Pierbattista Pizzaballa di Terra Santa, di Michele Ferretti

Le provocazioni contro gli abitanti di Taybeh si susseguono a ritmo sostenuto almeno dalla primavera del 2024. Già in quel periodo, coloni israeliani si resero protagonisti di intrusioni, della creazione di avamposti non autorizzati e di saccheggi all’interno del territorio. Da luglio di quest’anno le mandrie, ampiamente utilizzate come strumento oppressivo, vengono fatte pascolare sistematicamente in terreni agricoli di proprietà dei residenti palestinesi. Il chiaro obiettivo di limitare l’accesso ai campi e di danneggiare gli uliveti – principale fonte di sostentamento per la comunità locale – anticipa la rivendicazione della primazia sul terreno pascolato. Il 7 luglio, la tensione ha subito un’impennata, deflagrando nell’incendio appiccato nei pressi del cimitero locale e ai piedi dell’abside della chiesa bizantina di San Giorgio (Al-Khader), un edificio religioso risalente al V secolo e tra i più antichi della Palestina. L’11 luglio gli incendi sono stati appiccati direttamente vicini alle case, estendendosi stavolta fino al retro della chiesa di San Giorgio. Negli stessi giorni, attacchi analoghi hanno colpito anche Kfar Malik (tre palestinesi sono morti a seguito dei violenti scontri) e la sorgente acquifera di Ein Samia.
Taybeh è l’unico villaggio interamente cristiano della Cisgiordania, con una popolazione di circa 1300 abitanti. Vanta radici bibliche: è l’antica Ofra (Gs 18,23, una delle città della tribù di Beniamino), e l’Efrem dove Gesù si ritirò con i suoi discepoli prima della Pasqua (Gv 11,54). Situata a 15 km a nord-est di Gerusalemme e 12 da Ramallah, Taybeh è attualmente costellata di “insediamenti illegali” che si stringono in una morsa pressante sulla sua popolazione. Secondo i tre parroci locali – delle Chiese latina, melchita e ortodossa – questa stretta “minaccia la nostra esistenza nella nostra terra”, come indicato in un documento congiunto dell’8 luglio, un accorato appello alle autorità locali e internazionali.
In questo contesto di crescente violenza e vulnerabilità, la voce delle Chiese cristiane di Terra Santa si è levata congiunta. Mons. Shomali, patriarca vicario di Gerusalemme, intervistato da Agensir, riferisce che queste incursioni si verificano sempre in occasione di un silenzio dell’esercito israeliano, poco propenso a prendere le difese della popolazione palestinese e restìo a rischiare il coinvolgimento in uno scontro armato con gli stessi coloni. Come del resto riporta Giuliano Ferrara in un suo recente editoriale (Il Foglio, 8 luglio 2025), i coloni sono controversi per gli stessi cittadini di Israele, dove “abbonda un’opinione a loro duramente contraria che in nome di pace e convivenza li danna e li considera dei fascisti incompatibili con la vita della democrazia israeliana”.
Il 14 luglio, in uno scenario profondamente scosso dai recenti attriti, la visita di solidarietà dei patriarchi e capi delle chiese gerosolimitane – tra cui i patriarchi ortodosso Teofilo III e latino Cardinale Pierbattista Pizzaballa – emerge come una testimonianza radicale. Rivela una ‘grandezza della fede’ capace di informare le logiche del mondo oltre la riduzione meccanicistica. In un momento di unità delle Chiese di Terra Santa, la voce dei patriarchi ha levato un appello preciso affinché siano compiute “indagini trasparenti” sul mancato intervento della polizia a difesa dei residenti bersaglio di “atti abominevoli”. È stata altresì denunciata la diffusione di “attacchi sistematici contro i cristiani che si stanno diffondendo in tutta la regione”, a fronte di una “presenza della Chiesa che si protrae fedelmente in quest’area da quasi 2000 anni”.
La visita del 14 luglio non rappresenta soltanto un gesto di mera solidarietà ecclesiale. Si inscrive nel cuore di una più ampia visione pastorale che in Pizzaballa, tra gli altri, nei suoi decenni di servizio in Terra Santa, ha trovato un’elaborazione coerenteuna teologia della presenza che rifiuta tanto la fuga quanto l’illusione semplificatrice di una pace imminente. Per il Patriarca Latino di Gerusalemme, i luoghi santi non vanno semplicemente preservati come reliquie del passato, ma abitati come spazi di testimonianza attiva. “Non c’è incarnazione senza luogo”, ha dichiarato nel libro-intervista di Piergiorgio Pescali Il custode di Terra Santa (Add Editore, 2014).
