“Scaricati 660mila poveri” è il titolo con cui Avvenire – quotidiano della Conferenza episcopale italiana (Cei) – ha aperto l’edizione del 22 novembre per raccontare l’approvazione in consiglio dei ministri della manovra economica 2023. Quel titolo racconta anche un certo nervosismo nei rapporti tra la destra e il mondo cattolico, che in queste prime settimane trascorse dalle elezioni del 25 settembre è emerso di fronte ad alcune questioni importanti. La lotta alla povertà, in questo caso. Ma anche l’accoglienza dei migranti.
Il governo Meloni a inizio mandato era stato accolto dalle aperture di credito da parte sia del segretario di stato vaticano Pietro Parolin sia del presidente della Cei Matteo Zuppi. Ma già a fine ottobre sono cominciate le tensioni, quando l’esecutivo si è trovato decidere sulla sorte di alcune navi che avevano salvato in mare centinaia di persone in cerca di asilo e protezione umanitaria. In quei giorni le autorità hanno provato a imporre il divieto di ingresso nelle acque territoriali a quelle navi, nonostante le condizioni drammatiche delle persone a bordo. Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi si è spinto fino a definire “resto del carico che dovesse residuare” la parte dei migranti che sarebbe dovuta rimanere a bordo delle navi, poiché non autorizzata a scendere sul suolo italiano. In quelle stesse ore il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, ha invece affermato: “C’è un grido che sale dal Mediterraneo che non dobbiamo dimenticare, un grido che dice: salvami! La pace comincia nel salvare la vita e la speranza”.
A inizio ottobre, molto più duro sulla sorte dei migranti era stato papa Francesco. Intervenendo a braccio durante la messa per la canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, aveva infatti affermato: “L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale”. Successivamente il pontefice ha bacchettato però anche l’Unione europea, sostenendo che “non può lasciare a Cipro, alla Grecia, all’Italia e alla Spagna la responsabilità di tutti i migranti che arrivano alle spiagge”.
Diversità di vedute tra la destra e il mondo cattolico ci sono state anche sulla guerra in Ucraina. E, più in generale, è accaduto attorno a molte delle questioni che stanno a cuore alla destra stessa. Ne sono un esempio le preoccupazioni espresse dai vescovi all’inizio di settembre sull’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario, su cui si era al lavoro nella scorsa legislatura.
Un discorso più serio va fatto invece per quello che riguarda le relazioni tra la destra e il Quirinale. Ed è questo il secondo fronte aperto nelle poche settimane trascorse da quando la destra è al governo. Se infatti le frizioni con il mondo cattolico derivano da una legittima diversità di vedute di natura politica e lì si fermano, in almeno un caso con la presidenza della repubblica si è sfiorato un incidente istituzionale.
Ci si riferisce a una dichiarazione rilasciata dal presidente del senato Ignazio La Russa sulla telefonata tra il presidente Sergio Mattarella e il presidente francese Emmanuel Macron avvenuta per ricucire lo strappo con la Francia sui migranti. La crisi si era aperta a causa dell’atteggiamento del governo italiano sull’accoglienza. E la telefonata sembrava aver prodotto il risultato atteso.
È a quel punto che La Russa ha affermato: “L’opera del presidente della repubblica è sempre utile ma credo anche che la fermezza del nostro governo possa e debba essere condivisa”. In quel contesto, le sue parole sono apparse a molti come una sconfessione della presidenza della repubblica, fatto inaudito e inquietante anche perché La Russa rappresenta la seconda carica dello stato. Lo stesso La Russa di recente era già stato oggetto di critiche per il modo con cui sta interpretando il suo ruolo, e per certi interventi di natura politica che non ci si aspetterebbero da un presidente del senato.
La sensazione è che alcuni esponenti della destra stentino ancora a comprendere la responsabilità alla quale il voto degli italiani li ha chiamati, e preferiscano continuare a comportarsi come se ancora rappresentassero soltanto quella piccola comunità di camerati che per anni ha vissuto ai margini delle istituzioni. “I richiami della foresta, anzi di Colle Oppio, sono continui”, ha scritto il Foglio, alludendo a una storica sezione di partito dell’estrema destra romana. In quella condizione di marginalità, l’aver coltivato l’idea di essere politicamente accerchiati poteva apparire comprensibile. Lo è molto meno ora che la destra detiene il potere. Così come è incomprensibile l’uso di un linguaggio dai toni aspri, spesso recriminatori o comunque vittimistici, che con il tempo rischia anche di trasformarsi in un tratto caricaturale di quella stessa destra.
Sono peraltro gli stessi toni con cui, durante la conferenza stampa di presentazione della manovra economica del 22 novembre, Giorgia Meloni da presidente del consiglio si è rivolta ai giornalisti che le chiedevano più tempo per fare le domande. Il botta e risposta polemico ha avuto un seguito nelle cronache del giorno dopo. Quello con l’informazione è il terzo fronte aperto in poche settimane dalla destra al governo. Il quarto, considerando anche il piano internazionale e le tensioni con la Francia. Sono troppi. Il rischio è di danneggiare il paese.
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