Panetta: produrre armi non favorisce la crescita economica, di Carlo Marroni

La globalizzazione ha determinato una maggiore integrazione tra paesi e creato opportunità di progresso economico e sociale in molte regioni del mondo, «tuttavia ha mostrato limiti evidenti. Le attuali tensioni commerciali e geopolitiche sono segnali di un sistema che non è riuscito a rispondere appieno alle aspettative e ai bisogni della popolazione mondiale. Ogni giorno, migliaia di persone continuano a essere stroncate dalle privazioni e dalla violenza, spesso in conflitti fratricidi che sembrano senza fine. L’economia sembra essersi globalizzata senza una “coscienza globale”» . Il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, parla sul tema Pace e prosperità in un mondo frammentato, invitato a Bologna dal Centro San Domenico e dalla Fondazione Centesimus Annus, e ricorda l’impegno della Cei – presente il presidente cardinale Matteo Zuppi – «nell’affrontare le problematiche sociali ed economiche, con un’attenzione particolare alle disuguaglianze e ai conflitti».
Panetta nel suo intervento va al cuore dei problemi: «È necessario rilanciare l’integrazione economica e la cooperazione internazionale, correggendone i difetti con politiche che promuovano uno sviluppo sostenibile e inclusivo, capace di coniugare la crescita con il superamento della povertà, con la giustizia sociale, con la difesa dell’ambiente. La pace e la prosperità sono legate da un vincolo profondo. La pace – dice – non è solo l’assenza di conflitti, ma la creazione di condizioni che consentano a ogni individuo di vivere una vita dignitosa, libera dalla paura e dalla povertà». Allo stesso tempo, aggiunge , «una prosperità che non genera benessere diffuso è una prosperità effimera, che rischia di generare conflitti e instabilità».

La guerra non porta mai una crescita
Viviamo in tempi di guerre, ma non bisogna confondere il giro d’affari generato dai conflitti con la crescita sana: «Lo sforzo bellico sostiene la domanda aggregata e può stimolare l’innovazione, ma distorcendone gravemente le finalità. I benefici economici sono però transitori e non eliminano la necessità di riconvertire l’economia una volta concluso il conflitto, anche nei paesi coinvolti che non abbiano subito danni diretti sul proprio territorio. L’alta inflazione e il crollo del Pil che spesso caratterizzano le fasi belliche sono i segni dei danni che i conflitti provocano al tessuto economico». Insomma, «la produzione di equipaggiamenti bellici non contribuisce ad aumentare il potenziale di crescita di un paese. Lo sviluppo deriva dagli investimenti produttivi, non dalle armi. Non a caso, negli anni trenta Keynes proponeva di incrementare massicciamente la spesa pubblica per investimenti come soluzione alla depressione economica Usa, suggerendo al presidente Roosevelt di concentrarsi su «l’ammodernamento delle ferrovie» (ogni riferimento alla cronaca italiana è probabilmente casuale…, ndr). La guerra rappresenta dunque una forma di “sviluppo al contrario” e non può generare prosperità».

Allarmanti tensioni geopolitiche
Il mondo – precisa Panetta – si trova oggi di fronte a un aumento delle tensioni geopolitiche e dei conflitti «che non può non allarmarci. Il numero delle guerre, diminuito dopo la caduta del Muro di Berlino, è tornato a crescere negli ultimi quindici anni, raggiungendo nel 2023 il valore massimo dal secondo conflitto mondiale. In molte regioni del mondo la guerra – spesso fratricida – è una realtà quotidiana. Le cronache ci mostrano ogni giorno immagini drammatiche, che risvegliano angosce legate alle tragiche esperienze delle due guerre mondiali. Nell’Europa occidentale, dopo lungo tempo siamo tornati a porci la questione di un cospicuo aumento della spesa per la difesa. Ma non sono solo i conflitti a destare preoccupazione. La negazione dei bisogni primari che ancora affligge vasti strati della popolazione mondiale è anch’essa una forma di violenza».
Dopo anni di rafforzamento della cooperazione internazionale e dell’integrazione economica, «la storia sembra ora fare un passo indietro. È un mondo assai diverso dai tempi in cui ho iniziato il mio lavoro di banchiere centrale. Per molti aspetti è un mondo più incerto e meno fiducioso nel futuro». Quindi «la globalizzazione ha indubbiamente prodotto benefici, ma anche effetti indesiderati: «Oltre 700 milioni di persone soffrono per la carenza di cibo e acqua, mentre un numero ancora maggiore non ha accesso a un’adeguata assistenza medica. Quasi 700 milioni di individui vivono senza elettricità, e 2,3 miliardi utilizzano per cucinare combustibili e tecnologie dannose per la salute e inquinanti. Circa 250 milioni di bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni sono esclusi dall’istruzione; le disuguaglianze di genere sono gravi».
Una priorità è la gestione del debito estero dei paesi più poveri, «che ha raggiunto i 1.100 miliardi di dollari. È urgente riflettere sui meccanismi per alleviare l’onere di tale debito, che in molti paesi ostacola gli investimenti produttivi e frena lo sviluppo. Le iniziative in corso sono rese più complicate dalla presenza di nuovi creditori rilevanti, come la Cina, e dalle attuali tensioni geopolitiche. Accelerarle sarebbe un passo concreto verso la soluzione».

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Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

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Cerchiamo giovani che desiderano fare domanda per i nostri progetti, evidenziare sui siti la ricerca dei volontari, promuovere incontri informativi.

Al seguente link trovate tutte le schede sintetiche dei progetti finanziati promossi da CIPSI e pubblicati sul nostro sito, anche quello di Cercasi un fine:

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