Santi, guerra e Chiesa in Venezuela, di Manuel Antonio Teixeira

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In questi giorni noi venezuelani stiamo vivendo una situazione strana. Da un lato, le notizie sono allarmanti: sembra che siamo sull’orlo di una guerra. Dall’altro lato, le giornate trascorrono normalmente; oserei dire che sembrano più normali di quanto siamo abituati, anche se è vero che si vedono più militari per strada.
Il clima è ancora più strano, se si pensa che solo pochi giorni fa (il 19 ottobre) il papa ha canonizzato i primi due santi venezuelani: José Gregorio Hernández, un medico laico, e suor Carmen Rendiles, religiosa di una congregazione da lei rifondata in Venezuela. In ottobre, il clima di festa popolare nelle strade era palpabile.
Non così nell’istituzione ecclesiastica, dove il clima di gioia era carico di tensioni. Uno dei momenti più critici è stato il giorno della canonizzazione. L’evento ecclesiale si è trasformato in una prova di forza e di popolarità nelle strade di Roma. Alla cerimonia di canonizzazione hanno partecipato rappresentanti del governo, che hanno preso parte non solo come spettatori ma anche come protagonisti in alcuni eventi protocollari organizzati a Roma.
A questo proposito, vale la pena menzionare la conferenza tenutasi all’Università Lateranense, in cui si è discusso dell’importanza della canonizzazione di questi due personaggi per il Paese; a tale evento è intervenuta la sindaca di Caracas per conferire alla postulatrice della causa l’ordine (politico) al merito Waraira Repano (nome indigeno della catena montuosa di Caracas, nota anche come Ávila).

Quando il conflitto politico emigra
Per quattro giorni, il conflitto politico venezuelano si è spostato da Caracas ai dintorni del Vaticano. Alla canonizzazione ha partecipato anche Edmundo González (contendente di Maduro alle elezioni del 28 giugno 2024, che sostiene di aver vinto), il quale ha rivendicato il diritto di essere il legittimo rappresentante del governo del Venezuela.
Parte dell’episcopato venezuelano cercava di mantenere la calma per evitare che la festa di canonizzazione si trasformasse in un comizio politico. L’armonia è stata rotta dalle controverse dichiarazioni del cardinale Baltazar Porras contro il governo venezuelano, che hanno irritato così tanto i rappresentanti del governo che il clima di festa si è trasformato in una battaglia campale.
La grande celebrazione pianificata dall’arcivescovado di Caracas e sostenuta da tutta la Conferenza episcopale per celebrare la canonizzazione nel Paese è stata annullata con la motivazione che lo spazio era insufficiente per l’evento. Sebbene tutte le parrocchie siano state esortate a celebrare la festa a livello locale, cosa che hanno fatto, la verità è che tutto sembrava il risultato di un conflitto tra alcuni prelati e il governo.
Il fatto che l’aereo su cui il cardinale si stava recando per celebrare l’Eucaristia nel paese natale di S. José Gregorio Hernández non abbia potuto atterrare a destinazione, adducendo come motivo le cattive condizioni meteorologiche, è un indizio che le cose non andavano bene. A ciò si aggiunge il fatto che a Trujillo, luogo in cui il cardinale avrebbe dovuto celebrare, c’era già un gruppo di persone vicine al governo pronte a fischiarlo se fosse riuscito a superare gli ostacoli e ad arrivare a destinazione. Un altro gruppo era pronto a difenderlo e ad affrontare quelli del partito avversario.

Tensioni tra i vescovi
Le dichiarazioni del cardinale non solo hanno infastidito il governo, ma hanno anche causato un certo malcontento tra alcuni membri della conferenza episcopale, che hanno visto sfumare l’opportunità di continuare a gettare ponti per un avvicinamento che promuovesse il dialogo con il governo.
María Corina Machado, insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2025 e attualmente la rappresentante dell’opposizione più riconosciuta, ha accusato l’arcivescovo di Caracas di essere un falso per la sua vicinanza a Nicolás Maduro[1] e ha elogiato il coraggio del cardinale Baltazar Porras per aver osato criticare il governo.
Nonostante il clima di tensione istituzionale, la gente ha celebrato con gioia la canonizzazione di entrambi i santi, in particolare quella di José Gregorio Hernández, venerato dal popolo sin dal momento della sua morte. Potremmo dire che la canonizzazione di José Gregorio Hernández ha riconosciuto la fede della gente semplice del popolo venezuelano.

