Anche la guerra è sotto la legge. La lezione della sentenza Regeni, di Rosario Aitala

Dal Palazzo della Consulta arriva una lezione politica memorabile. L’occasione è particolare, il processo Regeni, le implicazioni universali. Nella sentenza del 26 ottobre la Corte ha stabilito che la mancata cooperazione di uno Stato non può paralizzare un processo per atti di tortura commessi da agenti pubblici. La Repubblica non può tollerare questo spazio di «immunità»: si legga impunità. La giustizia, scrivono i giudici, deve fare il suo corso anche se non si ha la prova che i quattro funzionari dei servizi segreti accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso il giovane dottorando italiano, siano a conoscenza del processo, a causa della mancata assistenza delle autorità egiziane. Lo Stato, conclude la Corte, ha il dovere di giudicare la tortura, che è un delitto universale, fermo restando il diritto dell’imputato a comparire davanti ai giudici e chiedere la riapertura del procedimento.
Le torture commesse da soggetti che esercitano l’autorità sono macabri strumenti di inquisizione o mezzi arbitrari di punizione e umiliazione, finalizzati a ridurre la persona umana a povera materia dolente. Esercizi di vendetta e dominio, vietati e puniti dal diritto internazionale. Ma la sentenza invita a riflessioni più ampie. Vi sono contenuti due principi interpretabili in termini generali che nella contemporaneità, preda del male, diventano paradigma.
Primo. Il diritto internazionale «imperativo», cioè tassativo, inviolabile, prevale sulla legge interna. Certi obblighi universali trascendono la discrezione di governi e parlamenti perché proteggono la pace e la sicurezza internazionali, le libertà e i diritti individuali, dunque la stessa civiltà umana. La guerra non è affatto uno spazio sottratto alla legge. È soggetta a principi di umanità.
Nei conflitti armati è proibito dirigere la violenza contro i civili e i beni non militari: case, luoghi di culto, ospedali. La forza deve essere usata in modo da evitare danni anche non intenzionali a non combattenti e a beni civili. Se non è possibile distinguere, è vietato attaccare. La popolazione dell’avversario non può essere trasferita né si può insediare la propria nei territori occupati. I civili non possono essere privati di acqua, cibo, farmaci. Sono sempre vietati, in tempo di pace e di guerra, gli atti intesi a suscitare terrore. Attentati, omicidi e rapimenti contro civili inermi e incolpevoli non sono mai giustificati dal fine perseguito, non importa quanto nobile. È proibito agli Stati discriminare, perseguitare e segregare per motivi politici, nazionali, etnici o religiosi i propri cittadini o altri. L’elenco è lungo. La violazione di queste norme cogenti non solo chiama in causa Stati, movimenti politici e milizie. Comporta anche la responsabilità penale personale di chi concepisce, ordina e commette atrocità di massa.
Questi crimini sono detti «internazionali» perché talmente gravi da offendere idealmente l’intera umanità, a prescindere dal luogo dove sono commessi e dalla nazionalità delle vittime e dei carnefici. Quando la campana suona, suona per tutti.

Secondo. La giustizia dei crimini internazionali realizza l’obbligo degli Stati di salvaguardare la dignità umana anche quando l’assenza dell’imputato non ne permetta l’effettiva punizione. La giustizia penale internazionale ha forte valenza simbolica. Un mandato di arresto della Corte penale internazionale o di un altro tribunale cui non può seguire un giudizio per l’assenza dell’imputato è di per sé un importante accertamento dei fatti e delle responsabilità, che attua il diritto delle vittime alla verità e difende valori universali nati sul sangue delle guerre mondiali, patrimonio comune di tutti gli esseri umani.
Il diritto internazionale è indispensabile affinché gli Stati non risolvano le controversie ricorrendo alla forza sregolata e alla vendetta. La giustizia internazionale penale è necessaria, ma è improprio assegnare ai processi il fine di risolvere i conflitti armati. Le guerre sono politica e i governi hanno la responsabilità di fermarle. La giustizia ha la primaria funzione di difendere l’asimmetria fra l’inciviltà della violenza disumana e la civiltà dei processi, del diritto e dei diritti. In un mondo senza regole, l’umanità è perduta.
*Rosario Aitala è un giurista, giudice della Corte penale internazionale
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-lezione-della-sentenza-regenipure-la-guerra-e-s

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