Promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nell’ambito degli incontri internazionali per la pace in corso a Roma, quello che ha avuto luogo ieri nella grande sala dell’Auditorium Parco della Musica è stato probabilmente il primo simposio interreligioso sulla figura di papa Francesco.
Oratori di primo piano giunti da tutto il mondo, a cominciare dall’amico di più antica data, il rabbino argentino Abraham Skorka, si sono succeduti per tre ore davanti a un pubblico incredibilmente numeroso e attento, offrendo letture e analisi della figura di Jorge Mario Bergoglio e del suo impegno per il dialogo e la pace.
Si è andati dal sunnita egiziano Mohamed Abdelsalam Abdellatif allo sciita iracheno Zaid Mohammed Bahr Al-Uloom, dal vicario della diocesi di Roma cardinale Baldassare Reina al presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo al ministro degli affari religiosi indonesiano Nasaruddin Umar.
L’uomo Francesco
Ma è stato Antonio Spadaro a far venir giù la sala perché il suo intervento, basato come quello della giornalista argentina Elisabetta Piquè, sui ricordi del suo rapporto personale con il papa, ha fatto emergere non tanto l’inedito, quanto l’uomo e la profondità del racconto.
Elisabetta Piquè, corrispondente del quotidiano argentino La Naciòn che si occupava più di questa parte del mondo per il suo giornale che della Chiesa, ebbe notizia che Bergoglio, quando sarebbe stato a Roma per essere nominato cardinale, le avrebbe accordato un’intervista, cosa che a quel tempo faceva proprio raramente. Gli mandò, su richiesta, le domande in anticipo, poi si presentò alla Casa del Clero di Via della Scrofa dove soggiornava abitualmente. E si trovò davanti un uomo schivo, timido, che non era uso dare interviste perché “i giornalisti ci fanno una marcia nunziale o una marcia funebre”.
A ogni risposta che le dava si diceva “questo è il titolo”, poi, ovviamente, “non, questo è il titolo”, e così via: ma la scintilla venne dopo, quando lui la chiamò a casa, per dirle grazie. “È stata la sola volta che una persona di così alto rango mi ha chiamato per ringraziarmi di un’intervista”. È nata così un’amicizia che lo ha visto apprendere da lei che era incinta per subito toccarle la pancia benedicendo senza neanche chiedere di chi altri fosse; ciò che contava era la nuova vita.
L’amicizia ormai era sodalizio, con telefonate assidue, per sapere come stesse, come stesse la sua famiglia e cosa potesse raccontargli del mondo che lei, per lavoro, vedeva. Madre da poco, si trovò a partire per recarsi in una zona di guerra; “che fai?”, obiettavano in casa, “hai un figlio piccolo, è opportuno?” Chi la incoraggiò? Bergoglio. La donna non è fatta per stare a casa a stirar camicie, ha commentato la Piqué, simpatica e acuta come l’amico che ha ricordato. Elisabetta Piquè andava in Ucraina, e una volta che i giornalisti gli chiesero proprio dell’Ucraina lui disse “chiedo notizie a una vostra collega, Elisabetta Piquè”.
Ma il suo amico Bergoglio era simpatico non solo con gli amici. La prima conferenza stampa in volo, tornando dal Brasile, l’ha ricordata come travolgente, per domande su tutto e risposte su tutto. La mattina seguente il papa, fresco e riposato, passò a salutarli, ma tutti dissero di essere stanchi morti, avendo lavorato al servizio fino a poco prima: “ve la siete cercata”, rispose lui.
E pur nella stanchezza nessuno seppe resistere al desiderio di ridere (e di sentirsi capito). Forse è questa profonda simpatia e umanità che spiega perché arrivato in Indonesia abbia trovato l’aeroporto pieno di musulmani inginocchiati che chiedevano di essere benedetti, causando un grande ritardo nel programma.
Religione della simpatia
Questa simpatia è quella di cui poco dopo avrebbe parlato Marco Impagliazzo che ha colto il tratto umano di Bergoglio attraverso la sera della sua elezione, quell’impensata richiesta di benedizione da parte del popolo che ha subito fatto scattare la simpatia, nel senso più profondo del termine.
