Ci sono volute 18 ore perché Georges Salines sapesse se sua figlia Lola era tra i sommersi o i salvati. E ci sono voluti 3 giorni perché Azdyne Amimour uscisse dalla prigione dove era stato torchiato: suo figlio Samy era uno dei tre terroristi che hanno seminato orrore al Bataclan. Entrambi, Lola e Samy, avevano 28 anni. Entrambi sono morti in quel teatro parigino. Due padri, due lutti. Non uguali però: Azdyne aveva sulle proprie spalle anche il peso della colpa.
Due padri che si sono incontrati, hanno voluto conoscersi e percorrere insieme il sentiero stretto e doloroso del perché. Perché Samy, ragazzo educato, obbediente, intelligente, quel 13 novembre 2015 ha scelto di uccidere altri ragazzi come lui, altre ragazze come Lola?
La risposta la stanno cercando insieme, come insieme sono arrivati ieri a Milano a parlare agli studenti dell’Università Cattolica in un incontro dal titolo profetico: “Sperare contro ogni speranza. Il coraggio del dialogo dopo il terrorismo”. «Non volevo lasciarmi sopraffare dall’odio», ha esordito Georges Salines, medico condotto che poche settimane dopo gli attentati di Parigi ha creato una associazione di familiari di vittime. «Alla fine ho capito che ero una vittima anch’io», ha rincalzato Azdyne.
E nella sala gremita di studenti sono riecheggiate le parole di papa Leone XIV nell’udienza ai giornalisti, lunedì. Trovare un senso a quello che è successo è un’impresa ardua eppure l’amicizia tra Georges e Azdyne è la testimonianza evidente che «la pace disarmata e disarmante» non è solo un impegno ideale a cui tutti siamo chiamati, ma anche una realtà che si può vivere. Una pietra angolare su cui si può costruire un modo nuovo di vivere, come ha sottolineato la professoressa Claudia Mazzucato.
Dove non è l’odio e la volontà di vendetta a guidare le menti e le azioni, ma il desiderio di riconciliarsi, con se stessi e con gli altri. E di capire. Non sempre ci si riesce. Azdyne Aminour, 78 anni, combattente nella guerra d’Algeria, mille lavori, da pilota a produttore cinematografico, non ha ancora capito perché suo figlio Samy a un certo punto ha iniziato a vestirsi alla foggia islamica, frequentare assiduamente la moschea, diventare rigido e inflessibile, partire per combattere con il Daesh e infine sbarcare a Parigi imbracciando il kalashnikov. Il padre non l’ha mai abbandonato, è andato perigliosamente in Siria, ha cercato di convincerlo a tornare in Europa. Oggi – racconta – si sente un fallito. Non ha salvato Samy, non ha salvato Lola e gli altri del Bataclan. Ma ha imparato a essere più indulgente con se stesso, a sentirsi anche lui una vittima del terrorismo. Per la moglie non è stato così: la madre di Samy non parla mai del figlio, non conserva sue foto nell’appartamento, è sprofondata nel dolore e nella vergogna.
Azdyne Amimour no. Insieme a Georges entra nelle carceri di Francia e Belgio per parlare con i jihadisti lì rinchiusi, con l’obiettivo di intercettare la radicalizzazione. Insieme Georges e Azdyne promuovono incontri tra le famiglie delle vittime del terrorismo e gli attentatori o le loro famiglie.
Si chiama giustizia riparativa, ricuce le ferite, allarga le relazioni, crea una pace vivente nei cuori. «Sono felice quando grazie al nostro impegno qualcuno si libera dalla rabbia, dal dolore e dall’odio», ha detto ieri Georges Salines. Non è un percorso facile, ma i due padri del Bataclan, che nel 2020 hanno pubblicato insieme il libro “Il nous reste le mots” (a noi restano le parole), tradotto in Italia nel 2024 per Giunti, non sono gli unici. In Francia è appena uscito il memoir “Soeurs de Douleur” (Sorelle nel dolore), la storia dell’amicizia tra la sorella di padre Jacques Hamel, Roseline, e Nassera Kemiche, madre di Adel, uno dei due giovanissimi jihadisti che il 26 luglio 2016 assassinarono l’anziano sacerdote mentre diceva Messa.
Disarmare le parole, chiedeva papa Francesco e ha ribadito il suo successore. Georges, Azdyne, Roseline, Nassera e tanti altri l’hanno fatto, consegnandoci un dolore fecondo perché purificato dalla rabbia e dall’odio. Non è stato facile né lo è tuttora, perché le sirene dell’intolleranza e dell’islamofobia risuonano forti in Francia e altrove, e gli attacchi non hanno risparmiato né Georges né Azdyne. Se fosse ancora vivo, vorrebbe incontrare Samy, hanno chiesto gli studenti al padre di Lola? «Sì, lo vorrei. Gli direi: mia figlia aveva la tua età, pubblicava libri per bambini, rideva e aveva sogni. E poi gli chiederei: perché l’hai uccisa? Che senso ha tutto questo?». Un senso, se ce l’ha, i due padri lo stanno cercando camminando l’uno accanto all’altro.
da Avvenire del 14 maggio 2025