Non chiamatela guerra, di Ibrahim Faltas

Oggi più che mai la Terra Santa ha bisogno di gesti concreti di verità e di parole che si possano tradurre in atti di giustizia.
La parola “guerra” fa pensare ad eserciti che si affrontano, non sempre ad armi pari, e fa pensare a vincitori e vinti. La parola “pace” fa pensare a diritti e doveri reciprocamente riconosciuti dai popoli, non solo all’assenza di guerra.
La Terra Santa soffre e il dolore non si può pesare, misurare, calcolare, non ha nazionalità, religione, colore della pelle. Soffre chi perde un figlio, spesso più di uno, soffre chi ha fame, soffre chi è malato e ferito, soffre chi aspetta da più di 600 giorni persone care, ostaggi di cui non si conoscono le condizioni di vita o di morte.
Venerdì 6 giugno i musulmani ricorderanno la Festa del sacrificio, festa che fa memoria del sacrificio di Abramo a cui Dio chiese di sacrificare il suo unico figlio. L’anno scorso, negli stessi giorni, trascorsi otto mesi dal tragico 7 ottobre 2023, ricordavamo la fede profonda di Abramo che crede fermamente in Dio e, anche con il cuore straziato, si affida alla Sua volontà.
Abramo doveva scegliere! L’amore senza confine per il figlio unico e amato o l’amore senza costrizione per Dio che mai avrebbe tradito il suo amore?
A Gaza non si può scegliere. Si subisce il male senza poter scegliere il bene. A Gaza la morte arriva dal cielo e dalla terra: non si possono evitare le bombe e non si può evitare la morte se ti avvicini al cibo, mortificato e umiliato dalla fame e senza il diritto umano e riconosciuto di essere sfamato. Per questi e per tanti altri motivi, non chiamatela guerra.
Sono lontani i giorni e il ricordo della festa del Sacrificio: giorni di gioia, di riunioni familiari, di regali e di vestiti nuovi. La tradizione di mangiare carne di agnello, animale mite come Abramo, non è solo segno di condivisione familiare perché il cibo viene offerto anche ai poveri, a chi non può gioire. Anche quest’anno non ci saranno agnelli da mangiare e da offrire. A Gaza tutti sono poveri e bisognosi di tutto. Manca il cibo, l’acqua, la possibilità di curarsi e di continuare a vivere, manca persino la possibilità di coprire i morti perché mancano i sudari.
Nei giorni della Festa del sacrificio, come l’anno precedente, la gente di Gaza soffre e muore. Non ha scelta. Mentre una mano offre sopravvivenza con il cibo, l’altra mano impugna strumenti di morte. Si allargano confini per conquistare terre e si disegnano nuove strade per dividere. Si impone di lasciare case distrutte e rifugi improvvisati, cercando di togliere il «focolare» ad un popolo. La parola «focolare», scelta non a caso, rivela la profonda onestà intellettuale e civile del Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, un uomo saggio, un uomo di pace.
Le parole non sono solo suoni. Le morti dei bambini a Gaza e nel mondo hanno il suono lacerante della disumanità. Non chiamatela guerra, i bambini di Gaza non l’hanno voluta, non hanno avuto scelta.

osservatoreromano.va/it/news/2025-06/quo-129/non-chiamatela-guerra.html

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