La saggezza della responsabilità, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
(Mt 25, 1-13 – XXXII TO/A).

Un po’ irresponsabili, un po’ troppo, le vergini stolte, lo sono state! Parliamo spesso di responsabilità e… le vergini stolte non mancano. Certo non mancano anche coloro che esercitano responsabilità sociali, sanitarie e politiche con scienza e coscienza, come le vergini sagge. Ma ci sono, purtroppo, anche quelli che lo fanno meno, quasi per niente, coloro che vivono nell’eterna lamentela e nell’interminabile critica di tutti e di tutto. E tra questi coloro che non rispettano le regole, oppure le aggirano a proprio uso e abuso. È innegabile che proveniamo da una cultura, in buona parte, che si crea regole a seconda dei casi o non le rispetta affatto. “La cultura viene prima delle regole – ha scritto Gherardo Colombo – se non cambia la cultura, le regole, che non le sono coerenti, non vengono rispettate”. E tra i deficit della nostra cultura legale si rafforzano gli araldi del “fatta la legge trovato l’inganno” – “lei non sa chi sono io” – “è meglio farsi giustizia da soli” è così via. È preoccupante vedere quanto questi atteggiamenti negativi siano contagiosi, specie tra piccoli e giovani: essi provano la scarsa tenuta etica del nostro Paese (e non solo). Cresce così  l’irresponsabilità. 

Non vanno dimenticate, allora, le parole del papa in Fratelli tutti: “Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni” (n. 77). 

Non sappiamo se le vergini stolte avessero buone intenzioni, ma supponiamo di si. Tuttavia le loro buone intenzioni non bastano; non sono state responsabili, non hanno calcolato “le conseguenze prevedibili delle loro azioni”, direbbe Max Weber. Dovevano portarsi un po d’olio, non l’hanno fatto. E’ finito e sono rimaste senza. Ogni azione ha, poi, una conseguenza: lo sposo non le accetta alla festa. La colpa è loro, non dello sposo. E’ interessante notare che, quando non vogliamo riconoscere le nostre responsabilità, scarichiamo le conseguenze delle nostre azioni sugli altri, sul destino, o persino su Dio. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Punto e basta.  

Scaricare sugli altri è molto comodo; essere fedeli agli impegni presi un po’ difficile. Ritorniamo ai piccoli e ai giovani. Come li educhiamo alla responsabilità e fedeltà? Che testimonianza diamo loro? Genitori o responsabili di istituzioni, ministri o pastori, dirigenti o docenti, si impegnano, persino giurano sulla Costituzione (e alcuni anche davanti a Dio)… e poi? Lo spettacolo negativo purtroppo è più grande e incisivo delle testimonianze positive. «Ora – afferma l’apostolo Paolo – quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1 Cor. 4, 2). 

Per i cristiani la fedeltà è al progetto di Dio e anche alla comunità civile e politica, alla Costituzione. Questa fedeltà va intesa come orientamento a solidificare gli impegni assunti e a portarli avanti non ritirando la parola data, ma confermandola con il proprio impegno costante a realizzare il bene a cui aspiriamo. Non aiuta ad essere fedeli né la mentalità di irresponsabilità che si riscontra in molti contesti (familiare, interpersonale, sociale, professionale, politico, ecclesiale), né il ritenere la persona umana incapace di assumere e mantenere impegni a lungo tempo. Solo uno stile quotidiano di fedeltà a Dio, a se stessi, alla comunità e alla natura può far comprendere e accettare, qualora il Signore ce lo chiedesse, la fedeltà suprema richiesta nel martirio. E’ qui la saggezza. La stoltezza e l’irresponsabilità, invece, non portano a niente, se non a rimanere soli e fuori della festa.

Rocco D’Ambrosio

[presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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