La pornografia come potere dello sguardo, di Matteo Losapio

Qualche giorno fa, in una riunione con degli amici e delle amiche, parlavano di alcuni temi di discussione che potessero interessare circa una serie di dibattiti online. Uno dei temi che mi è venuto in mente è stato la pornografia, dato il grande numero di utenti che ogni giorno frequentano siti hard. La mia proposta è caduta nel vuoto, non perché reputi le mie amiche e i miei amici dei bigotti ma, ammetto, che anche io non ero a mio agio nel proporre un tema così delicato. Fra tutti i presenti, compreso me, si è diffusa una leggera patina di pudicizia, eppure siamo tutti ragazzi e ragazze giovani e di idee aperte. Eppure non era colpa dei miei compagni di riunione come neanche della mia sfacciataggine nel proporre un tema così scabroso. Il problema è che la pornografia oggi si situa in un interstizio particolare del dibattito pubblico e privato. Si tratta di un tema di interesse pubblico ma di cui non parlarne, di dominio pubblico ma che riguarda la sfera privata, ma un privato silenzioso, in cui la parola stessa non può arrivare. Un paradosso che non è semplicemente quello del tabù, poiché di un tabù ne siamo consapevoli. Ma di una forma di ibrido fra il tabù di cui non si può parlare, e al tempo stesso di enorme diffusione nella collettività. Se seguissimo Totem e tabù di Freud ci troveremmo a riconoscere come un tabù fondi e regoli, in qualche modo la società. Qui non si tratta di un vero e proprio tabù perché il porno non fonda la società ma ne è, in qualche modo, una pratica diffusa. Le statistiche del 2019 pubblicate dal colosso dell’hardcore Pornhub, basate sulla connessione dati e sulle visite online al sito, parlano di 42 miliardi di accessi, con una media di 115 milioni al giorno. L’Italia si situa al settimo posto per numero di visite al sito, con un 70% di uomini e un 30% di donne, mentre fra le venti città da cui vengono effettuati più accessi compaiono anche Roma e Milano. Oltre ai facili moralismi che griderebbero immediatamente allo scandalo, la questione della diffusione della pornografia non si spinge solo a guardare i dati o a formulare soluzioni a buon mercato, ma ad una domanda del perché di un fenomeno così diffuso eppure ancora sotterraneo.

Nella mia riflessione a proposito non tirerei in ballo tanto un relativismo etico o un nichilismo teorico che finirebbero per dire tutto e nulla, ma definirei la questione della pornografia nei termini coniati da Michel Foucault di biopotere eteropico. Foucault definisce il biopotere come il controllo delle istituzioni sulla vita delle persone, dalla regolamentazione delle nascite alla funzione capitalista del corpo umano come elemento produttore e riproduttore. Mentre con il termine eterotopia, Foucault indica quegli spazi connessi a tutti gli altri spazi ma che contengono, sospendono o neutralizzano gli stessi rapporti che riflettono. In altre parole, le eterotopie sono luoghi che risignificano le relazioni, dandone un nuovo contenuto, in sintonia con quello che gli stessi luoghi vogliono fare intendere. La pornografia, dunque, non riguarda solo la scissione fra il pubblico e il privato, per cui l’etica pubblica che rimprovera l’utilizzo di video porno non ha alcuna incidenza nella vita privata, dove l’utilizzo di siti proibiti per la società viene tollerato. La pornografia, infatti, è un vero e proprio controllo del corpo umano che ha come obiettivo non tanto il piacere quanto l’eccitamento. L’eccitamento pornografico assomiglia al piacere, ma non è teso al godimento di se stessi quanto nel controllo del corpo altrui attraverso lo sguardo. L’eccitamento deriva dal poter guardare due persone che fanno del sesso, il che provoca un misto di potere e di dominio sui due, perché l’occhio dello spettatore riesce ad entrare in uno spazio a cui, solitamente, non può accedere. Lo spazio dell’intimità fra le due persone diviene una eterotopia, uno spazio che viene messo dinanzi ad uno spettatore risignificando l’atto stesso che viene prodotto. Ma, ancora di più, l’eccitamento prodotto dalla pornografia è dato anche dal controllo non solo dei corpi che vengono (es)posti dinanzi allo spettatore, ma anche dall’immaginazione di trovarsi nella stessa situazione con una persona che, nella realtà, non si troverebbe mai o non sarebbe mai disposta a trovarsi nella stessa situazione. L’eccitamento, dunque, riguarda anche il pubblicamente proibito, ma il privatamente lecito attraverso l’immaginazione. Ed ecco che qui l’eccitamento differisce drasticamente dal piacere. Perché il piacere è teso alla realizzazione di noi stessi nel momento in cui viene realizzato ciò che ci piace, mentre l’eccitamento, dopo un piccolo lasso di tempo, termina e la realtà sembra sempre più misera di quella che avevano immaginato. Il porno, dunque, svolge questa funzione di controllo sugli altri nella misura in cui non riusciamo a controllarli, nella misura in cui vorremmo controllarli ma non possiamo. Il porno è l’eccitamento per un controllo e un potere che non potremo mai avere. Ed è questa frustante miseria che ci mette lì, dinanzi ad un telefono o ad un pc, ad assaporare questa droga da cui sembra non ci sia via d’uscita, se non iniziare a parlarne.

 

[Presbitero, redattore CUF]

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