La minaccia americana
Al clima di tensione politico-ecclesiale si aggiungono le minacce del governo degli Stati Uniti. Sono già due mesi che gli Stati Uniti hanno una presenza militare nei Caraibi e, finora, non c’è stata alcuna dichiarazione della Conferenza episcopale al riguardo. Quale ruolo deve svolgere la Chiesa in questa situazione? Questa domanda è ancora senza risposta.
La Chiesa è indebolita internamente, poiché non riesce ad articolare una posizione a causa della mancanza di una riflessione organica e delle tensioni tra i diversi vescovi. Il pericolo è che l’istituzione ecclesiale si annulli da sola e non sia sacramento di dialogo e riconciliazione in un momento in cui la sua partecipazione alla vita del Venezuela è importante e necessaria. Per quanto riguarda il ruolo che la Chiesa può svolgere, lo stesso governo di Maduro si mostra scettico poiché sembra aver perso fiducia in essa.
Mentre la Chiesa rimane in silenzio, assistiamo allo svolgimento di esercitazioni militari in alcune località del Venezuela, senza che ciò abbia influito in maniera significativa sul ritmo della vita quotidiana dei venezuelani. Le esercitazioni mirano a dimostrare la forza militare venezuelana di fronte allo schieramento della flotta da guerra degli Stati Uniti nel Mar dei Caraibi.
Non c’è dubbio che lo schieramento militare americano sia eccessivo rispetto all’obiettivo dichiarato: impedire il traffico di droga verso il territorio statunitense. È curioso che, in questa lotta contro il narcotraffico, gli Stati Uniti non abbiano voluto avvalersi della collaborazione del governo venezuelano e abbiano invece accusato quest’ultimo di essere promotore e difensore del narcotraffico. A queste accuse si aggiunge il fatto che il governo Trump accusa il governo venezuelano di promuovere il terrorismo perché, a suo dire, protegge una banda criminale chiamata Tren de Aragua.

L’eco lunga delle elezioni del 2024
Nulla di tutto ciò avviene a margine del risultato delle elezioni del 2024, di cui Maduro ed Edmundo González giurano di essere i vincitori. Va ricordato che alcuni governi non hanno riconosciuto i risultati annunciati dal Consiglio Nazionale Elettorale, mettendo il governo venezuelano in difficoltà sul piano delle relazioni internazionali. Tuttavia, Russia, Cina, Turchia e Iran sono stati i paesi più influenti che hanno riconosciuto la vittoria di Maduro. Gli Stati Uniti hanno riconosciuto la vittoria di Edmundo González, mentre l’Europa ha preferito non riconoscere nessuno dei due e ha espresso i propri dubbi sulle elezioni.
Il governo statunitense accusa il Venezuela di essere uno Stato narco. L’incertezza politica e diplomatica generata dalle accuse del governo nordamericano contro il governo caraibico lascia intravedere alcune minacce, senza che nessuno sappia come si svilupperanno gli eventi nel prossimo futuro.

Si tratta solo di droga? Il Venezuela nella geopolitica
Perché una minaccia militare così aggressiva in questo momento? Secondo l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), la British Petroleum (BP) e l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), il consumo di petrolio aumenterà nei prossimi anni. Il mondo avrà bisogno di più idrocarburi e, se i paesi produttori non faranno nulla al riguardo, i prezzi del prezioso combustibile potrebbero salire alle stelle e provocare significative distorsioni economiche anche in paesi con economie piuttosto solide.
Il Venezuela è il paese con le maggiori riserve petrolifere al mondo, il che lo rende molto attraente per gli Stati Uniti. Se a questo aggiungiamo la vicinanza commerciale e la cooperazione militare che il governo venezuelano mantiene con i governi di Russia e Iran, paesi con una grande capacità produttiva di petrolio e non alleati degli Stati Uniti, troviamo un motivo che, a parte il traffico di droga, preoccupa il governo statunitense.
Il Venezuela sembra essere, per l’attuale governo statunitense, un territorio strategico. Non è un segreto per nessuno che la politica internazionale sia guidata meno dalla diplomazia e più dalle minacce sostenute da dimostrazioni di forza. Non è un caso che la Cina abbia sfoggiato la Fuijan, la portaerei più moderna e la seconda più grande al mondo; che il governo degli Stati Uniti non abbia voluto inviare missili Tomahawk sostenendo che potrebbero servirgli (il che è una chiara dichiarazione della loro disponibilità a usarli se necessario); che i paesi della NATO abbiano accettato di aumentare la spesa militare fino al 5% del loro PIL; e che i servizi segreti israeliani abbiano fornito dati all’aeronautica militare degli Stati Uniti per attaccare le centrali nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan. Sembra che in tutti i calcoli geopolitici il Venezuela faccia parte dell’equazione.
