L’Europa nella morsa dell’imperialismo di Trump e Putin che sognano di spartirsela, di Claudio Visani

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’imperialismo”, si potrebbe dire parafrasando il celebre incipit del Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels. Un imperialismo di ritorno di cui sono protagonisti Vladimir Putin e Donald Trump: un dittatore e uno sceriffo, entrambi megalomani, che vogliono riportare la storia a Yalta. Cioè spartirsi il mondo come all’indomani della Seconda guerra mondiale, per i propri interessi e in nome della realpolitik.
Pensano di essere ancora le due grandi potenze di un tempo che, come tali, hanno diritto a proprie sfere di influenza. La Russia ha diritto di fare quello che vuole in Europa orientale, gli Stati Uniti hanno diritto a fare quello che vogliono nel continente americano. E, allargando il campo, Israele ha il diritto di prendersi Gaza e la Cisgiordania.
Che poi, non è sempre stato così?  Almeno fino alla caduta del Muro e alla irresistibile ascesa dell’altra grande potenza, la Cina, il vero nemico degli Usa e l’alleato scomodo della Russia. L’Ucraina, in questo contesto, è la Polonia di allora.  Spartirsela è il modo che i “realisti” di oggi vedono per normalizzare le relazioni tra Mosca e Washington finalizzate anche a contenere la Cina. Anche se i “realisti” sono un tizio che si crede uno zar e l’altro il nuovo imperatore del mondo, entrambi, naturalmente, in missione per conto di Dio. E anche se a farne le spese è e sarà l’Europa. Del resto, di che Europa parliamo? L’Inghilterra ne è uscita e a rappresentare l’Unione europea oggi c’è Ursula Von der Leyen, ci sono capi di Stato screditati e sconfitti come Sholz e Macron, non c’è nessun Churchill, nessuno che abbia i titoli, la credibilità e il consenso sufficienti per sedersi al tavolo dei Grandi, far valere le ragioni e gli interessi del Vecchio Continente, e nemmeno per prendere parte alla spartizione.
Nel momento in cui avremmo bisogno come il pane di rilanciare il sogno dell’Europa libera e unita di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi a Ventotene, di diventare gli Stati Uniti d’Europa, forti del nostro sapere e della nostra storia, una potenza non solo economica ma politica e culturale che sa farsi rispettare da tutti, crede in un mondo diverso, pacificato, sostenibile, basato sulla cooperazione internazionale, ci ritroviamo divisi come non mai, con undici stati membri su ventisette in mano alla destra sovranista,  nazionalista e xenofoba, Dio, Patria e Famiglia, legge e ordine, rosario e manganello, che parla la stessa lingua di Trump e non disdegna quella di Putin. E con gli altri sedici stati membri che vedono le forze tradizionali di centro e di sinistra parlare la stessa lingua e perseguire sostanzialmente le stesse politiche, nella pia illusione che questo serva a contrastare l’ascesa della destra.
Le scelte degli ultimi anni sull’immigrazione e sulla guerra sono emblematiche. Invece di puntare sull’integrazione si alzano i muri, si fanno i respingimenti e le deportazioni. Invece di perseguire il dialogo, la mediazione, le soluzioni politiche ai conflitti, si mandano armi per centinaia di miliardi a Zelensky e Netanyahu, si progetta di spendere il 3 o il 5% del pil per riempire gli arsenali europei, fuori dal patto di stabilità, a discapito della sanità, del welfare, del contrasto alla crisi climatica, alle disuguaglianze, alle nuove povertà e ingiustizie.
Difficile immaginare che questa Europa possa giocare un ruolo da protagonista per una pace giusta in Ucraina e nel Medio Oriente e nelle relazioni internazionali sconvolte dal ciclone Trump. Difficile pensare che il cambio della guardia alla guida della Germania, dal socialdemocratico Scholz al democratico cristiano Merz, le anatre zoppe Macron e Sanchez e l’euroscettica Meloni, grande amica di Trump e Musk, possano cambiare il nuovo corso ridando centralità all’Europa.
Non resta che sperare che almeno la sinistra capisca finalmente la lezione, la smetta di inseguire il centro e scimmiottare la destra e abbia il coraggio di rifondarsi, di immaginare un mondo diverso, avere una propria visione, cominciando col dire che siamo tutti nella stessa barca, in un pianeta a rischio, in società sempre più diseguali  dove il conflitto dovrebbe essere per la giustizia sociale e non tra il bene e il male, cominciando col lanciare una grande campagna per la pace e il disarmo in Europa, e una nuova utopia: abolire la guerra.
“La più aberrante, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra” – diceva Gino Strada – da sempre viene dichiarata dai ricchi e potenti che poi mandano a morire i figli dei poveri. Abolire la guerra è l’unica speranza per l’umanità. Possiamo chiamarla utopia, visto che non è mai accaduto prima, ma non è un traguardo irraggiungibile. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da prevenire e risolvere e non un destino da abbracciare. Un mondo senza più guerre è possibile. Se questo concetto penetrerà le nostre coscienze, diventerà un obiettivo realizzabile”.

globalist.it/world/2025/02/24/leuropa-nella-morsa-dellimperialismo-di-trump-e-putin-che-sognano-di-spartirsela/

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Cercasi un fine è “insieme” un periodico e un sito web dal 2005; un’associazione di promozione sociale, fondata nel 2008 (con attività che risalgono a partire dal 2002), iscritta al RUNTS e dotata di personalità giuridica. E’ anche una rete di scuole di formazione politica e un gruppo di accoglienza e formazione linguistica per cittadini stranieri, gruppo I CARE. A Cercasi un fine vi partecipano credenti cristiani e donne e uomini di diverse culture e religioni, accomunati dall’impegno per una società più giusta, pacifica e bella.


 

 

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