Propagare vita, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo
(Lc 2, 16-21). 

Ogni festa, religiosa o civile che sia, è legata a una propagazione. Non è solo tipico dei contesti di festa, ma lo è, in fondo, tipico della vita. La vita si propaga, si trasmette, di tempo in tempo, di luogo in luogo, di generazione in generazione, di coppia in figlio. La vita propagata nel brano evangelico è quella del Verbo di Dio fatto uomo, del Figlio che ha assunto la natura umana. La propagazione di questo lieto annunzio è affidato, in prima istanza, ai pastori: riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. L’evangelista Luca sembra dirci tutto, ma in fondo ci dice ben poco. La domanda sorge spontanea: cosa fu detto loro? Non ci è dato di saperlo! E forse è meglio così.

Di ogni evento, incontro o festa ognuno propaga quello che lo segna di più. A volte non sono parole o gesti, ma solo emozioni o stati d’animo. A volte è la luce del volto o un tocco delle mani. Giovanni scrive nella sua lettera: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza (1 Gv 1, 1-2). Mi ha sempre colpito questa descrizione fisica, concreta dell’esperienza di Gesù, che Giovanni fa e trasmette agli altri. È l’esperienza che facciamo noi del Verbo della vita? 

Certo non siamo stati contemporanei del Gesù storico, non l’abbiamo toccato, ascoltato, visto, seguito sulle strade della Palestina. Questo si. Ma è anche vero che il nostro propagare, trasmettere l’esperienza di Gesù è spesso così fredda, cervellotica o ideologica. Non fu così per i pastori, per Giovanni e tanti altri testimoni, anche non contemporanei di Gesù. Propagare il Cristo è qualcosa che deve prenderci corpo, mente e cuore. Altrimenti non funziona. E Maria indica una strada maestra.

Nel vangelo odierno Luca annota: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2). Luca non ci ricorda il ruolo grande con cui Maria partecipa al racconto di Dio; ci ricorda, invece, che ella “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Nel suo “Enrico V”, riferendosi alla maturazione avvenuta nel giovane re, Shakespeare parla di una capacità decisiva in questa crescita: la “consideration”, ossia la riflessione, la meditazione, il discernimento, la ruminazione su quello che si fa. Tale riflessione o meditazione deve portare ad acquisire, verificare e fortificare quanto avviene nella nostra vita, quanto Dio ci manifesta e ci indica. Per alcuni aspetti il segreto delle grandi storie sta nell’umiltà e nella meditazione che le accompagnano. Maria lo ha fatto.

Vi auguro un buon anno, con meno tempo sui social e più tempo dedicato alla meditazione, e tanta, tanta propagazione di vita…

Buon Anno!

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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