non si vuol o non si può veramente mostrare. Evidentemente serve di più. Questo è il tempo in cui l’approccio riformista, se alla transizione politica si vuol dare tale connotazione culturale, non può sortire effetti di autentico rinnovamento, anzi di rigenerazione. Occorre il coraggio della “conversione”. Così come sul lido della “transizione” ecologica rischiano di arenarsi il progetto, la visione del rinnovamento delle fonti energetiche finalizzati ad accompagnare e favorire il cambiamento di stile di vita proposto ai cittadini italiani, allo stesso modo la “transizione politica” intrapresa dal PD rischia di essere inefficace, incapace di produrre quella novità politica che l’ormai consolidato cambiamento d’epoca esige. Dunque, conversione. Intraprendere, cioè, una esperienza nuova, scegliere di cambiare perché qualcosa o qualcuno ha indicato un oltre di novità dove prende inizio la strada da percorrere per intercettare quanto il cambiamento d’epoca richiede. La società intera e il risultato delle elezioni politiche, segnato da un rilevantissimo livello di astensione dal voto, sono quel qualcuno e quel qualcosa che indicano l’urgenza della conversione. In realtà non solo queste indicano la doverosità di una scelta chiara in favore di una conversione vera, autentica, credibile. Anche le sollecitazioni che giungono dal contesto internazionale impongono una sorta di inversione di marcia: i temi urgenti della pace, della guerra, della irrilevanza politica dell’ONU, dello scontro titanico tra le due uniche super-potenze USA e Cina, della ricerca disperata quanto pericolosa della Federazione Russa a trazione putiniana di accreditarsi anch’essa quale super-potenza, delle crisi climatica e migratoria assurte entrambe a problematiche mondiali strutturali, della crisi del lavoro, dell’indifferibile rilancio dell’Unione Europea, della insuperata “questione morale”. L’urgenza della conversione, infine, è dettata dalla crisi della democrazia. Nel contesto di questa riflessione basta fare riferimento alla ormai eclatante inosservanza del dettato costituzionale in materia di democrazia interna ai partiti (art. 49); al non accoglimento dei rilievi di incostituzionalità espressi dalla Consulta in merito alla vigente legge elettorale; al sistema di cooptazione da parte delle Segreterie politiche per la formazione delle liste elettorali; alla disaffezione di sempre più larghi strati sociali verso la politica; al senso diffuso di opportunismo ovvero di corruzione e concussione che caratterizza i rapporti tra mondo della politica e mondo economico imprenditoriale, tra politica e mafie; al problema, nato nel contesto della pandemia da covid19, del rapporto tra salute e libertà, e al senso da dare alla sanità pubblica; alla istruzione pubblica e al grave fenomeno, rilevante soprattutto nel Sud dell’Italia, dell’abbandono scolastico. Non gode di buona salute la democrazia italiana. C’è chi scrive sulla stampa quotidiana che il Governo in carica vuole impoverire gli Italiani per indebolire la Democrazia. Il riverbero di quanto avvenuto il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill pone ancor oggi problematiche serie cui un partito come il PD non può certamente non porre l’attenzione dovuta proprio in vista di un processo di conversione politica da intraprendere in Italia in favore di un rafforzamento del sistema democratico sorto dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e dalla fine del Ventennio fascista. Senza la capacità di leggere criticamente, con sapienza e coraggio questa complessità che emerge da una rapida e superficiale osservazione del contesto politico odierno, sarà veramente difficile che il PD trovi la forza per passare da un già innescato processo di transizione ad un processo auspicabile quanto urgente di conversione.
[docente, presidente di AC, Giardini Naxos, Messina]