Da bambina pensavo che la pace fosse un valore in assoluto il più importante. Le discussioni animate di casa mia fra i miei indivisibili genitori, entrambi artisti ed insegnanti nelle scuole medie, forse anche un po’ rivaleggianti nel loro ambito, e le discussioni familiari in genere, mi avevano convinta decisamente che la pace, quella tra le persone, quella agreste, quella di una chiesa silenziosa, quella che ti godi sdraiata su un’amaca, fosse un elemento irrinunciabile per vivere, o per sopravvivere.
Parlavo assai ed osservavo almeno altrettanto, così qualche conversazione con le signore che ci aiutavano per accudire mia nonna e in specie con qualcuno dei loro mariti, uno in particolare ubriaco fradicio veniva a prendere sua moglie e quella poverina ne aveva letteralmente paura, mi fece prestissimo capire che c’era tutto un mondo disperato intorno a noi, bisognoso di cure, non abbastanza colto, non abbastanza sfamato, non abbastanza occupato da un lavoro giustamente retribuito.
Se avessi potuto avrei voluto risolvere i problemi di tutti. E mi ero messa ad insegnare a leggere e scrivere ad una di quelle signore, per non parlare di come cercai di convincere il marito a non bere ed a trattare bene sua moglie. Avevo sette anni.
Oggi apprendo, dalle mie letture e dal mio sondare in lungo ed in largo l’informazione mediatica senza mai accontentarmi della prima notizia che mi arriva, che i pacifisti sono considerati nemici dai governi di alcuni Paesi, per non parlare di tutti coloro che reclamano la giustizia sociale a causa della loro disperazione e povertà.
Caspitina! Che il mondo vada alla rovescia? Fatemi sapere, perché io non lo so.
Diventando adulta ho appreso che i conflitti e le controversie sono inevitabili ma ci sono mezzi pacifici per ricomporli, e davvero molti esseri umani di buona volontà si sono messi insieme per proporre soluzioni scrivendo carte costituzionali ed internazionali, ma anche studiando la psiche umana, o superando i confini nazionali con la musica, il teatro, il cinema, l’associazionismo, le organizzazioni sovranazionali.
Diciamo che la parte migliore dell’umanità si era messa a lavorare per far diventare realtà il sogno della mia infanzia.
Ma in questo mondo capovolto, i conflitti, apparentemente, non trovano soluzioni, anzi sono alimentati, creati apposta tra le bolle sociali mediatiche, in cui ogni problema grave sostenuto da un gruppo trova la sua negazione in un altro gruppo e, come dice qualcuno vicino a me, “ci si insulta a vicenda” ritenendo chi crede al problema o, viceversa, chi crede alla sua negazione, un perfetto idiota. Ma che qualcuno dica: “ehi ragazzi andiamo a vedere insieme cosa sta succedendo o cosa è successo” invece di aderire a informazioni di opposto segno senza documentarsi o senza andare a vedere di persona. Nessuno. Stiamo tutti attaccati alla nostra sedia a giudicare il mondo a seconda di quello che ci dicono nei social e che ci è più gradito.
Un sostanziale manicomio.
Ma ci sono chiavi di lettura, dobbiamo solo sforzarci di studiare questi fenomeni, molti ne hanno scritto e ne scrivono proficuamente come ha fatto D’Ambrosio con il suo saggio “L’Etica stanca” che è anche una raccolta di riflessioni di altri studiosi ed esperti e cita una bibliografia nutrita sull’argomento.
Ma se è troppo faticoso leggere, allora dovremo aspettare che si realizzi il famoso motto: “non puoi ingannare tutti per sempre”. Smaschereremo il gioco di manipolazione pro e contro tutto perché capiremo che ci divide e si fa gioco della nostra stessa sopravvivenza. Finalmente capiremo che solo tenendo il timone fermo su valori etici, navigheremo nella giusta direzione verso il futuro, non quello transumano, non quello guerrafondaio, non quello negazionista e neanche quello dominato dall’AI. Provare, dico io, per credere.