New York City ha un nuovo sindaco. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è musulmano e socialista. Ha corso con il Partito democratico, sconfiggendo nelle primarie i rivali sostenuti dall’establishment della formazione. La sua campagna elettorale si è giocata tutta sulla riduzione del costo della vita finanziata con le tasse sugli ultra-ricchi. Ora, dopo aver incassato il sostegno del 50% quasi esatto dei suoi concittadini, dovrà portare a casa la sua ambiziosa agenda. Prima del voto, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva fatto sapere che, in caso di vittoria di Mamdani, avrebbe tagliato i finanziamenti federali alla città di New York e inviato la Guardia Nazionale.
Un «socialista democratico» a Wall Street
Il nome di Zohran Mamdani era sconosciuto alla maggioranza dei newyorchesi fino a pochi mesi fa. Nato in Uganda da genitori indiani, ha ereditato dal padre la fede musulmana, e dai sette anni ha vissuto a New York. Quello della sua famiglia è un caso di immigrazione benestante: il padre è docente alla Columbia University, la madre regista. Dal 2019 è rappresentante per la circoscrizione di Astoria e Long Island City all’assemblea dello Stato di New York. Dal 2016 è membro dei Democratic Socialist of America (Dsa), la principale organizzazione della sinistra statunitense. Proprio attorno a questa etichetta si è centrata molta della campagna dei suoi avversari.
“Socialista” è infatti una parola ancora polarizzante del dibattito pubblico statunitense. Nonostante le campagne presidenziali di Bernie Sanders e l’elezione al Congresso di diversi deputati affiliati ai Dsa abbia contribuito a normalizzare il concetto, i media di destra hanno a più riprese descritto Mamdani come un aspirante autocrate. Anche sulla fede musulmana si sono concentrati gli attacchi degli sfidanti. Il candidato repubblicano Curtis Sliwa lo ha accusato nel corso di un dibattito di aver promosso una jihad globale – un’affermazione falsa, ovviamente. L’indipendente Andrew Cuomo, proveniente dall’ala mainstream dei Democratici, ha suggerito nel corso di un podcast che Mamdani festeggerebbe in caso di un nuovo attentato islamista sul modello di quello contro le Torri Gemelle del 2001.
I temi della campagna di Zohran Mamdani
La campagna di Zohran Mamdani si è centrata su tre proposte: congelare per legge il costo degli affitti negli appartamenti sovvenzionati dal Comune, rendere gratuiti i bus urbani e garantire assistenza gratuita per i bambini. Si tratta di misure volte a diminuire il costo della vita, uno dei problemi principali dei newyorchesi secondo tutti i sondaggi. A queste misure simbolo si accompagnano altre proposte: la costruzione di nuovi alloggi, un piano di investimenti sul trasporto pubblico, l’istituzione di un dipartimento di salute mentale in seno alla polizia per trattare i casi di disagio psichiatrico, un programma pilota per la costruzione di supermercati a prezzi calmierati gestiti dal Comune.
Le risorse economiche dovrebbero venire, secondo Mamdani, da un mix di razionalizzazione della spesa pubblica e, sopratutto, tasse sui più ricchi. Sono due le proposte su questo fronte: aumentare la tassa sui profitti delle aziende fino all’11,5%, e introdurre una tassa sul reddito aggiuntiva del 2% su chi guadagna più di un milione all’anno. A New York i milionari sono, secondo le stime, almeno 340mila, e le grandi aziende decine di migliaia. L’obiettivo di Mamdani è recuperare 10 miliardi all’anno.
Oltre alle proposte molto popolari, un pezzo del suo successo sta – secondo molti analisti – nello stile comunicativo. In campagna elettorale Mamdani ha adottato un linguaggio semplice e uno stile simpatico e sempre sorridente. In tutti i contenuti social e in tutte le apparizioni televisive ha parlato sempre delle sue tre proposte principali – relative ad affitti, bus e cura dei bambini. Durante le primarie, proprio grazie al successo dei suoi video venne soprannominato «il candidato Tik-Tok».
Miliardari contro Zohran Mamdani
Le proposte di Zohran – come da tradizione statunitense, i suoi sostenitori si riferiscono a lui usando solo il nome – sono piaciute alla maggioranza dei newyorchesi. Ma tra i miliardari della città l’umore è ben diverso. Secondo Forbes, 26 ultra-ricchi hanno donato 22 miliardi di dollari a campagne contro Mamdani e a favore dei suoi avversari. Il più generoso tra questi super-donatori è Michael Bloomberg, finanziere ed ex-sindaco di New York tra il 2002 e il 2013. Nella lista figurano anche altri nomi noti: il fondatore di Airbnb Joe Gebbia, il fondatore di Netflix Reed Hastings, la proprietaria di Walmart Alice Walton.
