«Solo i popoli informati sono liberi di scegliere». È interessante che ad affermare questo caposaldo, che sta alla base dello Stato democratico pluralista contemporaneo, non sia un costituzionalista europeo, ma papa Leone XIV, il monarca assoluto, ancorché eletto, di una istituzione millenaria che per dirla con Ambrogio M. Piazzoni «dura da quasi venti secoli ed è la più vetusta delle istituzioni esistenti avviandosi a superare i primati di durata della serie delle dinastie dei faraoni egiziani e degli imperatori cinesi».
Accade a poche settimane di distanza dalla seguente affermazione riferita a Cnn, Msnbc e altri giornali non precisati: «Scrivono letteralmente il 97,6% di cose negative su di me. (…). Questo deve finire. Deve essere illegale». Una frase che sarebbe stata bene in bocca a un sovrano ancien régime europeo prima della metà del Settecento e che è uscita, e non dal sen fuggita perché voluta come tante altre, a Donald Trump, presidente di quella che si fregia di essere la più grande democrazia al mondo.
Anch’essa come l’Italia e l’Ungheria colorata dell’arancione pallido nella scala dell’Index press freedom (l’indice che monitora la libertà di stampa nel mondo, di Reporters sans Frontières. È il colore che indica i Paesi problematici, nell’indice della libertà di informazione. Un colore comune a democrazie immature di Asia, Africa e America Latina, che non dovrebbe avere cittadinanza tra Stati Uniti e Ue a 27, dove invece colora anche Romania, Grecia e Croazia. Pesano le querele temerarie, i giornalisti sotto scorta, gli attacchi del potere in dibattiti pubblici e anche molto i conflitti di interesse, la concentrazione di troppi mezzi di comunicazione nelle stesse mani, che sommano potere economico e ruoli politici. La lottizzazione del servizio pubblico (temi ben noti anche in Italia e mai risolti).
Se l’attacco generale a media sgraditi, ma anche a singoli giornalisti da parte del potere è una modalità diretta ma appariscente e quindi riconoscibile e criticabile, altri modi sono subdoli: sfavoriscono l’adeguata informazione dell’opinione pubblica, senza che i destinatari se ne accorgano. Uno di questi modi è l’uso indiscriminato di canali diretti come i social network, in cui leader politici piccoli e grandi dicono ciò che vogliono senza confronto, schivando il contraddittorio pubblico con le professionalità dell’informazione.
Interessante il fatto che nell’Index 2025 si sia sottolineato il rischio che a minare, in tutto il mondo e sempre di più l’accesso, a informazioni affidabili sia anche il fattore della mancata indipendenza economica: fare informazione di qualità costa, togliere risorse rende tutto più difficile. Si fa l’esempio dei tagli ai finanziamenti per il pluralismo dell’informazione negli Stati Uniti: «Rappresentano un ulteriore colpo», si legge nel Rapport Rsf 2025, «per un’economia dei media già indebolita dal predominio che giganti della tecnologia come Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft hanno sulla diffusione delle informazioni». È vero in tutto il mondo, ma non dappertutto è uguale la consapevolezza: «Queste piattaforme, in gran parte non regolamentate, stanno assorbendo una quota sempre crescente di entrate pubblicitarie che normalmente sosterrebbero il giornalismo. La spesa totale per la pubblicità attraverso i social media ha raggiunto i 247,3 miliardi di dollari nel 2024 , con un aumento del 14% rispetto al 2023. Queste piattaforme online ostacolano ulteriormente lo spazio dell’informazione contribuendo alla diffusione di contenuti manipolati e fuorvianti, amplificando la disinformazione.
Di fronte alla sfida enorme di un’opinione pubblica informata in un mondo in cui distinguere il vero dal falso diventa ogni giorno difficile, richiedendo al singolo una soglia di senso critico sempre più elevata, un Papa che guarda avanti ha scelto di chiamarsi Leone XIV, per sua stessa ammissione, ravvisando in tutto questo la Rivoluzione industriale contemporanea e la sua complessità: «Oggi la Chiesa», ha detto ai cardinali nell’Aula del Sinodo, «offre a tutti il suo patrimonio di Dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».
Sarebbe troppo chiedere la stessa consapevolezza, la stessa responsabilità, la stessa sensibilità ai leader laici di istituzioni che si presentano come democratiche, prima che delle democrazie resti soltanto il simulacro di un guscio vuoto scavato dall’interno?
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