La povertà alimentare in Italia è molto più trasversale di quanto si immagini, di Valentina Neri

Che cos’è la povertà alimentare? La risposta è ben più complessa di quanto si possa immaginare a un primo sguardo. È un indicatore di grave indigenza, certamente. Ma non solo. Una persona vive una condizione di povertà alimentare anche quando, pur avendo un reddito, è costretta a risparmiare sul cibo. Saltando i pasti, oppure sacrificandone la qualità e la varietà, o evitando le occasioni conviviali.
Misurandola secondo questo approccio più onnicomprensivo, si scopre che nel 2023 oltre 5,9 milioni di individui in Italia si sono trovati in una condizione di deprivazione alimentare, in termini materiali o sociali. Un numero che è allarmante di per sé e lo diventa ancora di più se si osserva il suo aumento: sono 680mila persone in più rispetto all’anno precedente. Lo rende noto ActionAid attraverso il rapporto Fragili Equilibri, giunto alla terza edizione.

I numeri della povertà alimentare in Italia
Proprio per darne un quadro veritiero e completo, ActionAid adotta tre indicatori distinti per misurare la povertà alimentare in Italia. Il primo è la deprivazione alimentare materiale o sociale (Dams) e incrocia due domande: la possibilità di permettersi un pasto con carne, pesce o equivalente vegetariano ogni due giorni e la possibilità di incontrarsi con parenti e amici per condividere un pasto almeno una volta al mese. Se la risposta è “no” per motivi economici, si ricade in una condizione di deprivazione rispettivamente materiale o sociale. Nel 2023 circa l’11% della popolazione italiana sopra i 16 anni ha vissuto una di queste condizioni, con un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Stiamo parlando di 5,9 milioni di persone che, per la maggior parte (il 60% circa), non sono formalmente a rischio di povertà economica.
Più della metà delle persone in uno stato di deprivazione alimentare vive al Sud. In Calabria l’incidenza del fenomeno supera addirittura il 31% della popolazione, in Puglia il 21%, in Campania il 18%. Dati eloquenti che dimostrano, ancora una volta, la necessità di interventi strutturali. «Mentre il Nord beneficia di un tessuto produttivo più solido, di una rete di welfare locale più strutturata e di una maggiore accessibilità a servizi e opportunità, il Sud sconta ancora oggi un ritardo sistemico, che alimenta un circolo vizioso: povertà materiale che si traduce in povertà educativa e sanitaria, che a sua volta limita le possibilità di uscita dalla condizione di bisogno», si legge nel rapporto di ActionAid. Il Nord, comunque, non è immune: in Lombardia, dopo il calo del 2022, c’è stato un rimbalzo che ha portato il totale sopra le 700mila persone.

Quali sono i fattori di rischio per la deprivazione alimentare
La povertà alimentare non è omogenea. Se il genere sembra ininfluente, esaminando le fasce d’età si scopre che il tasso di deprivazione alimentare materiale o sociale supera sempre il 10%, ma nella classe 35-44 anni tocca il picco del 13%. Anche a parità di reddito, le persone più vulnerabili sono quelle con un livello di istruzione più basso: l’incidenza della Dams parte dal 24,4% per chi non ha alcun titolo di studio, per poi scendere progressivamente fino a un minimo del 5,4% per i laureati.
Anche il background migratorio incide. Tra le persone arrivate in Italia da un Paese extra-europeo, il 23,4% (quasi una su quattro) è in condizioni di deprivazione alimentare. Una percentuale più che doppia rispetto a quella dei residenti nati in Italia, pari al 10,5%. Non perché i migranti non lavorino (anzi, il loro tasso di occupazione è più alto), ma perché spesso lo fanno con ruoli meno qualificati e insufficienti tutele contrattuali. Tra chi è costretto a tagliare sul cibo ci sono spesso le famiglie numerose e le persone che vivono in affitto o in condizioni instabili.
Incrociando questi e altri fattori, ActionAid arriva a identificare i profili più esposti. Al primo posto ci sono le donne immigrate residenti nel sud Italia, per cui la probabilità di incorrere nella deprivazione alimentare raggiungono il 30% nei casi in cui si combinano bassa scolarità, povertà economica e famiglie numerose o non convenzionali. Al secondo posto, con un rischio del 25% circa, gli uomini immigrati con un profilo simile in termini socio-economici e sociali.

Gli altri modi per misurare la povertà alimentare
La deprivazione alimentare materiale o sociale, come ricordato, è soltanto uno dei metodi a disposizione per misurare la povertà alimentare. Il secondo è la scala Fies (Food Insecurity Experience Scale), che prevede otto domande sull’esperienza vissuta dall’individuo negli ultimi 12 mesi. È uno strumento pensato soprattutto per i confronti internazionali e, pertanto, fotografa soprattutto le forme più gravi di deprivazione alimentare. Per questo, il dato che restituisce per l’Italia è ben più contenuto: il 3,6% della popolazione italiana sarebbe stato costretto a ridurre la qualità, la quantità o la varietà degli alimenti nel 2023. In termini numerici, sono 1,8 milioni di persone.
Per concludere, ActionAid valuta anche la povertà alimentare relativa. In sostanza, si fissa una soglia che corrisponde al valore medio pro capite dei consumi alimentari nazionali: una famiglia che spende meno risulta a rischio di povertà alimentare. Nel 2023 corrispondono a questa descrizione oltre 4 milioni di nuclei familiari nel nostro Paese, il 15,6% del totale. La Sardegna supera il 27%, il Molise il 24%, la Calabria sfiora il 22%. Ma anche Trentino-Alto Adige e Lombardia sono ben oltre la media nazionale, a quota rispettivamente 21% e 17,7%. Tra le famiglie con tre o più figli, una su quattro spende meno della media per nutrirsi; tra quelle con almeno due figli, una su sei.

«Il concetto di fame non si esaurisce nella scarsità materiale»
«Questo riepilogo dei principali risultati conferma la natura profondamente multidimensionale della povertà alimentare», afferma il rapporto di ActionAid. «Il concetto di fame non si esaurisce nella scarsità materiale: al contrario, racchiude una costellazione di fattori economici, sociali, culturali e territoriali, che si intrecciano nel generare e consolidare forme complesse di svantaggio. Riconoscerlo significa dotarsi degli strumenti adatti per coglierne la portata».
Misurare questo fenomeno dunque ha senso di per sé e perché permette di capirne – e affrontarne – molti altri. «Ogni forma di povertà, in fondo, è l’espressione concreta di un’iniqua distribuzione di risorse e opportunità», conclude lo studio. «Solo partendo da questa consapevolezza potremo immaginare politiche pubbliche più eque, capaci di restituire centralità al diritto al cibo come diritto fondamentale e non negoziabile».

valori.it/poverta-alimentare-italia-actionaid/

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