A un mese e mezzo dalle elezioni che hanno portato Giorgia Meloni alla presidenza del consiglio, le voci dei giovani della destra radicale
Sono passate sei settimane da quando Fratelli d’Italia è diventato il primo partito in Italia con il 26 per cento dei voti e nella sede romana di via Sommacampagna, a pochi metri da Porta Pia, è un viavai continuo: i militanti di Gioventù nazionale, il movimento giovanile del partito, stanno risistemando il loro quartier generale.
Salvatore Perfetto, 26 anni, si è trasferito a Roma da Corigliano Calabro, un paese della Calabria, per studiare scienze politiche, e da allora partecipa alle riunioni settimanali e ai campi scuola estivi di Gioventù nazionale e organizza il “lavoro culturale” con i più giovani, “cose che gli altri partiti ormai non fanno più”. Dice che la passione per la politica gli è venuta a 17 anni, seguendo i comizi nel suo paese. A casa sua, racconta, non si parlava di politica. Sua madre fa la cuoca in una residenza per anziani, suo padre lavora come elettricista per l’Enel. Ha una fidanzata “di sinistra” ma lui dice di riconoscersi “in questa destra perché valorizza e protegge le comunità”.
Sui pavimenti ci sono pacchi di volantini gettati alla rinfusa e barattoli di colla utilizzati per affiggere in tutta la città i manifesti con il volto di Giorgia Meloni e lo slogan “Pronti a risollevare l’Italia” o con la scritta “Patrioti vs globalisti”. L’unica ragazza presente, “la nostra Giorgia Meloni” come la chiama Perfetto, sta facendo le pulizie, mentre i ragazzi sono seduti a chiacchierare tra loro.
Gli striscioni srotolati ai comizi sono stati messi in un angolo. Per il momento rimarranno lì. Il 25 settembre, quando ancora lo spoglio delle schede non era terminato ma il successo di Fratelli d’Italia era chiaro, il partito ha dato l’ordine di non festeggiare pubblicamente e i militanti hanno ubbidito. Secondo il quotidiano il Foglio, la stessa Meloni avrebbe inviato un sms ai deputati la sera delle elezioni chiedendo di evitare festeggiamenti.
La notte del voto, ad aspettare le prime dichiarazioni dei politici nella sede del comitato elettorale, nell’hotel Parco dei Principi a Roma, c’erano più giornalisti che militanti. Lo stesso è accaduto nella sede romana di Fratelli d’Italia a via della Scrofa, in centro. Per le vie di Roma non sono risuonati cori da stadio e non si sono visti saluti romani. Nel 2008, quando Gianni Alemanno era stato eletto sindaco della capitale, le braccia tese sulla scalinata del Campidoglio avevano fatto il giro del mondo, e Giorgia Meloni ha voluto evitare che succedesse di nuovo, anche se per la prima volta dal dopoguerra il partito che discende dal Movimento sociale italiano (Msi), fondato nel 1946 dai reduci della Repubblica di Salò, è diventato la prima forza politica del paese.
“Anche questo è un segnale politico, o no?”, dice Simone D’Alpa, jeans, maglietta blu e barba da hipster, a 31 anni uno dei veterani di un movimento che ha 50mila iscritti in tutta Italia, ottomila dei quali a Roma. “Abbiamo pensato che non ci fosse nulla da festeggiare, anche per rispetto alla difficile situazione del paese e a quello che ci aspetta al governo”, aggiunge Sonia Giglietti, vicesegretaria dell’associazione Ambiente e/è vita.
Lo storico Francesco Filippi, esperto di destre e autore tra l’altro di Ma perché siamo ancora fascisti? (Bollati Boringhieri 2020), non è sorpreso da questa reazione controllata. Secondo Filippi è dovuta a “uno shock da vittoria”: “Sognavano da decenni di andare al governo ma non si aspettavano un successo così ampio in un momento tanto difficile dal punto di vista economico e internazionale, e sono bloccati dalla paura di perdere tutto in pochi mesi”. Per questo “non hanno stappato il prosecco per festeggiare”.
