C’è un filo rosso che unisce il Bangladesh al Marocco, passando per il Nepal, il Perù e il Madagascar: come un’onda che sale e si allunga, “Gen Z” – così si identifica e si fa chiamare – sta attraversando il cosiddetto Sud globale, con una forza impetuosa che dal 2024 ad oggi non fa che crescere.
I contesti sono diversi e distanti: Nigeria, Uganda, Zimbabwe, Zambia, Kenya, Myanmar, Indonesia e Bangladesh sono le otto “ondate” che hanno attraversato queste parti di mondo nel 2024, secondo la fotografia scattata dalla rete delle Global Platform di Actionaid, nel recente rapporto “Freedom from fear”. Nel 2025, l’ondata non si ferma: è soprattutto a partire da agosto che ha ripreso vigore, prima in Indonesia, poi in Nepal (ne ha scritto qui per VITA Francesca Lancini) e ora, proprio nei giorni scorsi, in Madagascar, in Marocco e in Perù.
Questa generazione sembra essere guidata da valori universali e transgenerazionali: uguaglianza, solidarietà, libertà. Potrebbe sembrare semplice, ma in un mondo che sta diventando sempre più autoritario, violento e razzista, porta con sé un messaggio forte per il futuro del pianeta», spiega il collettivo mediattivista francese “Cerveaux non disponibles”, una piattaforma di controinformazione e di sostegno ai movimenti sociali. «E i governi ne hanno paura e rispondono con la forza, attraverso misure di polizia molto violente. Ci sono stati morti in quasi tutti i Paesi in rivolta. In alcuni casi, i governi sono stati così spaventati che hanno messo in atto misure simboliche, come le dimissioni da posizioni chiave. Ma questo non sembra essere sufficiente: la Generazione Z vuole cambiare il sistema stesso, non solo le persone che sono al potere. Ed è solo attraverso l’azione rivoluzionaria che si può costruire un nuovo orizzonte. E soprattutto, sappiamo che, indipendentemente dal tipo di governo (monarchia, democrazia, parlamentarismo), finché il sistema capitalista rimarrà in vigore, non ci sarà una profonda trasformazione delle nostre società», conclude il collettivo.
Sei parole d’ordine, comuni e condivise
Contesti diversi, quindi, ma soprattutto tanti punti in comune, quasi parole d’ordine condivise, a migliaia di chilometri di distanza.
Prima parola, “generazione”: protagonisti di queste proteste sono i giovani nati tra la fine degli anni ‘90 e i primi Duemila, ma non mancano i giovanissimi di 13 o 14 anni.
Seconda parola, “manga”: il secondo elemento comune è infatti quello iconografico. Nelle piazze virtuali e reali investite dalle proteste, sventolano bandiere che si ispirano ai manga e soprattutto ai pirati di One Piece: Monkey D. Luffy e la sua ciurma navigano il mondo alla ricerca di un tesoro, ma soprattutto per combattere l’oppressione e le ingiustizie che incontrano lungo il percorso.
Terza parola, “nonviolenza”: prima e durante le mobilitazioni è costante e ripetuto l’invito a non usare la forza. Un invito che, come tutta l’organizzazione e la comunicazione tra questi giovani, viaggia soprattutto attraverso i social.
Ed è questa la quarta parola, “social network”: Facebook, Instagram, ma soprattutto Discord, TikTok e Telegram sono gli strumenti fondamentali che questi giovani attivisti usano non solo per informarsi, coordinarsi e organizzarsi, ma anche per amplificare la propria voce e farla arrivare oltre i confini del proprio Paese.
Soprattutto, però, la parola chiave condivisa è “giustizia sociale”, perché questa è la motivazione che accomuna la Gen Z alle diverse latitudini e longitudini: a partire dalla consapevolezza delle ingiustizie e delle diseguaglianze, questi giovani attivisti condividono un’insofferenza verso i propri governanti – spesso al potere da molto tempo e in molti casi corrotti e tirannici – e verso le diseguaglianze che, anche grazie ai social, sono sotto i loro occhi.
Quel che chiede la Gen Z, insomma, dall’Indonesia al Marocco, dal Madagascar al Bangladesh, è giustizia economia, sociale e – con più o meno evidenza –climatica. Ad essere presi di mira sono i segni dell’ingiustizia e delle disparità: in Madagascar, per esempio, la teleferica realizzata nella capitale Antananarivo, un’opera colossale e di facciata, che succhia grandi quantità di energia elettrica, a danno di una popolazione costretta a sopportare frequenti e lunghe interruzioni.