È difficile immaginare dove ci porteranno questi nuovi modi di fare politica e quali saranno le conseguenze nel nostro Paese. I popoli hanno sempre meno potere decisionale nelle cosiddette democrazie; la rete trasmette informazioni che condizionano la visione della situazione locale e mondiale; e la guerra è una buona scusa per i politici per migliorare la loro posizione nei sondaggi e mantenere il potere.

Cosa vogliono i venezuelani?
Nel contatto quotidiano con la gente, ciò che si percepisce maggiormente è che vogliono la pace. Una pace politica, dove ci siano intese e accordi che consentano al Paese di uscire dalla difficile situazione in cui si trova. Questo desiderio generalizzato è sfumato da visioni diverse, a seconda della classe sociale a cui appartiene il venezuelano, se vive in esilio o rimane nel Paese, e dalle piattaforme di informazione che utilizza.
A questo proposito è possibile distinguere tre visioni contrastanti. Una che osserva ciò che accade in Venezuela dall’esterno del Paese e prende come fonti di informazione notiziari e portali di notizie che affermano che tutto ciò che accade nel Paese è negativo e che l’unico responsabile è il governo in carica. Questa visione sostiene che l’unica soluzione per il Venezuela sia un cambio di governo.
La seconda visione è condivisa dai sostenitori dell’attuale governo. Per questa fazione, qualsiasi avversario del governo è considerato un nemico del popolo e un pericolo per la stabilità della nazione. Questi venezuelani vivono nel Paese –  applaudono gli aspetti positivi del governo e giustificano quelli negativi, accusando l’opposizione di essere responsabile del blocco economico che affligge la nazione e ha influito negativamente sulla capacità operativa del governo.
Una terza visione, che a mio avviso è maggioritaria, comprende che nel Paese coesistono più visioni del Venezuela e che non si può prescindere da nessuna di esse. I sostenitori di questa visione sono spesso percepiti come rivali dai sostenitori delle due visioni precedenti.
Molti venezuelani in esilio sono convinti che un intervento militare degli Stati Uniti nel Paese cambierebbe il panorama politico. È indubbio che chi la pensa così crede che qualsiasi cosa accada migliorerà la situazione attuale. Questa visione contrasta con la preoccupazione espressa da alcuni media internazionali, che vedono con apprensione l’aggravarsi del conflitto. I governi dell’Europa e della Gran Bretagna, tradizionali alleati degli Stati Uniti, hanno espresso i loro dubbi sulla legalità dell’affondamento di navi in acque internazionali e lo hanno definito un crimine. L’ONU ha dichiarato apertamente che ciò che stanno facendo i militari statunitensi nelle acque dei Caraibi è illegale, ma nessuna potenza mondiale ha ancora la capacità di fermare il piano non ancora svelato del governo Trump.
In questo contesto, il silenzio degli accademici e della Chiesa stessa risulta strano. La paura di sbagliare e l’impopolarità che qualsiasi opinione o studio può generare possono essere le cause di questo silenzio. Per quanto riguarda il silenzio della Chiesa, ritengo che, nonostante le divisioni interne che possono esserci nella gerarchia ecclesiastica, essa debba agire in modo profetico.
Concludo con un breve riferimento a San José Gregorio Hernández. Il contesto politico in cui questo santo ha sviluppato la sua carriera professionale non era democratico; tuttavia, egli ha saputo dare impulso alla medicina del Paese lavorando per i venezuelani e tirando fuori il meglio da ciascuno di loro. Non bisogna dimenticare che fu il primo a introdurre il microscopio nello studio della medicina in America Latina, che contribuì allo sviluppo della scuola di medicina dell’Università Centrale del Venezuela, di cui fu professore riconosciuto, e fu autore di importanti articoli scientifici di medicina.
Tutto questo lavoro è stato svolto dal dottor José Gregorio Hernández in un contesto politico avverso, agendo con intelligenza e dando il meglio di sé per lo sviluppo del Venezuela. La Chiesa ha qualcosa da imparare dalla sua santità!
Chiesa, canonizzazione, conflitto politico e navi da guerra nei Caraibi. La questione rimane aperta: quale ruolo svolgere in questo momento cruciale della storia?

