Ma quel J.D. Vance che dal podio della presidenza applaudiva eccitato l’espulsione dall’aula del Congresso del deputato Al Green, reo di aver contestato platealmente Trump, è lo stesso che a Monaco ha rimproverato a noi europei di non tollerare la libertà di parola? E il presidente Trump, è libertario perché dà la grazia ai teppisti che in suo nome assalirono quello stesso Congresso quattro anni fa, o è autoritario perché licenzia i funzionari dell’Fbi che lo indagarono?
La causa di divorzio in corso tra le grandi democrazie occidentali, di qua e di là dell’Atlantico, sembra vertere essenzialmente sul concetto di libertà: che cosa è, e quando va difesa? Il dilemma non è mai stato così chiaro come nel conflitto che si è aperto al Washington Post. L’editore, Jeff Bezos, uno dei grandi oligarchi del big tech, ha ordinato per mail allo staff giornalistico di non pubblicare più editoriali e opinioni che si oppongano alle «libertà individuali e al libero mercato»; ma il direttore della pagina dei commenti si è dimesso perché questa gli è sembrata un’intollerabile limitazione della sua libertà di giudizio e professionale.
In realtà lo ha fatto anche e soprattutto perché nell’America di oggi il richiamo alla libertà è diventato una parola d’ordine della nuova destra; come dimostra l’entusiasmo con cui Elon Musk aveva accolto sul social di sua proprietà ciò che a lui, come a tutti, era sembrato un cambio di linea del collega editore in senso conservatore e trumpiano.
In realtà il dibattito non è nuovo. Norberto Bobbio ha distinto con chiarezza le due idee di libertà che convivono: quella «negativa», e cioè la libertà individuale dagli obblighi e dalle costrizioni, e quella «positiva», intesa invece come autodeterminazione, possibilità di prendere delle decisioni senza essere determinati dal volere altrui. Il nostro filosofo diceva che la libertà negativa è una qualifica dell’azione (posso fare ciò che voglio), mentre la libertà positiva è qualifica della volontà (il mio volere è libero). Nel rapporto con il potere, si può dire che la prima è la libertà dallo Stato, la seconda è la libertà nello Stato, di partecipare cioè alle decisioni pubbliche e di obbedire solo alle leggi che si è contribuito a scrivere attraverso il processo democratico.
Perfino nella lingua inglese i due termini, pur interscambiabili, di «liberty» e «freedom» alludono a due diverse sfumature: libertà civili da un lato, libertà individuali dall’altro. È evidente a quale delle due si ispira la nuova destra americana. Ma come si fa quando a rivendicare «libertà dallo Stato» è qualcuno come Musk, per molti aspetti più potente dello Stato?
D’altra parte bisogna dire che in nome della libertà di obbedire solo alla «volontà generale», alla Rousseau, si sono poste le basi di molti dispotismi, e tra i più sanguinari. È proverbiale l’esclamazione attribuita a Madame Roland, moglie di un ex ministro dell’ancien régime, mentre saliva sul patibolo a Parigi vittima del Terrore giacobino: «O libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!». Non cederemo dunque alla facile tentazione di schierarci con le presunte «vere» libertà europee contro quelle «false» trumpiane. Però questo dibattito era già stato da tempo mirabilmente chiuso da Benjamin Constant in un testo celebre, vero e proprio fondamento del pensiero liberale: il «Discorso sulla libertà degli antichi e dei moderni». Nel 1819, a Restaurazione ormai in corso, questo grande pensatore politico distingueva per l’appunto la libertà come partecipazione al potere dalla libertà come indipendenza dal potere. Egli rimproverava alla Rivoluzione di aver voluto ispirarsi alla libertà così come la intendevano le antiche repubbliche delle poleis greche e di Roma (libertà politica dalla quale però erano esclusi gli schiavi e le donne). Mentre invece al suo tempo l’interesse dei cittadini era rivolto ai commerci e non alla politica, al benessere e non alla partecipazione, era pacifista e non bellicoso, e dunque la felicità risiedeva non più «nel godimento del potere, ma nella libertà individuale».
Non va aggiunta neanche una parola per spiegare perché, ancor di più ai giorni nostri, le cose stanno proprio così. Constant aveva visto giusto e lontano, scrivendo che «la libertà individuale è la vera libertà moderna». Ma così come il pensiero «democratico» di Rousseau ha potuto fecondare le peggiori esperienze di tirannia, così anche uno sfruttamento cinico e demagogico delle «libertà moderne» può provocare gravi danni alle libertà politiche. Aggiungeva infatti Constant: «Coloro che vogliono sacrificare la libertà politica per godere più tranquillamente della libertà civile non sono meno insensati» di chi vuole il contrario: «Rinunciano ai mezzi con il pretesto di raggiungere il fine». Perché «la libertà politica è garanzia della libertà individuale, di conseguenza indispensabile».
Tradotta ai nostri giorni, e sempre ammesso che a Trump o Vance interessi conoscerla, la lezione di Constant e del moderno liberalismo sta «nella possibilità di stabilire un governo forte che, al tempo stesso, sia un governo limitato», come ha scritto Ernesto Galli della Loggia in una prefazione a quel Discorso. È la categoria politica del «giusto mezzo», diventata realtà, proprio grazie alla divisione dei poteri, nella Rivoluzione americana. È sorprendente che la si debba oggi difendere da qui, dalla vecchia Europa.
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