Questa prospettiva si radica nella biografia stessa di Pizzaballa. Francescano formatosi nell’Ordine dei Frati Minori, divenuto Custode di Terra Santa dal 2004 al 2016, prima di essere nominato Patriarca Latino nel 2020, è stato creato cardinale da Papa Francesco nel 2023. La sua conoscenza profonda del contesto mediorientale e la sua formazione – dal 1990 a perfezionare gli studi e la conoscenza delle Sacre Scritture al Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme – gli hanno permesso di elaborare una pastorale che interpreta teologicamente la condizione strutturale del conflitto di Terra Santa. Nel 2023, a seguito dell’attacco di Hamas contro Israele, ha offerto se stesso come ostaggio in cambio della liberazione dei prigionieri rapiti il 7 ottobre.
Al cuore di questa visione sta la consapevolezza che la pace in Terra Santa è una scelta, da costruire a piccoli passi, ma concretamente assai difficile sul piano dell’accordo istituzionale. Tanto che “sembra sempre di essere vicini alla soluzione ma non si arriva mai alla pace” (Roma, in occasione della tavola rotonda “La pace è possibile? La crisi del Medio Oriente”, 2024). Non si tratta di pessimismo, ma di un realismo, politico e teologico, che riconosce nella difficoltà della pace umana l’apertura alla pace escatologica. Come ha affermato, gli “accordi di pace falliti perché teorici” (Pontificia Università Lateranense, 2024) e “parlare di pace è prematuro” (Avvenire, 3 luglio 2025) dimostrano che la via diplomatica, per quanto necessaria, non può raggiungere la radice del conflitto.
La missione della Chiesa, come ricorda nella sua meditazione sull’invio gesuano dei “settantadue discepoli” (Lc 10,1-12.17-20), non è orientata al fine di “produrre qualcosa” o “risolva i problemi dell’umanità”, ma “semplicemente è chiamata ad andare ovunque a dire che lì, proprio lì, il Signore sta venendo”. Può, invece, e deve, indicare un’altra via: quella della riconciliazione come scelta spirituale, non negoziata ma annunciata. Non promette di cambiare il mondo attraverso l’azione politica, ma testimonia una presenza che trasforma la storia attraverso modalità che sfuggono alla logica del potere. Questo annuncio gratuito è la dimostrazione di una grandezza discreta della fede che trascende ogni riduzionismo economicistico o geopolitico, ponendo il suo valore non nell’utile pragmatico, ma nella sua verità intrinseca.
La lamentazione biblicadai salmi di Davide ai profeti – diventa così il registro pastorale attraverso cui la comunità cristiana di Terra Santa non subisce passivamente la storia, ma la trasforma, richiamandosi direttamente al pianto di Gesù: “Se anche tu avessi compreso, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è nascosta ai tuoi occhi” (Lc 19,41-44). È una trasformazione che non avviene attraverso la vittoria o il successo, ma attraverso quella che possiamo definire una “trasformazione geologica: lenta, invisibile, ma capace di modificare la struttura stessa della realtà.
Taybeh, Gerusalemme, l’intera Terra Santa non sono semplicemente un villaggio o un’area sotto assedio, ma un laboratorio teologico dove si sperimenta questa forma di resistenza spirituale. La permanenza dei suoi abitanti cristiani, il loro rifiuto di abbandonare la terra degli avi, la loro capacità di mantenere viva la memoria biblica pur nell’assenza di prospettive politiche e sotto assedio perenne configurano una forma di testimonianza che eccede la dimensione meramente sociologica per assumere i tratti di una vera e propria santità comunitaria. D’altronde, come scrive Daniele Dell’Orco in riferimento alla Gerusalemme sofferente, tutti gli abitanti di Terra Santa assistono perpetuamente a “una storia di continue rappresaglie, escalation, effimeri accordi di cessate il fuoco, che sembra destinata a ripetersi in un turbine infinito” (Città Divise, Idrovolante Edizioni, 2022).
La presenza del Cardinale Pizzaballa e di Teofilo III a Taybeh il 14 luglio si inserisce così in questa cornice più ampia. Non è un gesto che mira a ottenere risultati immediati, ma una testimonianza di quella “presenza” che costituisce il cuore stesso del patriarcato gerosolimitano. In un mondo che misura tutto sull’efficacia e sui risultati, la Chiesa di Terra Santa testimonia un’altra logica: quella della fedeltà, della permanenza, della resistenza spirituale che trasforma la storia non attraverso la forza, ma attraverso la capacità di rimanere. In questo senso, la vicenda di Taybeh non è semplicemente cronaca di un conflitto locale, ma paradigma di una condizione umana e teologica che interroga la possibilità stessa della pace sulla terra.
È proprio in questa accettazione di farsi ‘debole’ agli occhi del mondo, nel suo offrirsi e nel suo perseverare con mitezza e verità, che la Chiesa di Terra Santa rivela l’eco della verità paolina: “la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza… quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,9-10). Questa è la promessa di una radicle trasformazione che trascende ogni calcolo e ogni fattibilità.

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