[1] Per comprendere la critica di María Corina Machado è necessario fare riferimento a un video in cui l’arcivescovo fa visita al presidente Nicolás Maduro per consegnargli un poster della canonizzazione e invitarlo a partecipare e a rallegrarsi della grande festa che avrebbe dovuto abbellire il Paese. Questo fatto è stato interpretato come un avvicinamento a una delle parti in conflitto, per cui è stato bollato come falso.

Canonizaciones, Guerra e Iglesia en un país llamado Venezuela
En estos días, los venezolanos estamos viviendo una situación extraña. Por un lado, las noticias son alarmantes; parece que estamos a punto de una guerra. Por otro lado, los días transcurren con normalidad; me atrevería a decir que parecen más normales de lo que estamos acostumbrados, aunque es cierto que se ve más gente del ejército en la calle.
El clima resulta aún más extraño cuando, apenas el 19 de octubre, el Papa canonizó a los dos primeros santos venezolanos: José Gregorio Hernández, un médico laico, y la Hna. Carmen Rendiles, religiosa de una congregación que ella refundó en Venezuela. En octubre, el clima de fiesta popular en las calles era palpable. No así en la Institución de la Iglesia, donde el clima de alegría estaba cargado de tensiones. Uno de los momentos más críticos fue el día de la canonización.
El acto eclesial se transformó en un acto de medición de fuerzas y de popularidad en las calles de Roma. Al acto de la canonización asistieron enviados del gobierno, quienes participaron no solo como asistentes, sino también como protagonistas en algunos actos protocolares organizados en Roma. Al respecto, cabe mencionar la conferencia celebrada en la Universidad Lateranense, en la que se conversó sobre la importancia de la canonización de estos dos personajes para el país; en ese evento intervino la alcaldesa de Caracas para otorgar a la postuladora de la causa la orden (política) al mérito Waraira Repano (nombre indígena de la cadena montañosa de Caracas, también conocida como Ávila).
Durante cuatro días, el conflicto político venezolano se trasladó de Caracas a los alrededores del Vaticano. A la canonización asistió también Edmundo González (contendiente de Madura en las elecciones del 28 de junio de 2024 y quien asegura haber ganado), quien reclamó el derecho a ser el legítimo representante del gobierno de Venezuela. Parte del episcopado venezolano buscaba mantener la calma para evitar que la fiesta de canonización se convirtiera en un mitin político.
La armonía se quebró con las polémicas declaraciones del cardenal Baltazar Porras contra el gobierno venezolano, que irritaron tanto a los representantes del gobierno que el clima de fiesta se transformó en una batalla campal. La megacelebración planificada por el Arzobispado de Caracas y apoyada por toda la Conferencia Episcopal para celebrar la canonización en el país, prevista para el 26 de junio, fue cancelada alegando que el espacio era insuficiente para el evento. Aunque se instó a que todas las parroquias celebraran la fiesta de manera local, lo cual hicieron, lo cierto es que todo parecía producto de un conflicto entre algunos prelados y el gobierno.
El hecho de que el avión en el que el cardenal se dirigía para celebrar la Eucaristía en el pueblo natal de S. José Gregorio Hernández no pudo aterrizar en su destino, alegando malas condiciones meteorológicas, es un indicio de que las cosas no estaban bien. A esto se suma que en Trujillo, lugar donde el cardenal debía celebrar, ya había un grupo de gente cercana al gobierno para abuchearlo si este lograra superar los obstáculos y llegara a su destino. Otro grupo estaba dispuesto a defenderlo y enfrentar a los del partido contrario.
Las declaraciones del cardenal no solo molestaron al gobierno, sino que también causaron cierto disgusto entre algunos miembros de la conferencia episcopal, quienes vieron cómo se perdió la oportunidad de seguir tendiendo puentes para un acercamiento que promoviera el diálogo con el gobierno. María Corina Machado, a quien se le otorgó el Premio Nobel de la Paz de 2025 y que es la representante opositora con mayor reconocimiento en la actualidad, acusó al arzobispo de Caracas de ser un falso por su cercanía a Nicolás Maduro[1] y elogió la valentía del cardenal Baltazar Porras por atreverse a criticar al gobierno. No obstante el clima de tensión institucional, la gente celebró con alegría la canonización de ambos santos, en especial la de José Gregorio Hernández, a quien el pueblo veneraba desde el mismo momento de su muerte. Podríamos decir que la canonización de José Gregorio Hernández reconoció la fe de la gente sencilla del pueblo venezolano.
