Dio sorride e abbraccia gli umili, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Lc 18, 9-14 – XXX TO/C).

Il “salire al tempio” è, in termini attuali, il nostro “andare in chiesa”. E sono molti gli atteggiamenti, i pensieri e le emozioni di coloro che salgono al tempio o entrano in una chiesa. Migliaia di testi sociologici, psicologici, filosofici e teologici hanno cercato e cercano di investigare sulle radici profonde del nostro credere e pregare. Eppure la parabola è diretta solo a una categoria di persone: “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. 

Che brutta bestia la presunzione. E’ un vortice terribile: perdiamo la misura di noi stessi, immaginiamo di essere quello che non siamo, roviniamo i rapporti con gli altri, ci poniamo su un perenne piedistallo, trattiamo gli altri da inferiori, diventiamo arroganti e sprezzanti e via discorrendo. Basterebbe una campagna elettorale (in USA, Italia o altrove), oppure un ambiente ecclesiastico degenerato per riscontrare la lunga lista di quelli “che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

A essere onesti fino in fondo qualche presunzione l’abbiamo tutti; chi più, chi meno. Con ciò non voglio dire che siamo tutti uguali: grazie a Dio ci sono molte persone umili come il pubblicano, anche oggi. Ma il problema non è la collocazione in una categoria, bensì cosa si pensa di se stessi, sia quando si è soli o di fronte al buon Dio o con gli altri.   

Ha scritto un grande maestro di vita spirituale, Thomas Merton: “Non è umiltà insistere nell’essere qualcosa che non sei”. E’ umiltà nell’essere quello che sono: né più, ne meno. La domanda allora è: mi conosco? Trovo molto interessanti tutti quei percorsi e studi, delle scienze umane, che aiutano a definire se stessi con competenza e profondità. Del resto la filosofia, con Socrate, è nata come grande invito a conoscere se stessi. Dobbiamo conoscere il più possibile noi stessi, per essere noi stessi: autenticamente, senza ipocrisie, con misura e, sopratutto, rendendo gloria a Dio, perché tutto è suo dono. Tutto è grazia.

Quando iniziamo a conoscerci autenticamente diventiamo sobri, diventiamo come il pubblicano, abbiamo la misura vera di noi stessi: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. L’atteggiamento e le parole del fariseo, allora, ci sembreranno cosi lontane, false, stupide e persino ridicole. L’umiltà vera nasce dalla profonda conoscenza di noi stessi davanti a Dio. E davanti a Lui tutto è dono suo e tutto è cosi caduco e deficitario da invocare sempre la sua misericordia: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 

L’umiltà vera va accompagnata a un sincero umorismo: il fariseo è ridicolo… perché non sa ridere di sé! Crede di essere chissà chi, ma in fondo è come me e te, ma non riesce a capirlo. Quando iniziamo a ridere di noi stessi ci accorgiamo di ciò che veramente vale e di ciò che è superfluo e dannoso. Ancora Merton: “L’uomo umile prende quanto nel mondo lo aiuta a trovare Dio e lascia da parte il resto”.

Ho sempre pensato che il buon Dio ascoltando le parole del fariseo lo abbia guardato un po’ preoccupato, fermo lì e forse pensando: Ma guarda questo sciocco, non ha capito niente… 

Mentre ho sempre creduto che, alle parole del pubblicano, il buon Dio sia “sceso” dal tempio e lo abbia teneramente abbracciato. Sorridendo.

  

Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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