Perdono per me: e per gli altri?, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
(Mt 18, 21-35 – XXIV TO A)

Ho sentito molte volte dire: “L’ho perdonato già una volta! Ora basta!”. Restiamo ai numeri. Gesù ci invita a farlo settanta volte sette, qualcosa come un sette alla settantesima. Un numero enorme! Mentre noi, molto spesso, abbiamo già chiuso tutto dopo aver perdonato una sola volta?! Il solo confronto numerico basta per dire quanto siamo lontani dalla logica evangelica. La misericordia di Dio resta una delle cose più difficili da capire… non a caso non siamo Dio!

La parabola, che segue i calcoli numerici, ci aiuta a porre il problema anche da un’altra prospettiva. Noi siamo quelli che perdonano poco, eppure quando dobbiamo essere perdonati facciamo il diavolo a quattro. Come il servo che “prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Allora i conti non valgono più. Agli altri il perdono lo diamo con il bilancino di misure infinitesimali. Per noi, il perdono che vogliamo da Dio (e dagli altri), deve essere enorme. Che bei tipi siamo! Tuttavia il Signore non è come noi, grazie a Lui. Infatti “Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito”.

La parabola ci insegna anche che spesso, il perdono che ci è donato, da Dio o altri, non genera, a sua volta, perdono: “Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito”. Scena cruda e spietata, non solo per quello che il servo fa al suo pari, ma anche e soprattutto per il fatto che, qualche minuto prima, lui era stato condonato di diecimila talenti e ora non aveva un briciolo di pietà per (soli) cento talenti. Che mondo, direbbero in molti.

Ma è anche il nostro mondo: quello in cui si vuole perdono, tenerezza, comprensione, accoglienza, misericordia. Ma di ciò non si vuole dare molto agli altri, se non proprio niente. Vogliamo perdono e tenerezza da amici e areai e colleghi, ma spesso – se si tratta di poveri e migranti – di perdono e tenerezza, a loro, non ne diamo nemmeno lo 0,001. Si, perché il nostro mondo concepisce perdono e tenerezza solo nel privato. Per il resto è il mondo degli affari, tra i più avidi e biechi. Si picchia, si uccide, si abbandona gente in mare, si maltratta i deboli per strada, si violentano donne e piccoli… Scriveva William Shakespeare: «Lussuria, lussuria; sempre guerra e lussuria; non c’è nient’altro che rimanga di moda». Non so se in numero minore o inferiore dei tempi passati remoti o prossimi; sembrerebbe, che in termini epocali, il numero delle violenze sia diminuito. Quindi dobbiamo stare attenti all’effetto mediatico: l’impressione poche siano di più perché più velocemente e più abbondantemente ne veniamo a conoscenza. Tuttavia, che siano meno o più, basterebbe un solo piccolo, o donna, o povero, o cittadino straniero a essere violentato per tenerci vigili e desti, chiedendoci: stiamo diventando più cattivi verso gli altri, mentre vogliamo tanta bontà per noi? Molte volte si, purtroppo, anche in ambienti che dovrebbero essere più disponibili a solidarietà e accoglienza, come le comunità cattoliche e la sinistra politica. Invece, questi ultimi, molto spesso, più che testimoniare una controtendenza, si adeguano a cattiveria, razzismo e rifiuto di marca neofascista.

La crisi di perdono e misericordia, accoglienza e tenerezza è una crisi ampia, culturale. E’ segnata da fattori negatici quali l’invidia, sete di potere e brama di profitto. Dobbiamo imparare a ritornare alle nostre responsabilità: siamo servi condonati (e perdonati) per debiti di diecimila e i nostri pari ci chiedono di fare lo stesso per cento denari. Altrimenti sarà la fine. Se noi siamo irresponsabili, Dio non lo è mai: “Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». 

Farà cosi, senza ombra di dubbio. Sono sicuro che il Signore non lo dice per metterci paura (se non un po’ di sano timore) ma per darci una scossa: il mondo non va male solo per l’avidità e la cattiveria degli altri, ma anche per la mia. E non devo mai dimenticare che, se non esercito perdono e tenerezza verso tutti, “anche il Padre mio celeste farà con me se non perdono di cuore al mio fratello”.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS, Cassano, Bari]

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