Al clima de tensión político-eclesial, hay que añadir las amenazas del gobierno de Estados Unidos. Llevamos ya dos meses de presencia militar de Estados Unidos en el Caribe y, hasta ahora, no ha habido ningún pronunciamiento de la Conferencia al respecto. ¿Qué papel debe jugar la Iglesia en esta coyuntura? Esta pregunta está por responder. La Iglesia está debilitada internamente, pues carece de articulación debido a la falta de una reflexión orgánica y a las tensiones entre los diferentes obispos. El peligro es que la Institución eclesial se anule a si misma y no sea sacramento de diálogo y reconciliación en un momento donde su participación es importante y necesaria. Respecto al papel que pueda jugar la Iglesia, el propio gobierno de Maduro se muestra escéptico, pues parece haber perdido la confianza en ella.
Mientras la Iglesia permanece en silencio, asistimos al despliegue de ejercicios militares en algunos lugares de Venezuela, sin que ello haya afectado gravemente el ritmo de vida cotidiano de los venezolanos. Los ejercicios buscan demostrar la fuerza militar venezolana ante el despliegue de la flota de guerra de los Estados Unidos en el mar Caribe. No cabe duda de que el despliegue militar es desmedido para el fin anunciado: impedir el tráfico de drogas hacia territorio norteamericano. Resulta curioso que, en esta lucha contra el narcotráfico, Estados Unidos no haya querido contar con la colaboración del gobierno venezolano y, más bien, haya acusado a dicho gobierno de ser promotor y defensor del narcotráfico. A estas acusaciones hay que añadir que el gobierno de Trump acusa al gobierno de Venezuela de promover el terrorismo porque, dice, protege a una banda delictiva llamada Tren de Aragua.
Nada de esto sucede al margen del resultado de las elecciones de 2024, en las que Maduro y Edmundo González aseguran ser los ganadores. Cabe recordar que algunos gobiernos no reconocieron los resultados anunciados por el Consejo Nacional Electoral, lo que puso al gobierno venezolano en dificultades en el ámbito de las relaciones internacionales. Sin embargo, Rusia, China, Turquía e Irán fueron los países más influyentes que reconocieron la victoria de Maduro. Estados Unidos reconoció la victoria de Edmundo González, mientras que Europa prefirió no reconocer a ninguno de los dos y expresó sus dudas sobre las elecciones.
El gobierno norteamericano acusa a Venezuela de ser un narcoestado. La incertidumbre política y diplomática que generan las acusaciones del gobierno del norte contra el gobierno del Caribe permite vislumbrar algunas amenazas, sin que nadie sepa cómo se desarrollarán los acontecimientos en el futuro cercano.
¿Sólo se trata de droga? Venezuela en la Geopolítica
¿Por qué una amenaza militar tan agresiva en este momento? Según la Organización de Países Exportadores de Petróleo (OPEP), British Petroleum (BP) y la Agencia Internacional de Energía (AIE), el consumo de petróleo aumentará en los próximos años. El mundo requerirá más hidrocarburos y, si los países productores no hacen nada al respecto, los precios del preciado combustible podrían dispararse y provocar distorsiones económicas significativas incluso en países con economías bastante sólidas.
Venezuela es el país con las mayores reservas petroleras del mundo, lo que la hace muy atractiva para los Estados Unidos. Si a esto añadimos la cercanía comercial y la cooperación militar que mantiene el gobierno venezolano con los gobiernos de Rusia e Irán, países con una gran capacidad productiva petrolera y no aliados de los Estados Unidos, encontramos una razón que, al margen del narcotráfico, preocupa al gobierno norteamericano.
Venezuela parece ser, para el gobierno norteamericano actual, un territorio estratégico. Para nadie es un secreto que la política internacional se mueve menos por la diplomacia y más por las amenazas respaldadas por demostraciones de fuerza. No es casualidad que China haya exhibido el Fuijan, el portaviones más moderno y el segundo más grande del mundo, que el gobierno de Estados Unidos no haya querido enviar misiles Tomahawk alegando que los pueden necesitar (lo cual es una clara declaración de que están dispuestos a utilizarlos si es necesario), que los países de la NATO hayan accedido a aumentar el gasto militar hasta un 5% de su PIB y que la inteligencia israelí haya proporcionado datos a la Fuerza Aérea de estados Unidos para atacar las centrales nucleares de Fordow, Natanz e Isfahán. Pareciera que en todos los cálculos geopolíticos Venezuela forma parte de la ecuación.