Il giorno dopo le elezioni, D’Alpa si è messo a imbiancare le pareti della sede di Gioventù nazionale. “Il partito ha mandato un imbianchino solo per i loro uffici”, che si trovano nello stesso palazzo, dice. Su una parete spicca una gigantografia stilizzata di Gabriele D’Annunzio. Su quella di fronte, tra una frase di Tolkien e la scritta XMas – è “l’abbreviazione di Christmas”, dice D’Alpa, anche se ovviamente fa pensare alla Decima Mas, l’unità militare speciale della Repubblica di Salò – alcuni ritratti rivelano i riferimenti culturali dei militanti che hanno sostenuto la destra arrivata al governo. In alto a sinistra c’è Bobby Sands, l’attivista dell’Irish provisional army (Ira) morto in carcere nel 1981 in seguito a uno sciopero della fame per chiedere il riconoscimento dello status di prigionieri politici. Sotto di lui Ettore Muti, squadrista della prima ora e alla fine degli anni trenta segretario del Partito nazionale fascista.
Seguono Italo Balbo, organizzatore dello squadrismo agrario in Emilia-Romagna e in seguito governatore coloniale della Libia, e Filippo Corridoni, un sindacalista rivoluzionario amico di Benito Mussolini e morto durante la prima guerra mondiale. E ancora, i filosofi Julius Evola, Ernst Jünger e Friedrich Nietzsche, e la politica argentina Evita Perón. “Ascoltiamo senza problemi anche la musica di Guccini, anche se non ha le nostre idee”, dice D’Alpa. A Salvatore Perfetto piace Ernesto Che Guevara, “una persona che ha lottato per le sue idee”.
Della guerra in Ucraina i militanti romani di Gioventù nazionale non parlano volentieri
Da quando nel marzo 2020 l’allora sindaca di Roma Virginia Raggi ha sfrattato Fratelli d’Italia dagli uffici di Colle Oppio sostenendo che erano “occupanti morosi con contratto scaduto nel 1972”, quella di via Sommacampagna è rimasta la più antica sede della destra che discende dall’Msi a Roma. In queste stanze negli anni settanta si riuniva il Fronte della gioventù e trasmetteva Radio Alternativa, fondata dal giovane Teodoro Buontempo, leader della destra sociale romana noto per le sue maratone oratorie in consiglio comunale. Il 2 febbraio 1977 fu pure assaltata e data alle fiamme dai militanti di Autonomia operaia.
Oggi di quella stagione rimane il simbolo della fiamma, che per alcuni rappresenta la fiaccola sulla tomba di Benito Mussolini e per altri lo stemma degli Arditi, un reggimento del Regio esercito italiano. Di fatto, rappresenta la continuità della tradizione politica post-fascista. In un’intervista rilasciata al settimanale britannico The Spectator, Meloni se n’è detta “orgogliosa”, spiegando che quella fiamma “non ha niente a che fare con il fascismo, ma è il riconoscimento del viaggio fatto dalla destra democratica attraverso la storia della nostra repubblica”. Secondo Giglietti di Ambiente e/è Vita, “i giovani di oggi non sanno nulla di cosa è stato il fascismo, ne conoscono gli orrori e ne vogliono stare ben lontani, ma il loro problema è che si ritrovano con i debiti e sono costretti a emigrare”.
Simone D’Alpa abita nel quartiere Trieste, nel nordest della capitale, lavora come grafico e fa politica da quando aveva 17 anni, prima in Alleanza nazionale e ora in Fratelli d’Italia. Ha già visto il centrodestra al governo con Silvio Berlusconi, ma “nel Popolo delle libertà non c’era molto spazio per noi” e i rapporti di forza questa volta si sono invertiti. “In quindici anni che faccio politica, non avevo mai visto una crescita di consensi così rapida”, dice.