“Abraham Heschel – ha detto Impagliazzo – studioso ebraico del messaggio dei profeti, ne parla come di una religione della simpatia. Per Heschel il profeta è un homo sympatathetikos: la simpatia ha una struttura dialogica, quella del dialogo con Dio, ma anche quella del dialogo con la gente coinvolta nel pathos del profeta. Papa Francesco fin dall’inizio ha mostrato di essere un uomo coinvolto nel pathos di Dio, capace di vivere la simpatia per le donne e gli uomini. In un testo di esercizi spirituali ha scritto: un’altra tentazione è privilegiare i valori del cervello rispetto a quelli del cuore”.
Questo passaggio su Heschel dell’intervento di Impagliazzo è sembrato collegarsi perfettamente al punto d’arrivo del travolgente intervento di padre Antonio Spadaro, l’ecclesiastico e giornalista che lo ha accompagnato in 63 Paesi del mondo e che lo ha raccontato con passione e appassionando la sala, raccontandolo nella sua consapevolezza che la verità non si impone, ma si rivela nell’incontro perché siamo “Fratelli tutti”. È il papa romantico, perché capace di riportare al centro di tutto il cuore, come è divenuto evidente con Dilexit nos, non riducendo tutto a “fede-ragione, ragione-fede”, ma aprendo davvero il cuore.
L’esempio più sorprendente dei molti gesti che ha fatto riguarda la sua scelta di baciare i piedi dei leader politici che si scontravano in Sud Sudan e che arrivarono in Vaticano per cercare una composizione. Come tutti, sorpreso da quel gesto “assurdo”, Spadaro, divenuto inseparabile da Francesco da quando lo intervistò per la rivista che dirigeva, La Civiltà Cattolica, gli chiese cosa intendesse fare con quel gesto.
La risposta che ha citato è stata toccante, anzi commovente: Bergoglio gli disse che non ne aveva alcuna intenzione, ma all’improvviso entrando nella sala dell’incontro provò un tale senso di consolazione nell’immaginarlo che alla fine lo fece. Ecco perché, ritengo, che l’immagine che Spadaro ha evocato all’inizio del suo intervento è stata quella della fiamma, ricordando che da giovane gesuita scrisse: “Sappiamo bene che il fuoco della maggior gloria di Dio ci pervade avvolgendoci in una fiamma interiore”.
Facendo memoria
Così Spadaro ha aperto il libro dei ricordi ed è tornato davanti al tavolo dove, armato di registratore, intervistò per la prima volta papa Francesco per La Civiltà Cattolica, ricordando il conflitto che sentiva dentro di sé: ogni frase del papa entusiasmava il giornalista, convinto che quello sarebbe stato uno scoop. Ma oltre che giornalista Spadaro era, allora come oggi, anche prete e questo lo indusse a dire: “bellissimo, ma questo non lo scriviamo”.
Sapeva che sarebbe successo un maremoto, ma non sapeva che il papa gli avrebbe risposto così: “Certo che sì, te lo dico perché voglio che tu lo scriva”. Incredibile è stato poi il racconto delle loro telefonate. Ogni volta lo salutava chiamandolo “Padre Santo”, e Bergoglio: “Figlio Santo”. Padre Santo, figlio santo, Padre Santo, figlio santo a un certo punto è arrivato il momento: “Padre”, ha detto Spadaro, “Figlio”, ha risposto Francesco. Era davvero padre, ha aggiunto.
E infatti durante i viaggi, nelle conversazioni con i gesuiti presenti nei Paesi che visitava, ha raccontato che quando Francesco vedeva un trono preparato per lui si inalberava, si arrabbiava: lui voleva un incontro con “la comunità”. Non sorprende che abbia proseguito sostenendo che Bergoglio non apriva le porte della Chiesa, ma le spalancava, perché l’Altissimo potesse uscire fuori dalla Chiesa e scendere per strada.
Il successivo racconto sulla centralità concettuale, visiva, della Chiesa ospedale da campo si è collegato con un altro passo dell’intervento di Marco Impagliazzo, quando questi ha citato il discorso di chiusura del Concilio pronunciato da Paolo VI: “La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che la unisce a Dio, dell’uomo quale oggi si presenta… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”, per poi aggiungere: “Papa Francesco rappresenta certamente quello spirito del Concilio, quella simpatia immensa di cui parlava Paolo VI”.
