La gratitudine sana e salva, di Rocco D’Ambrosio

Il Vangelo odierno: Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!»
(Lc 17, 11-19 – XXVIII/C).

Nel 1513 Nicolò Machiavelli pubblicò il suo Il Principe: un libro che ha avuto molta fortuna, più di quanta ne merita. Un libro che ha sancito il divorzio tra etica e politica, costituendo la base teorica del potere che, in quanto tale, tende solo (o soprattutto) ad autoconservarsi e usa ogni mezzo, giustifica ogni mezzo, pur di raggiungere questo fine. In esso lo scrittore fiorentino scrive: “Degli uomini si può generalmente dire questo: che sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori dei pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene sono tutti per te, ti offrono il sangue, la roba, la vita e figlioli, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, essi si rivoltano”.

Machiavelli non aveva molta stima dei suoi simili e va giù pesante. Per lui l’ingratitudine è la prima caratteristica negativa delle persone. Evangelicamente non direbbe che solo uno (dei lebbrosi) è tornato; ma che non torna nessuno. Per lui siamo tutti ingrati. Ma è proprio cosi? Assolutamente no; anche se il Principe non piace solo a molti politici, ma anche molti cittadine/i, cattolici e non.  

Gesù stigmatizza l’ingratitudine senza mezzi termini: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. Uno su dieci torna a rendere lode a Dio! Noi, che Gesù non siamo, forse dovremmo aspettarci uno su venti o cento o uno mille?

Ma il brano non è solo un insegnamento sulla gratitudine, quasi una lezione di buona educazione. La vicenda del lebbroso ritornato è una lezione su ciò che la gratitudine apre davanti a sé. Il lebbroso straniero, al pari degli altri, aveva già ricevuto il miracolo fisico. Ma solo e solamente quando torna a rendere gloria il miracolo raggiunge la pienezza: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”, gli dice Gesù.

Solo se rendiamo gloria a Dio per il bene che lui opera nella nostra vita riceveremo la sua salvezza. Possiamo ricevere tutti i miracoli di questo mondo ma saremo in Lui per sempre solo se lo riconosciamo come unico Signore, lo adoriamo e gli diamo gloria. Sì, perché Dio è geloso: qualsiasi opera, evento, dono, incontro deve iniziare da Lui e portare a Lui. Rendendogli quanta maggior gloria possiamo.

Quello del rendere gloria a Dio è un atteggiamento fuori moda oggigiorno: non solo perché sempre meno diciamo grazie a chi ci aiuta, ma anche e soprattutto perché siamo spesso così pieni di noi stessi che non c’è spazio per la gloria di Dio. Per la nostra gloria sì, ma per quella di Dio, forse, raramente e in tono minore. E invece è così bello dire: Grazie Signore! E‘ così salutare pensare prima a Lui quando ci accade qualcosa di bello e fecondo, magari dicendo: Lode a Dio! E‘ così da persona matura ricordarsi che passa tutto: io, noi, gli altri, le cose belle e brutte, gli eventi personali e quelli comuni, la storia… passa proprio tutto. Resta solo Dio. 

Rocco D’Ambrosio [presbitero, docente di filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma; presidente di Cercasi un fine APS]

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