Alle elezioni del 2018, Fratelli d’Italia aveva ottenuto poco più del 4 per cento, poco meno di un milione e mezzo di voti in totale. Ora sono 7,3 milioni, quasi sei milioni in più. Per questo i militanti di Gioventù nazionale pensano che oggi sarà diverso. “Mi aspetto un governo di destra”, dice D’Alpa enfatizzando l’ultima parola. Questo non vuol dire che “vogliamo cancellare la legge sull’aborto” e neppure che “chiederemo lo scioglimento concordato dell’eurozona come abbiamo fatto in passato”, ma che, per esempio, “sull’adozione vanno privilegiate le famiglie eterosessuali” e che l’Europa deve diventare una “nazione” e non essere solo un’unione finanziaria, governata da tecnocrati.
La pensa allo stesso modo il presidente romano di Gioventù nazionale, Francesco Todde, che è seduto sotto una gigantografia di Meloni. Todde ha 31 anni, vive a Trastevere e gestisce alcuni bed and breakfast in città. Secondo lui il nuovo governo dovrebbe per prima cosa aiutare le giovani coppie, “perché oggi è quasi impossibile fare un figlio e ottenere un mutuo per comprare casa”. Poi dovrebbe “eliminare il reddito di cittadinanza, che è diventato una mancetta di stato”, “riqualificare gli istituti tecnici per formare le professioni del futuro”, “aiutare i giovani imprenditori” e “destinare gli edifici abbandonati nelle periferie a incubatori di startup o a spazi di aggregazione giovanile, piuttosto che lasciare che vengano occupati e poi sgomberati”.
Della guerra in Ucraina i militanti romani di Gioventù nazionale non parlano volentieri. Tutti ribadiscono la linea ufficiale del partito, atlantista e dalla parte del governo di Kiev. “Nei mesi scorsi abbiamo organizzato una carovana che ha portato degli aiuti ai profughi al confine con la Polonia”, racconta Todde. La spedizione è arrivata a Rzeszów, dove ha incontrato alcuni sindaci della zona e altri esponenti politici che hanno apprezzato il “grande spirito di collaborazione tra il popolo italiano e quello polacco”, ha spiegato Fratelli d’Italia in una nota.
Il centro sociale di destra vicino a Fratelli d’Italia
Affacciato su una strada a pochi passi dalla stazione di Campo di Marte, a Firenze, c’è un “centro sociale di destra” vicino a Fratelli d’Italia. Si chiama Casaggì e si definisce “uno spazio identitario”. Al suo interno ospita un pub dove spiccano i ritratti del gerarca fascista Alessandro Pavolini con la divisa delle Brigate nere e del capo indiano Toro Seduto, del poeta statunitense Ezra Pound e del giornalista francese Robert Brasillach, direttore della rivista antisemita Je suis partout e condannato a morte per aver collaborato con il regime di Vichy. Ci sono pure una palestra di arti marziali e la casa editrice Passaggio al bosco, un progetto ispirato dai concetti di “ribellione interiore” e “resistenza spirituale al dominio della tecnica” del filosofo tedesco Ernst Jünger.
Tra i libri pubblicati da Passaggio nel bosco, ce n’è uno sul Donbass: “Un viaggio nella geopolitica dell’Est Europa, dove le consorterie occidentali perseguono lo scopo di minare la potenza russa, alimentando tensioni religiose, etniche e sociali”, si legge sulla quarta di copertina. La postfazione è del filosofo russo ultraconservatore Alexander Dugin, uno dei principali ideologi dell’invasione dell’Ucraina. “L’unica speranza per l’Europa e il continente eurasiatico è un riavvicinamento alla Russia”, che è un “simbolo della resistenza globale all’inciviltà”.
Dopo lo scoppio della guerra, però, i militanti di Casaggì hanno solo organizzato un incontro su Twitch per ricostruire la storia del conflitto “senza assumere l’atteggiamento del tifoso”. “La scelta di campo del partito di cui sono parte integrante li ha messi nell’imbarazzante situazione del non potersi schierare”, ha commentato il periodico online dell’Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi), Patria indipendente.
“E’ chiaro che hanno un problema, visto che Vladimir Putin sul piano geopolitico e Dugin sul piano intellettuale per loro sono stati riferimenti forti in questi anni, perché hanno dimostrato che si può pensare di governare un paese superando la democrazia liberale e perfino metterlo in pratica”, commenta Guido Caldiron, giornalista del quotidiano il Manifesto e autore di numerosi libri sulle destre.