Quinta parola ed elemento comune a queste proteste, è “efficacia”: il risultato, nella maggior parte dei casi, arriva. In Banglasesh, la Gen Z ha ottenuto le dimissioni del primo ministro e la formazione di un governo transitorio guidato da Muhammad Younus, il “banchiere dei poveri”. In Nepal, oltre alle dimissioni del Primo ministro K. P. Sharma Oli e l’istituzione di un governo ad interim sotto la guida di Sushila Karki, è stato revocato il divieto sui social media – che aveva scatenato le proteste – e sono state annunciate nuove elezioni per il 2026. In Madagascar, pochissimi giorni fa, le proteste hanno portato alla dissoluzione del governo di Ntsay da parte del presidente Andry Rajoelina.Di contro, sesto elemento comune e parola chiave nella lettura di questi movimenti è la repressione da parte di governi e polizia, con un numero significativo di vittime spesso molto giovani: in Nepal più di 100, in Madagascar finora coltre 20, oltre ai numerosi arresti e al gran numero di feriti.
Verso una nuova giustizia globale?
Ora, la domanda è: possiamo aspettarci che quest’onda continui a crescere, travolgendo quella parte di mondo che difficilmente attira l’attenzione internazionale, costringendo il modello economico, politico e sociale dominante a un ripensamento? In altre parole,è possibile che dai giovani del Sud globale stia arrivando una vera e propria rivoluzione transnazionale e che da questa possiamo attenderci l’affermazione di una nuova giustizia sociale?
«Secondo me è sicuro che succederà»: d’impulso risponde così Antonio Liguori, che è in contatto con tanti giovani attivisti in tutto il mondo, grazie al suo lavoro per “Global Platform”, una rete internazionale promossa da ActionAid che sostiene l’attivismo giovanile per la giustizia sociale, economica e politica. Opera in oltre 70 paesi, con oltre 100 spazi fisici affiancati da piattaforme digitali, dove giovani tra i 16 e i 35 anni possono formarsi, connettersi e agire collettivamente. «Il problema è che non sappiamo quando questo cambiamento potrà accadere», aggiunge. «Ci sono infatti scogli enormi che la cosiddetta Gen Z deve affrontare, imposti soprattutto dai Paesi che più incidono negli equilibri mondiali. Abbiamo davanti una fusione mortale tra potere politico ed economico che, soprattutto nei Paesi più ricchi e influenti, è difficile rompere, almeno nel breve periodo, soprattutto ora, sotto la minaccia dei conflitti. Sicuramente però si stanno ponendo le basi, grazie anche e forse soprattutto alla Gen Z, per cambiamenti di paradigma molto grossi. Questi giovani hanno una grande consapevolezza, in ogni parte del mondo, rispetto ai modelli economici e sociali. Se avessero chiesto a me, 20 anni fa, cosa fosse il capitalismo o il neoliberismo, non avrei saputo cosa rispondere. Oggi invece tra queste persone sono molto diffuse e condivise le parole chiavi dell’attivismo globale. Al tempo stesso, tra questi giovani è diffusa l’insoddisfazione generale verso i sistemi che ci governano. Non credo però che sia vicino il momento in cui questi sistemi potranno veramente cambiare», afferma Liguori.
Intanto, però, l’attivismo della Gen Z è un capitale umano e sociale da riconoscere e valorizzare. Quali sono i tratti caratteristici e i punti di forza di questo movimento che pare inarrestabile? «Innanzitutto, possiamo dire che nascono in particolare nei Paesi in cuil’incidenza dei giovani sulla popolazione è alta, mentre spesso la leadership è anziana: politici di 70, a volte 80 anni, che tengono in ostaggio la politica da decenni creando uno scollamento forte tra chi prende le decisioni e chi le subisce, dovendo sopportare disuguaglianze estreme, corruzione e disoccupazione», spiega Liguori.
Un altro elemento fondamentale, oltre a quello per così dire “demografico”, è la fiducia, resa possibile anche dai social network: «Oggi infatti, a livello globale, le pratiche e le esperienze riescono a essere condivise in maniera più veloce e accessibile grazie ai social: quello che succede in Bangladesh facilmente viene visto in Nepal, o in Madagascar».
Questo contribuisce a creare fiducia, che è l’elemento fondamentale su cui si basa la mobilitazione di massa. «Al di là delle cause strutturali che portano a scendere in piazza, infatti, la discriminante principale è proprio la fiducia nel fatto che il sacrificio che la mobilitazione richiede (in termini di tempo ma anche di sicurezza personale) possa portare un cambiamento. Vedere che altri sono scesi in piazza e hanno ottenuto un risultato, è una forte spinta per l’attivismo», spiega Liguori.