Questa simpatia, per Spadaro, ha portato Francesco a sapere che l’avversario non è mai nemico, e contemporaneamente a parlare con chiarezza, convinto come era che la “fratellanza sia la sola alternativa all’apocalisse”. La sola alternativa…
Anche qui si può trovare un nesso importante con quanto sottolineato da Marco Impagliazzo, che ci ha ricordato che Francesco vedeva il grande rischio in “una tristezza individualista”: “Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi, non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri non si ascolta la voce di Dio non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene, molti cadono in questo e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita: invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù, chi rischia, il Signore non lo delude”.
Forse l’interminabile applauso che ha posto termine all’intervento di padre Spadaro ha confermato anche la profondità dell’affetto popolare per Francesco, da cui aveva preso le mosse questo incontro.
Fratellenza umana
Mohamed Abdelsalam Abdellatif ha ricordato i suoi 18 incontri con Francesco e in particolare si è soffermato sulla genesi del Documento sulla Fratellanza Umana che il papa firmò insieme al rettore dell’Università islamica di al-Azhar ad Abu Dhabi. Nel ricostruire la genesi del documento firmato con l’imam Ahmad al-Tayyeb ha ricordato che lui faceva la spola tra Roma e Il Cairo per consentire a entrambi di rileggere le bozze del documento, che rimase segreto fino alla fine. A consentire a entrambi di arrivare sin qui è parso di capire che sia stata importante la capacità di Francesco di costruire un rapporto non protocollare.
Zaid Mohammed Bahr Al-Uloom, dell’Istituto al-Khoei, ha posto ovviamente la sua a attenzione su un altro incontro storico, quello tra papa Francesco e il grande ayatollah al-Sistani a Najaf, la città santa irachena. La sua sua affermazione più significativa è che Francesco ha consentito che il dialogo diventasse un atto di fede, aggiungendo che il suo messaggio alla fine può essere riassunto così: la speranza esiste ancora.
Il cardinal Reina è partito dalla visita a Lampedusa, la sua prima visita apostolica, ricordando che quella visita nacque dalla lettera del parroco di Lampedusa che raccontava le sofferenze degli isolani per poi soffermarsi dettagliatamente sull’esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Ricchissimo di spunti è stato ovviamente il ricordo pronunciato dal rabbino Abraham Skorka che è partito da Giovanni Paolo II e dal suo ruolo nella costruzione del nuovo rapporto tra cattolici ed ebrei. In questo solco ha collocato Bergoglio, come il suo predecessore alla guida della diocesi di Buenos Aires. Dalla sua importantissima ricostruzione storica di quegli anni e poi della sua amicizia con Bergoglio si può enucleare un punto, la genesi del libro che scrisse con il papa.
Fu Skorka a proporlo a Bergoglio un libro su Dio che contenesse loro testi insieme a quelli, magari, di altri pensatori argentini. Bergoglio ci pensò e gli propose di procedere, ma diversamente, scrivendo su temi di interesse con un racconto comune, come la religione, i leader religiosi, i discepoli, la preghiera, la colpa, la Shoà, il terrorismo, gli anni oscuri dell’Argentina e altro.
Nasaruddin Umar ha ricordato il suo incontro in Indonesia con Bergoglio, commuovendosi quando sono state mostrate le fotografie di Bergoglio che gli baciava la mano e di lui che lo baciava sul capo, dicendo che questi gesti per lui sono stati un’esperienza spirituale, sentendo la presenza di Dio nel loro abbraccio che li confermava nella comune fratellanza.
Ma forse il momento più inatteso è stato quello successivo, quando Marco Impagliazzo ha chiamato sul palco, a sorpresa, Rino Anastasio, assistente di volo di ITA che ha compiuto 48 viaggi con Francesco: lui ha raccontato episodi sorprendenti, come la torta con spumante che Bergoglio volle far preparare a sorpresa per lui, che quel giorno in viaggio da Marsiglia compiva gli anni.
Ed ha concluso il suo discorso così: “Lui diceva sempre di essere un prete travestito da papa”.
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