Referendum: «Partecipare è custodire la democrazia», di Mons. Francesco Savino

Mons. Francesco Savino, vescovo della diocesi di Cassano allo Ionio, ha pubblicato lo scorso 3 giugno sul sito diocesano un comunicato a proposito dei referendum dell’8-9 giugno 2025 intitolandolo: Partecipare è custodire la democrazia: sull’importanza del voto referendario dell’8-9 giugno 2025. «Mi unisco a quanto già espresso da altri pastori», scrive il presule sollecitando i suoi cristiani alla partecipazione al voto: «Non si tratta di sostenere una parte politica, ma di custodire una visione alta e generosa della democrazia, come spazio comune di corresponsabilità e come bene fragile da proteggere ogni giorno».

Lo riprendiamo di seguito.
Nei prossimi giorni ci attende una tappa significativa della vita democratica del nostro Paese: il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno 2025. È un appuntamento che ci interpella non solo come cittadini, ma anche – per chi vive la fede cristiana – come custodi del bene comune e responsabili della speranza che ci è affidata.
La partecipazione consapevole al voto non è mai un gesto neutro: è espressione di civiltà matura, atto di fedeltà al progetto condiviso di società, forma alta e concreta di quella carità sociale che si fa impegno per tutti.
Come ci ricorda il compianto Papa Francesco in Fratelli tutti (n. 182), «la carità, cuore dello spirito pubblico, è anche la carità sociale e politica». Andare a votare, informati e consapevoli, è una forma concreta di questa carità che costruisce.
I cinque quesiti referendari interrogano le fondamenta stesse della nostra convivenza civile e il modello di società che intendiamo costruire insieme.
Non spetta a noi, né è opportuno, indicare come votare, ma è nostro dovere morale – come pastori e come cittadini – esortare ciascuno a non sottrarsi all’appuntamento con la propria coscienza e con la comunità.
In un tempo in cui cresce la tentazione dell’astensione strategica, occorre dire con chiarezza che l’astensione non è mai neutra. È un gesto che, pur legittimo dal punto di vista formale, può diventare una forma di «impotenza deliberata», un silenzio che svuota la democrazia del suo significato partecipativo.
Mi unisco a quanto già espresso da altri pastori: non si tratta di sostenere una parte politica, ma di custodire una visione alta e generosa della democrazia, come spazio comune di corresponsabilità e come bene fragile da proteggere ogni giorno.
Oggi più che mai, in una fase storica attraversata da processi di disaffiliazione sociale, disintermediazione politica e crescente sfiducia verso le istituzioni rappresentative, è necessario riattivare la consapevolezza che la vita pubblica non è un bene garantito dall’alto, ma una pratica quotidiana che si nutre del coinvolgimento di ciascun cittadino.
È nell’atto partecipativo, libero, informato, deliberativo, che la «res pubblica» ritrova il suo significato più autentico.
Il referendum, proprio perché ci chiama a esprimerci direttamente su disposizioni legislative che toccano nodi vitali della nostra coesistenza civile – come il diritto al reintegro per i lavoratori licenziati ingiustamente, la tutela nelle piccole imprese, il contenimento della precarietà contrattuale, la sicurezza negli appalti e, non da ultimo, l’accesso alla cittadinanza per chi vive stabilmente nel nostro Paese – rappresenta uno dei rari momenti in cui la sovranità popolare si manifesta senza intermediazioni.
In particolare, il quesito relativo alla cittadinanza interpella la nostra coscienza di credenti e di cittadini: ci chiede se sia giusto mantenere barriere temporali troppo lunghe per il riconoscimento giuridico a persone che da anni vivono, lavorano, studiano e partecipano alla vita delle nostre comunità.
Non si tratta di una concessione, ma del riconoscimento di una realtà già in atto: di una cittadinanza di fatto che attende di diventare cittadinanza di diritto, perché nessuno resti ai margini della casa comune.
In questi frangenti, la collettività democratica non è spettatrice ma protagonista. Non si vota per dovere rituale, ma per prendersi cura della polis, per sentirsi parte di una società civile che decide insieme, che si interroga, che sceglie in coscienza.
La vitalità della democrazia dipende dalla partecipazione attiva: dove mancano interesse e impegno, cresce l’apatia e si spegne il senso civico.  Chi si astiene per sfiducia o per tattica, ritenendo che nulla possa cambiare, abdica – forse inconsapevolmente – al compito che gli è affidato: quello di contribuire alla giustizia, alla pace, al bene comune. È un’assenza che pesa, perché priva il tessuto sociale di una voce, di un discernimento, di una coscienza.
E questo – permettetemi di dirlo – non è solo un limite politico, ma un rischio etico e spirituale: la rinuncia a essere co-autori della giustizia che invochiamo, della società che desideriamo.
Ricordiamoci che la nostra Costituzione definisce il voto non solo un diritto, ma un dovere civico. È un gesto semplice, eppure profondamente carico di significato: dire «ci sono», «mi assumo la mia parte di responsabilità», «voglio contribuire con coscienza a orientare il futuro».
Vi invito quindi ad affrontare questi giorni con spirito di discernimento, con desiderio di informazione, con la volontà di non restare ai margini.
Il coinvolgimento consapevole è un atto di speranza attiva, un modo per restituire alla nostra società l’anima che talvolta sembra smarrita. Non lasciamo che decidano gli altri al posto nostro.
Non rinunciamo alla facoltà di orientare con coscienza il cammino collettivo. Pronunciarsi è oggi un gesto profetico, un’opera di resistenza morale contro l’indifferenza che paralizza, un atto d’amore concreto verso un bene comune che domanda cura costante, memoria vigile e impegno condiviso.
È rendere visibile la propria voce: io ci sono, e credo ancora che la speranza fiorisca dove si intrecciano coraggio e scelta.
Con affetto e fiducia, buon discernimento.

settimananews.it/chiesa/referendum-partecipare-custodire-la-democrazia/

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