Liguori mette poi in luce un altro elemento fondamentale, caratteristico della Gen Z: la formazione. «Questi movimenti cercano e organizzano in modo sempre più strutturato momenti e spazi di training e condivisione delle esperienze, delle metodologie, degli approcci. È quello che proponiamo anche attraverso la rete delle Global Platforms, che contribuisce alla formazione di tante persone nel mondo. La Gen Z studia e si prepara: sa come si organizza una piazza, come si parla con le istituzioni, come si fa un’assemblea ecc».
Sbaglia quindi chi affermi che questi movimenti e queste proteste nascano e si sviluppino attraverso i social: «Sicuramente i social favoriscono e accelerano le comunicazioni, semplificano l’organizzazione, velocizzano gli aggiornamenti e permettono la condivisione di simboli, linguaggi, contenuti. Ma dietro c’è un’organizzazione fatta di incontri e di spazi fisici, c’è un capitale di conoscenza, costruzione di competenze e leadership».
A proposito di leadership, ecco un altro elemento condiviso e particolarmente interessante della Gen Z: «Si tende a non creare la figura di riferimento, il portavoce o il leader del gruppo. La visibilità viene distribuita, la leadership condivisa: un concetto che il movimento ha imparato soprattutto dalle lotte femministe, che rifiutano la figura del leader “maschio alfa” e l’organizzazione verticistica del movimento».
Nimesh Shrestha: la Gen Z raccontata dalla Gen Z
Fin qui la Gen Z raccontata da noi, che la osserviamo da lontano, Ecco come ce la racconta uno dei protagonisti del movimento nepalese, il giovane regista Nimesh Shrestha, che partecipa, condivide e sostiene le proteste che hanno portato in piazza, a partire da inizio settembre, tanti giovani attivisti.
Quali sono le principali richieste della Gen Z in Nepal e quali risultati ha ottenuto finora?
La richiesta principale è quella di porre fine alla corruzione e garantire che la CIAA e la magistratura siano libere dall’influenza dei partiti politici. Vogliamo anche porre fine alla politica del “gioco della sedia” messa in atto dai tre grandi partiti, in cui il potere viene semplicemente ruotato tra loro, senza un reale cambiamento. Chiediamo responsabilità, equità e una leadership che sia basata sul merito. Finora abbiamo ottenuto alcuni risultati importanti: le dimissioni del Primo Ministro, la revoca del divieto sui social media e, soprattutto, l’affermazione del principio secondo cui il leader giusto deve essere al posto giusto, non imposto da accordi politici.
Qual è il suo ruolo nelle recenti proteste, sia come giovane nepalese che come regista cinematografico?
Fin dal primo giorno di protesta, io e mia moglie ci siamo uniti attivamente e abbiamo sostenuto la protesta chiedendo un cambiamento. Lo abbiamo fatto pur avendo un bambino di 4 anni a casa. Il secondo giorno, quando i rischi sono diventati più elevati, abbiamo continuato a dare il nostro sostegno attraverso la diretta, informando le persone dal sito: come influencer, ho una buona visibilità e questo mi aiuta nella diffusione dei messaggi e dei contenuti del movimento. Mi sono anche assunto la responsabilità di elaborare le notizie e condividere aggiornamenti in modo chiaro e coinvolgente: molti giovani si aspettavano questo da me. Ora, con mia moglie stiamo viaggiando nel Nepal orientale, entrando in contatto con i familiari delle vittime delle proteste uccise dal vecchio governo, per raccontare le loro storie attraverso brevi documentari, reel e TikTok. Ho ritenuto che fosse nostro dovere mettere la nostra professione al servizio della nostra generazione e la nostra piattaforma al servizio del cambiamento.
Le proteste della Generazione Z si stanno diffondendo in diversi Paesi. Crede che questa ondata abbia il potenziale per ridurre le disuguaglianze?
Vogliamo tutti un Paese libero dalla corruzione, ed è ora che la vecchia politica – in cui gli stessi leader continuano a scambiarsi di posto – venga finalmente superata. La Gen Z ovunque percepisce la stessa energia: durante le nostre proteste, la bandiera di One Piece è diventata il nostro simbolo, comune a tante altre piazze in altri Paesi e continenti. È come dire: «Siamo un equipaggio, navighiamo insieme e non ci fermeremo finché libertà ed equità non saranno nostre». Questo spirito è audace, ribelle e globale: io credo fermamente che possa scuotere i vecchi sistemi e ridurre le disuguaglianze ovunque.
da Vita del 2 ottobre 2025
https://www.vita.it/gen-z-londa-di-attivismo-globale-che-sta-riportando-i-giovanissimi-in-piazza/