Non vi sono dubbi, come dimostra il dibattito esploso recentemente sui rischi legati all’utilizzo di ChatGPT, che i meccanismi di Intelligenza artificiale necessitino anche di essere esaminati sotto la prospettiva della tutela dei diritti fondamentali, come del resto ha fatto il Festival dei diritti umani, che si conclude a Milano al Memoriale della Shoah e alla Cineteca Milano Mic. C’è però una cautela che deve essere tenuta in considerazione tutte le volte in cui la tecnologia digitale incrocia la protezione dei diritti. Si deve in particolare fare attenzione a quella che può essere definita trappola del “novismo tecnologico”. Vale a dire pensare che lo strumentario giuridico, anche quello relativo alla protezione dei diritti, debba essere rinnovato, se non stravolto, tutte le volte in cui una nuova tecnologia si affaccia all’orizzonte.
È già successo con l’esplosione di internet, cui è seguita l’adozione, per nulla vincolante, di tutta una serie di dichiarazione dei diritti sul web, e sta accadendo nuovamente con l’Intelligenza artificiale, per fronteggiare i cui rischi viene invocata, da parte di alcuni, la necessità di adottare nuovi bill of rights ad hoc. Oppure, in alternativa, si propone, da parte di altri, una modifica delle Carte costituzionali esistenti, di adeguarle al nuovo portato tecnologico proprio dei meccanismi di Intelligenza artificiale. A questo riguardo, è importante sapere cogliere le lezioni dal passato. In particolare, chi si auspica una nuova stagione “costituente” dovrebbe non dimenticare quanto è accaduto con la nascita e l’esplosione dopo, di Internet. In particolare val la pena ricordare che, nell’ultimo decennio, anche l’Italia non ha resistito alla tentazione e sono state adottate una serie di dichiarazioni dei diritti e dei doveri su Internet, che però non hanno avuto un impatto significativo sulla protezione dei diritti in gioco.
Per fortuna la Costituzione italiana ha resistito alle pressioni non da poco tendenti a una modifica nel senso qui indicato, mentre alcune Carte costituzionali hanno subìto una revisione per incorporare il riferimento a internet nel loro dettato. Nel migliore dei casi tali tentativi sono stati inutili, perché, da una parte, le Costituzioni del secondo Dopoguerra e, dall’altra parte, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, hanno dimostrato, senza la necessità di apportarvi alcuna modifica, di avere quella elasticità, se interpretate in modo evolutivo e tecnologicamente orientato dai giudici, non solo costituzionali, per poter estendere le loro garanzie di protezione alle nuove esigenza di tutele che la tecnologia digitale ha posto.
Nel peggiore si è trattato di tentativi dannosi, e questo per due ragioni. Innanzitutto, perché codificare costituzionalmente una tecnologia vuol dire paradossalmente pietrificarne la possibile evoluzione, con la necessità poi di revisionare ulteriormente la Carta costituzionale nel momento, inevitabile, in cui una nuova tecnologia subentrerà a quella codificata in termini di rilevanza e diffusività. In secondo luogo, perché iniettare, attraverso le Carte e le dichiarazioni ad hoc, nuovi diritti in un contesto in cui vi è già una protezione multilivello degli stessi (livello nazionale, dell’Unione e del Consiglio d’Europa) non significa incrementarne il livello di tutela, ma aumentarne caso mai il rischio di collisione costituzionale, con i conflitti conseguenti tra Carte e tra corti. E quindi, paradossalmente, abbassarne la soglia di protezione.
L’inflazione dei diritti è stata una cattiva idea quando si è trattato di cercare di trovare una reazione costituzionale alla nascita del web, non si faccia lo stesso errore ora riguardo ai rischi connessi allo sviluppo dei modelli di Intelligenza artificiale. Per evitare di ripetere, attratti dalla suadente trappola del novismo tecnologico errori già commessi, le tradizioni costituzionali comuni devono essere la bussola che possa tracciare la rotta del costituzionalismo digitale. Si fa in particolare riferimento al rispetto della persona umana e della sua dignità, princìpi alla base del costituzionalismo del Dopoguerra in generale e della nostra Costituzione del 1948 in particolare. È proprio questa la traduzione costituzionale della narrativa alla base di quell’umanesimo digitale che non può che opporsi ai meccanismi di automazione radicale propri di alcuni modelli di Intelligenza artificiale che rischiano di mettere all’angolo, in barba alla centralità richiesta dalla Costituzione, la persona umana (e la sua dignità).
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