L’europeismo e l’atlantismo, l’invio di armi all’Ucraina e perfino il sostegno alle misure contro il covid hanno diviso i movimenti di estrema destra, da Casapound a Forza nuova, che alle elezioni del 25 settembre non hanno appoggiato Fratelli d’Italia. “Non li abbiamo mai fatti confluire nel nostro partito e non abbiamo nulla a che vedere con loro”, sostiene Simone D’Alpa.
Contattati dall’Essenziale, i militanti di Casaggì hanno detto che non rilasciano dichiarazioni “a titolo personale” e che non vogliono incontrare nessuno. Hanno chiesto di mandare le domande per email: “Le valuteremo e decideremo se rispondere”. Le domande sono state inviate ma a tutt’oggi non hanno risposto.
Negli stessi giorni uno dei leader, il fondatore di Passaggio al bosco Marco Scatarzi, rispondeva attraverso il suo profilo Facebook a chi contestava l’eccessiva vicinanza del gruppo alla destra istituzionale. L’accusa è arrivata dopo che il 4 ottobre i tre consiglieri toscani di Fratelli d’Italia hanno approvato un articolo dello statuto regionale che dice: “L’antifascismo e la Resistenza costituiscono le radici della Regione Toscana”. “Dovremmo smettere?”, si legge nel post in cui Scatarzi replica alle accuse. “Recidere ogni sinergia? Abbandonare ogni collaborazione e darci alla macchia? Lavorare alla costruzione dell’ennesima formazione da prefisso telefonico? Rinunciare anche a quel poco che possiamo far passare, in un quartiere o in un comune, perché qualcuno in un partito al 26 per cento, nel quale ci siamo limitati ad eleggere dei ragazzi, senza aver mai preteso di poterlo cambiare o dirigere – ha fatto o detto qualcosa che non condividiamo?”.
Sul fascismo, così come sulla guerra in Ucraina, i giovani di Fratelli d’Italia sono ambivalenti. Secondo Filippi, stanno prendendo tempo: “Per ora mi pare che abbiano deciso di accettare la linea di Meloni sull’economia, sull’Europa e sul fascismo, in attesa di vedere se ci saranno dei cambiamenti concreti nelle politiche sociali e sulla famiglia”, dice.
Gli adesivi contro lo schwa
All’inizio di ottobre, pochi giorni dopo le elezioni, nell’università di Torino sono comparsi degli adesivi con uno schwa color arcobaleno barrato e rovesciato, e la scritta “tieni pulita la tua università”. Negli stessi giorni, in città si svolgeva la conferenza annuale dell’European pride organizers association, con 160 delegati dei movimenti lgbt+ arrivati da tutta Europa per decidere dove si sarebbe svolto l’Europride del 2025. Torino era in corsa insieme a Lisbona, e al termine della riunione è stata scelta la capitale portoghese.
Gli adesivi erano firmati Fuan-Aliud. La prima sigla riecheggia il Fronte universitario d’azione nazionale, il movimento giovanile dell’Msi sciolto nel 1996 dopo il congresso di Fiuggi che portò alla nascita di Alleanza nazionale; la seconda rimanda a un altro “centro sociale di destra” che a sua volta si ispira ai fiorentini di Casaggì. L’università ha fatto subito ripulire i muri, precisando che “sostiene e supporta politiche operative e strumenti come il linguaggio di genere”, l’assessore comunale alle politiche sociali Jacopo Rosatelli ha condannato la “provocazione del gruppo di estrema destra” e l’Arcigay ha parlato di “adesivi omolesbotransfobici” firmati da “organizzazioni studentesche di stampo fascista”.
L’iniziativa ha diviso pure la destra. “Fuan-Azione universitaria è l’associazione giovanile di Fratelli d’Italia, Aliud è un’organizzazione esterna al nostro partito. Evidentemente utilizzano la sigla Fuan per creare confusione”, ha detto la deputata torinese di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli al quotidiano la Repubblica. Azione universitaria ha preso le distanze dall’iniziativa, spiegando che “nessuno degli studenti ascrivibili al gruppo Aliud figura nell’organigramma del nostro movimento o risulta ricoprire incarichi in Azione universitaria”.