Es difícil imaginar adónde nos conducen estos nuevos modos de hacer política y cuáles serán sus consecuencias en nuestro país. Los pueblos tienen cada vez menos poder de decisión en las aún llamadas democracias; la red transmite información que condiciona la visión de la situación local y mundial, y la guerra es una buena excusa para que los políticos mejoren su posición en las encuestas y mantengan el poder.
¿Qué quieren los venezolanos?
¿Qué quieren los venezolanos? En el contacto diario con la gente, lo que más se percibe es que quiere paz. Una paz política, donde haya entendimientos y acuerdos que permitan salir del país de la difícil situación en la que se encuentra. Este deseo generalizado está matizado por distintas visiones, según la clase social a la que pertenece el venezolano, si vive en el exilio o permanece en el país, y por las plataformas de información que utiliza. A este respecto es posible distinguir tres visiones contrastadas.
Una que observa lo que sucede en Venezuela desde fuera del país y toma como fuentes de información a noticieros y portales de noticias que afirman que todo lo que pasa en el país es malo y que el único culpable es el gobierno de turno. Esta visión sostiene que la única solución para Venezuela es un cambio de gobierno. La segunda visión es compartida por los partidarios del gobierno actual. Para esta facción, cualquier adversario del gobierno es considerado un enemigo del pueblo y un peligro para la estabilidad de la nación. Estos venezolanos viven en el país y aplauden lo bueno del gobierno y justifican lo malo, acusando a la oposición de ser la culpable del bloqueo económico que sufre la nación, lo que ha afectado negativamente la capacidad operativa del gobierno. Una tercera visión, que, a mi modo de ver, es mayoritaria, entiende que en el país convive más de una visión de país y que no se puede prescindir de ninguna de ellas. Los partidarios de esta visión suelen ser percibidos como rivales por los partidarios de las dos visiones anteriores.
Muchos venezolanos en el exilio están convencidos de que una intervención militar de Estados Unidos en el país cambiaría el panorama político. Es indudable que quienes así piensan creen que cualquier cosa que suceda mejorará la situación actual. Esta visión contrasta con la preocupación expresada por algunos medios internacionales, que ven con preocupación el agravamiento del conflicto. Los gobiernos de Europa y Gran Bretaña, tradicionales aliados de Estados Unidos, han expresado sus dudas sobre la legalidad del hundimiento de embarcaciones en aguas internacionales y lo han calificado de crimen. La ONU ha dicho abiertamente que lo que hacen los militares estadounidenses en las aguas del Caribe es ilegal, pero ninguna potencia mundial tiene la capacidad de detener el plan todavía no desvelado del gobierno de Trump.
En este contexto resulta extraño el silencio de los académicos y de la propia Iglesia. El miedo a equivocarse y a la impopularidad que cualquier opinión o estudio pueda generar pueden ser las causas de este silencio. En lo que se refiere al silencio de la Iglesia, considero que, a pesar de las divisiones internas que pueda haber en la jerarquía eclesiástica, debe actuar de manera profética.
Termino con una breve referencia a San José Gregorio Hernández. El ambiente político en el que este santo desarrolló su carrera profesional no era democrático; sin embargo, el santo supo dar un impulso a la medicina del país trabajando por los venezolanos y sacando lo mejor de cada uno de ellos. No hay que olvidar que fue el primero en introducir el microscopio en el estudio de la medicina en América Latina, que contribuyó al desarrollo de la escuela de medicina de la Universidad Central de Venezuela, de la que fue reconocido profesor, y fue autor de importantes artículos científicos de medicina. Todo este trabajo lo realizó el Dr. José Gregorio Hernández en un ambiente político adverso, actuando con inteligencia y aportando lo mejor de sí al desarrollo de Venezuela. ¡La Iglesia tiene algo que aprender de su santidad!
Iglesia, canonización, conflicto político y buques de guerra en el Caribe. La cuestión sigue abierta: ¿qué papel jugar en este crucial momento de la historia?
[1] Para entender la crítica de María Corina Machado es preciso hacer referencia a un video donde el arzobispo visita al presidente Nicolás Maduro para hacerle entrega de un afiche de la canonización e invitarlo a participar y alegrarse de la gran fiesta que debía engalanar al país. Este hecho fue tomado como un acercamiento simpático a una de las partes en conflicto, por lo que lo tildaron de falso.
settimananews.it/informazione-internazionale/santi-guerra-e-chiesa-in-venezuela/

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