Noi davanti all’intelligenza artificiale. Consapevoli della posta in gioco, di Andrea Lavazza

Gli esperti dicono che il digitale è una tecnologia trasformativa, cioè capace di impattare sull’intera società, provocandone un mutamento. L’intelligenza artificiale (IA) che del digitale è ormai una parte importante lo è forse ancora di più. Di fronte ai cambiamenti, ciascuno di noi, legittimamente, chiede che non siano imposti e che non imponga un prezzo che supera i benefici. L’IA non è qualcosa di facilmente identificabile nelle sue conseguenze per le nostre vite. ChatGPT, l’assistente virtuale quasi onnisciente, ha fatto irruzione positiva esattamente un anno fa, offrendosi come uno strumento utilissimo per il lavoro, lo studio e lo svago.
Oggi stiamo però scoprendo che potrebbe rubare occupazione nelle aziende, impegno e capacità a scuola, creatività nel nostro tempo libero. Sono questi effetti che nessuna regolamentazione nazionale o sovrannazionale potrebbe evitare. Le leggi sono in grado di agire su altri aspetti ugualmente decisivi: ad esempio, la raccolta e l’uso indiscriminato di dati personali per profilare e affidare ad algoritmi decisioni di entità pubbliche e private sugli individui in campo penale, sanitario e assicurativo (solo per citarne alcuni). In questi giorni a Londra se ne è parlato come tema globale e una dichiarazione è stata firmata da Ue, Usa, Cina e Gran Bretagna. Ma è chiaro che serve ben altro per imbrigliare uno strumento generale che si presta a mille utilizzi, benefici e malevoli. Gli Stati Uniti hanno appena varato la propria normativa, l’ha fatto la Cina – e le regole sono molto diverse -, lo sta per fare l’Europa. Uno dei rischi che molti studiosi stanno segnalando è che si perda la fiducia come invisibile collante sociale. In genere, ci fidiamo di quasi tutto quello che vediamo e sentiamo (vale anche per i più diffidenti). Senza la fiducia di base, l’esistenza quotidiana diverrebbe un’insostenibile corsa a ostacoli.
Ma oggi l’IA si sta rivelando capace di creare falsi (fake) di ogni tipo: immagini, voci, testi, interi ambienti. Del tutto indistinguibili dal reale e capaci di ingannare chiunque, mentre sempre di più siamo immersi nel mondo digitale. Si salda a questo allarme quello lanciato a proposito delle minacce al dibattito pubblico e ai processi democratici. L’inquinamento informativo fatto di messaggi infondati o tendenziosi sempre più mirati e persuasivi si è già mostrato foriero di eventi gravi, come l’assalto al Congresso americano il 6 gennaio 2021. Tutto questo potrebbe diventare più facile e frequente. Forse sono previsioni troppo negative, come spesso accade di fronte a novità che spaventano per quanto rapidamente e pervasivamente si affermano. D’altra parte, sono molti i ricercatori che hanno lanciato un monito alla cautela verso ulteriori progressi nel settore dell’intelligenza artificiale. Non esiste però un sistema centralizzato che guidi questo processo.
Ci sono, certo, alcune grandi società che controllano parte del mercato. Tuttavia, la tecnologia diventa presto alla portata di tanti, capaci di replicarla e modificarla. In che modo dovremmo allora rapportarci a questa rivoluzione in cui, volenti o nolenti, siamo immersi? A questo proposito, può essere plausibile istituire un paragone tra IA e globalizzazione, processi diffusi e non decisi da pochi, anche se caratterizzati da forti squilibri di potere. È noto che l’abbattimento delle barriere legali e fisiche ha prodotto fenomeni altamente positivi così come ricadute negative di lunga portata (gli stessi movimenti populisti ne sono in parte figli). Governare la globalizzazione è qualcosa di cui si è infinitamente discusso con risultati concreti a vari livelli (regolazioni, interventi politici ed economici, locali o più generali). Ma nessuna singola entità è apparsa capace di frenare il fenomeno in sé (sebbene resti da trovare un consenso sulle scelte concrete da operare). Lo stesso potrebbe forse accadere con l’IA, laddove limitazioni ai versanti negativi dei nuovi strumenti non saranno mai completamente efficaci e c’è il rischio di fare poi i conti con sommovimenti ben più vasti di quelli preventivati.
Che cosa può quindi fare ciascuno di noi? Innanzi tutto, diventare consapevole della posta in gioco. Quindi, tenersi informato sull’ingresso degli algoritmi nelle nostre pratiche quotidiane e non dare ingenue approvazioni alla cessione dei dati e alla sostituzione degli operatori umani con quelli digitali. Non significa opporsi al nuovo ma tenere aperti spazi anche per chi voglia, almeno in parte, restare “analogico”. Nessuno però può farlo da solo. Sollecitare i rappresentanti eletti perché siano promotori di politiche responsabili, inclusive e rispettose dell’autonomia personale è un altro compito che gruppi di cittadini sono chiamati ad assumersi. Così come risulterà fondamentale un dialogo aperto tra tutti gli attori coinvolti, dagli scienziati alle società tecnologiche alle organizzazioni e ai portatori di interessi. L’intelligenza artificiale è qui per restare. E di essa continueremo a parlare. Sarà importante non credere a chi vuole convincerci che è solo un mezzo, neutro, e che basti usarlo bene. Ma non dimentichiamo nemmeno che è un prodotto dell’intelletto umano e che noi umani, con i nostri valori e i nostri principi, dobbiamo rimanerne al comando e in controllo.
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/noi-davanti-allintelligenza-artificiale-consapevoli-della-posta-in-gioco

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