Nella sede di Aliud non la pensano allo stesso modo. “Siamo presenti come Fuan all’università, dove abbiamo dodici rappresentanti, e come Azione studentesca negli istituti superiori, molti di noi sono anche militanti di Fratelli d’Italia”, spiegano. Invece, “nessuno di noi milita in Gioventù nazionale”.
Come a Casaggì, anche qui ci sono un bar e una sala riunioni con una libreria che ha in bella vista i libri di Passaggio al bosco.
Nell’atrio e nel bagno le mura sono tappezzate di adesivi antifascisti o dei movimenti lgbt+. C’è pure una bandiera rossa della Fiom-Cgil, il sindacato dei metalmeccanici. Sono tutte a testa in giù, come la schwa sull’adesivo contestato. I ragazzi di Aliud lo definiscono “un gesto futurista”.
“L’università di Torino ha cominciato a fare i comunicati utilizzando lo schwa e noi abbiamo voluto lanciare una provocazione contro la modifica forzata della lingua”, spiega Francesco Ronchiero, 26 anni, ex studente di lettere moderne ora alla ricerca di lavoro (“ma prima o poi riprenderò gli studi”, dice), figlio di genitori che definisce post-sessantottini.
“Mio padre era del Pci e ora parteggia per il Partito comunista di Marco Rizzo, con lui ho scoperto di avere molte cose in comune, su diversi argomenti non siamo distanti, mia madre invece ha votato Pd e sul gender siamo in conflitto”. I militanti di Aliud considerano la vittoria della destra “una grande occasione”. Ora, spiegano, “non vogliamo più essere tacciati di oscurantismo, ci aspettiamo che venga garantita la possibilità di esprimere le nostre opinioni”.
Eccone alcune: “Un conto è dire che accettiamo tutte le sensibilità e un altro insegnare a scuola la fluidità di genere”; “la transizione di genere non si può proporre a ragazzini che non hanno gli strumenti per capire certe cose, impedirla non è una misura liberticida ma di tutela delle persone fragili”; “il ddl Zan era una legge liberticida, non vogliamo vivere in un paese dove il parroco di campagna non può dire quello che vuole”; “sulla legge 194 Meloni è stata chiara: non si possono negare i diritti alle persone, però aiutiamo chi non vuole abortire”.
Tutte dichiarazioni che riportano al centro le politiche identitarie di cui parla Filippi, ispirate al modello polacco “Dio, patria e famiglia”. L’unico terreno possibile di lotta politica per questi ragazzi: “Sanno bene di avere le mani legate sull’economia e sulle alleanze internazionali”, spiega lo storico. “Per questo puntano tutte le loro aspettative su politiche come quelle sulla natalità, che in maniera indiretta richiamano il programma del fascismo”.
“I temi etici sono gli unici che – agitando lo spettro della cancel culture, della gender theory, dell’ideologia woke, dello strapotere della lobby lgbtq+ eccetera – possono giustificare e motivare la nascita di un fronte comune delle destre”, ha detto il politologo Marco Tarchi, dirigente del Fronte della gioventù negli anni settanta, al quotidiano il Manifesto.
“Il loro obiettivo, che è lo stesso di Meloni, è la formazione di una destra conservatrice che sia alleata delle altre destre radicali europee e di quella statunitense”, spiega Caldiron. “Qual è il punto d’incontro tra il postfascismo e il nuovo conservatorismo radicale? La ricostruzione di un mondo antagonista alla modernità egualitaria, che percepiscono come erede del vogliamo tutto sessantottino”. Da qui l’insistenza sui “valori, a partire dalla famiglia tradizionale, tutti fondati sul rigetto del sessantotto”, conclude Caldiron.
In questo senso, la campagna politica di Aliud sull’“identità di genere non binaria”, cominciata con lo schwa rovesciato, è esemplare.