Francesco: una bussola nella tempesta, di Riccardo Cristiano

So bene che alcuni, anche cattolici, non condividono la mia certezza che il magistero di Francesco sia la bussola che potrebbe aiutarci, vorrei dire salvarci, nei marosi dell’oggi. Il terreno si è fatto molto inclinato, scivoloso, e la violenza delle piogge sta creando rapide capaci di prenderci, forse travolgerci.
In questo contesto è strano non considerare che davvero “nessuno si salva da solo”. È il primo punto cardinale di questa bussola, quello che indica dove sorge il sole. Dunque ascoltando Francesco sappiamo cosa non dobbiamo fare davanti alle rapide che arrivano, violente: salvarsi da soli può essere una reazione istintiva, ma è impossibile. E guarda caso è proprio quello che alcuni propongono.
Divenendo consapevoli che nessuno si salva da solo, scopriamo che, in questo contesto di crisi evidente delle nostre certezze più profonde, è illusorio pensare di poter tornare esattamente come eravamo, come stavamo prima, perché da una crisi, ci ha spiegato anni fa Francesco, si esce migliori o peggiori, mai uguali.
È proprio quello che alcuni non vogliono vedere, illudendosi che tutto questo passerà, come accade sempre con gli acquazzoni, e torneremo a navigare sereni nelle acque di prima. Non sarà così.

Europa: da preservare e cambiare
Abbiamo già, ascoltando Francesco, due punti cardinali per navigare: nessuno si salva da solo è il primo; da questa crisi usciremo di diversi, migliori o peggiori. Ecco allora che la discussione sull’Europa è importante; va preservata, ma anche cambiata. Questa crisi può renderci migliori se comprendiamo che, se è illusorio salvarsi da soli, non possiamo neanche illuderci che ci salveranno gli altri.
Il primo bivio dunque non è tra “guerra e pace”, ma tra “difesa e resa”. Salvarsi non vuol dire arrendersi. Fa tenerezza leggere di presuntileader” che non sanno se andare alla manifestazione per l’Europa perché non è chiaro di quale Europa si tratti; piuttosto dispiace che non sia stato invitato nessun nome di spicco francese, o tedesco, o altro: solo noi.
L’Europa per difendersi deve anche cambiare, e il primo cambiamento è esistere, cioè sapere che per difendersi occorre sapere cosa si difende. Il ministro Valditara che ha proposto di accentuare nei nostri curriculum scolastici la storia dell’Occidente, forse non aveva pensato possibile che tale insegnamento potesse contemplare nella sua ultima pagina la domanda se esista questo Occidente, e se sì in cosa consista.
Lo stesso vale per l’Europa: non esiste solo perché si difende, ma perché si difende qualcosa. Abbiamo creduto, forse crediamo ancora, che sia ciò che fonda “l’Occidente”.  Ma la storia di Artemis Ghasemzade non lo conferma. Artemis è una ventisettenne iraniana che si era convertita al cristianesimo in patria e dopo l’arresto di alcuni che partecipavano con lei a un gruppo biblico ha deciso di fuggire dal suo paese per salvarsi la vita (la conversione in Iran è un crimine punito con la pena di morte) ed è arrivata a Dubai, poi ha proseguito alla volta degli Stati Uniti, dove ha chiesto asilo politico.

La storia di Artemis
Conoscendo la fermezza dell’amministrazione Trump contro il regime dei mullah che perseguita tanti come lei, contava di poter cominciare una nuova vita, ha sperato: dopo l’analisi del suo caso le hanno detto che la trasferivano in un altro centro di accoglienza, mentre in realtà la deportavano a Panama, dove attualmente si trova in una sorta di carcere nella giungla. Privata anche del telefonino, è riuscita a far sapere solo poche cose; ha appena del pane raffermo per nutrirsi.
Artemis Ghasemzade è un drammatico esempio di quei migranti e rifugiati che il nuovo Messaggio per la Giornata Mondiale dei Migranti e Rifugiati definisce “missionari di speranza”. Perché si affidano a Dio. È proprio così, se proviamo a usare l’immaginazione possiamo facilmente capirlo; molte storie non sono poi tanto diverse da quella di Artemis Ghasemzade: gli strappano la terra, la famiglia, nel suo caso la fede, li tengono a lavorare da schiavi; non sono altri volti della sua storia?
Loro fuggono verso il mondo libero, per vivere nel mondo libero e con il mondo libero: non sono missionari di speranza? Da gestire con oculatezza, certamente, direi anche da aiutare a realizzare il sogno di tornare nel loro Paese d’origine non più gestito da schiavisti. Ovviamente tra loro ci sarà anche la zizzania, è ovunque, ma prendere tutto per zizzania è da pazzi.
Dunque è questo il terzo punto cardinale della nostra bussola: non c’è Europa senza speranza, non possiamo chiudere gli occhi sui nostri confini e gettare la chiave, abbiamo bisogno di vedere, diversamente da Trump, Artemis Ghasemzade; c’è un libro, quello dell’Esodo, che ci parla dell’oggi. Il senso di quel libro non è buonismo, ma la consapevolezza della nostra storia, come ha spiegato Francesco ricevendo il premio Carlo Magno: “L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.”
Forse è questo che ha unito Europa e America: anche Trump è un figlio di migranti, proviene da antenati tedeschi per parte di padre e scozzesi per parte di madre; tutti e quattro i suoi nonni sono nati in Europa: l’America è un paese di migranti; chi oggi governa ne sembra inconsapevole.
Se l’Europa fa lo stesso e si chiude completamente, temendo un’ipotetica “invasione”, tradisce sé stessa, si suicida. Il problema è riuscire a migliorare il mondo che ci è vicino, non lasciarlo andare in rovina alzando staccionate. Non può esserci un giardino fiorito tra distese di macerie. Dunque occorre il coraggio di uscire, e avviare un processo. E siamo al quarto punto cardinale.

Per una nuova Helsinki
Nell’epocale discorso appena citato, quello pronunciato quando ha ricevuto il premio Carlo Magno, Francesco ha detto: “Dicevo agli Eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. Un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi”.
È il quarto punto cardinale: avviare processi! Io spero anche con Mosca, certamente, ma senza passare per Monaco, bensì per Helsinki, dove si diede vita alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
Quando il barometro segna tempesta è indispensabile tenere sempre la bussola con sé.

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