Il più discusso tra i miliardari anti-Zohran è Bill Ackman, un sessantenne diventato ricco con la speculazione finanziaria. Ackman si è fatto notare anche per le sue posizioni filo-israeliane e di sostegno a Benjamin Netanyahu. Un posizionamento che conta, nel contesto delle comunali di New York. Zohran Mamdani è infatti vicino alla causa palestinese. Protestò già contro il sostegno dell’amministrazione Biden ad Israele, si riferisce a quanto avviene nella Striscia di Gaza come genocidio e ha detto che, se Netanyahu visitasse New York, darebbe ordine alla polizia di arrestarlo.
La fuga dei miliardari che non ci sarà in caso di vittoria di Zorhan Mamdani
La gran parte del sostegno dei miliardari neworchesi è andato ad Andrew Cuomo, arrivato secondo con il 41% dei voti. Cuomo è un ex-governatore dello Stato di New York ed ex-procuratore generale caduto in disgrazia per uno scandalo sessuale. Aveva tentato di candidarsi alle primarie democratiche e aveva il sostegno dell’establishment del Partito, ma era stato sconfitto a sorpresa da Mamdani. Su di lui si era concentrato il voto utile degli anti-Zohran. Il presidente Donald Trump e l’uomo più ricco del mondo Elon Musk gli hanno espresso il loro sostegno negli ultimi giorni della campagna elettorale.
L’interventismo degli ultra-ricchi è stato tale da irritare anche il terzo arrivato, il repubblicano Curtis Sliwa, che si è fermato al 7%. «A scuola mi hanno insegnato che sono le persone a decidere chi votare, non i miliardari», ha dichiarato a CNBC. Interrogato sulle pressioni di Bill Ackman, che aveva promesso di costruirgli una statua in oro se avesse lasciato la corsa e appoggiato Cuomo, ha dichiarato che «[Ackman] se vuole, può lasciare la città». Proprio sulla possibilità di una fuga di ricchi e ultra-ricchi da New York in caso di una vittoria di Mamdani si è concentrata molto la stampa di destra nelle ultime settimane. Il tabloid di estrema destra New York Post ha addirittura parlato di un 26% dei cittadini pronto a trasferirsi. Dati che, per ora, non stanno trovando riscontro nella realtà.
E ora cosa succede?
Trasformare le promesse in realtà non sarà un lavoro facile. Parte delle tasse proposte da Mamdani, ad esempio, dipendono non dalla città, bensì dallo Stato. Il governatore è un democratico, ma appartenente all’ala moderata del Partito. C’è poi il capitolo del sabotaggio da parte del governo federale. Donald Trump ha già lasciato intendere che intende usare i suoi poteri per danneggiare le amministrazioni locali che ritiene ostili, e Mamdani è stato più volte oggetto degli attacchi verbali del Presidente.
Anche la possibilità che sia lo stesso mondo imprenditoriale e finanziario a fare ostruzionismo preoccupa il nuovo sindaco. Per farlo milionari e miliardari avrebbero a disposizione non solo lobbismo e campagne di stampa, ma anche il trasferimento altrove della propria residenza fiscale. Farlo non è necessariamente facile né scontato, come spieghiamo nell’ultimo episodio del nostro podcast Unchained. Il media specializzato Bloomberg, molto ascoltato a Wall Street, ha in ogni caso ridimensionato il pericolo in un recente articolo. «Non aspettatevi un esodo [dei miliardari]» si legge.
Il Partito Democratico non sa come approcciare il fenomeno Zohran Mamdani
Le comunali di New York, poi, hanno spesso conseguenze anche al di fuori dei confini cittadini. Per i Democratici non è una notizia vincere a New York – la città è controllata dal partito da decenni. Ma il fatto che a diventare sindaco sia un membro dei Dsa che si definisce socialista e parla di genocidio a Gaza è un fatto inedito. L’ala sinistra dei Democratici ne esce galvanizzata, mentre l’establishment del Partito non ha ancora deciso come approcciare il fenomeno Zohran.
Kamala Harris, candidata alle ultime presidenziali e sconfitta da Trump, ha espresso il suo appoggio a Mamdani solo pochi giorni prima del voto, quando l’esito era ormai chiaro. Barack Obama, ex-presidente e tutt’ora popolarissimo, non si è espresso pubblicamente, ma secondo il New York Times avrebbe offerto il suo sostegno al nuovo sindaco di New York in una conversazione privata. Il suo stile comunicativo sorridente e molto social, fatto di video ironici e linguaggio semplice, sarà di certo copiato da molti altri candidati democratici nelle prossime tornate elettorali. Lo stesso potrà dirsi delle sue politiche?
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