Polveriera Medio Oriente, di Alessia De Luca

Alte colonne di fumo nero si levano dal centro di Doha, bersaglio un raid aereo israeliano contro i principali leader di Hamas nella capitale del Qatar. L’attacco, confermato dalle Forze armate israeliane, avviene all’indomani dell’attentato compiuto ieri mattina a Ramot da due giovani palestinesi provenienti dalla Cisgiordania, in cui sei israeliani sono morti e 12 sono rimasti feriti. I due attentatori, uccisi a loro volta da un soldato, e alcuni civili armati presenti sul posto hanno aperto il fuoco contro decine di persone in attesa alla fermata dell’autobus all’incrocio dell’insediamento, edificato oltre la Linea Verde e considerato una colonia illegale dal diritto internazionale. L’attacco, celebrato ma rivendicato solo oggi da Hamas, come una “risposta ai massacri a Gaza” alimenta una scia di sangue che pare inarrestabile e arriva in una delle fasi più drammatiche del conflitto in corso nella Striscia, che ha ucciso almeno 62mila palestinesi. Un portavoce del ministero degli Esteri del Qatar ha condannatonei termini più forti possibili” l’attacco a Doha, affermando che esso costituisce una “palese violazione” delle leggi internazionali e una “grave minaccia” per la popolazione del Qatar. L’attacco arriva mentre l’esercito israeliano si prepara a occupare via terra Gaza City, dove è già stato emesso un ordine di evacuazione per tutta la popolazione civile.

Da Ramot a Doha?
Le Forze di difesa israeliane e lo Shin Bet hanno reso noto, in un comunicato ufficiale di questo pomeriggio, di aver “neutralizzato i vertici di Hamas” attraverso un’operazione aerea condotta dall’aviazione a Doha. “I leader colpiti hanno diretto le operazioni del gruppo terroristico per lunghi anni e hanno una responsabilità diretta per il massacro del 7 ottobre e per il conflitto nei confronti dello Stato di Israele”, affermano nel testo. Le informazioni sono però ancora frammentarie. Secondo fonti dell’emittente israeliana Kan, principale obiettivo del raid era il dirigente politico di Hamas, Khalil Al-Hayya (capo negoziatore nei colloqui con Israele), presente oggi a un summit con altri sei dirigenti, il cui obiettivo era discutere la proposta di cessate il fuoco avanzata da Donald Trump. Nonostante alcune indiscrezioni iniziali sulla morte di Al-Hayya e di altri leader presenti a Doha, fonti del movimento palestinese hanno poi smentito, assicurando ad Al-Jazeera che non ci sono vittime. Secondo i media israeliani, invece, le autorità qatariote e lo stesso Trump sarebbero stati informati dell’attacco. Il Qatar rappresenta uno dei principali alleati politici ed economici di Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e fornisce ospitalità ad alcuni esponenti di spicco della dirigenza del movimento islamista palestinese.

Israele minaccia vendetta?
Col passare delle ore diventa sempre più chiaro che le contromisure israeliane all’attentato di ieri a Ramot avranno effetti anche sulla vicina Cisgiordania e in particolare sulle aree alla periferia di Ramallah da cui erano giunti i due palestinesi: Qobeibah, e Qatannah. ll ministro della Difesa Israel Katz ha affermato di aver ordinato il congelamento dei beni e sanzioni collettive anche ai familiari degli uomini e ai residenti delle due città, entrambe a nord-ovest di Gerusalemme. Tali sanzioni includono la demolizione di ogni struttura costruita senza permessi e la revoca di 750 permessi di lavoro e di ingresso in Israele. All’indomani dell’attacco, diversi esponenti del governo Netanyahu hanno invocato “vendetta” e rappresaglie durissime contro i palestinesi in Cisgiordania, fino a trasformare i centri abitati “in cumuli di macerie” come già accade nella Striscia. Visitando il luogo dell’attacco insieme al ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, il premier Netanyahu ha alzato l’asticella della risposta militare. E rivolgendosi ai Paesi occidentali che criticano la sua politica verso Gaza – alcuni dei quali si preparano a riconoscere lo Stato di Palestina alle Nazioni Unite la prossima settimana – ha ribadito che Israele è impegnato in una “guerra contro il terrorismo” su più fronti.

Cisgiordania: obiettivo annessione?
L’attentato di Ramot ha innescato un’escalation in un territorio in cui la tensione è già ai massimi livelli. L’espansione delle colonie in Cisgiordania, che l’organizzazione per i diritti umani B’tselem definisce “un furto di terra palestinese” è aumentata notevolmente da quando il premier Benjamin Netanyahu è tornato al potere a fine del 2022, a capo della coalizione di governo più a destra della storia di Israele, all’interno della quale figurano partiti apertamente schierati a favore dei coloni. Ieri è stato il falco dell’estrema destra israeliana Bezalel Smotrich a rilanciare il controverso progetto per l’annessione dell’82% della Cisgiordania per “seppellire definitivamente l’idea di uno Stato palestinese” assicurando di avere dalla sua parte Netanyahu e Trump. Il ministro – che nelle ultime settimane ha adottato altre misure per consolidare il controllo israeliano sulla Cisgiordania, tra cui la costruzione in un corridoio nord-sud a est di Gerusalemme, noto come E1 –  afferma che “il momento è arrivato”, nonostante gli avvertimenti internazionali contro tale mossa. Il piano, presentato insieme a una mappa dei confini proposti, è l’espressione più concreta finora del crescente slancio del governo di destra del Primo Ministro Benjamin Netanyahu nell’applicare la sovranità israeliana alla Cisgiordania, in risposta al piano di diversi Paesi occidentali di riconoscere uno Stato palestinese.

Una linea rossa?
La fuga in avanti di Smotrich e dei partiti ultranazionalisti è stata condannata dalle capitali arabe e dall’Ue. E da Ramallah l’Anp ha “condannato fermamente” il progetto e chiesto un intervento internazionale per fermarne l’attuazione”. Cinque anni dopo la firma degli Accordi di Abramo, gli Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato al Times of Israel che l’annessione israeliana della Cisgiordania sarebbe una “linea rossa” che “porrebbe fine alla visione di integrazione regionale”. Ciononostante, la spinta israeliana volta a polverizzare ogni speranza di un futuro Stato palestinese si avverte anche nella decisione di colpire, per la prima volta, la leadership politica di Hamas nello stato del Golfo. Il Qatar, importante alleato degli Stati Uniti, ha ospitato i vertici di Hamas per oltre un decennio e ha svolto un ruolo centrale al fianco di Washington nel tentativo di mediare la fine della guerra di 22 mesi di Israele a Gaza. Ieri, dopo l’attentato di Ramot, il premier israeliano aveva sostenuto che Hamas e Jihad islamico sarebbero intenzionati a rilanciare la lotta armata su vasta scala, con una nuova ondata di attentati in Israele e a Gerusalemme, sul modello dell’inizio della Seconda Intifada.
I palestinesi, invece, ritengono che Hamas abbia voluto dimostrare di essere ancora in grado di colpire, nonostante l’apparato di sicurezza israeliano e i proclami di vittoria dei vertici israeliani nella Striscia di Gaza.

Il commento di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor
“Da molto tempo non c’erano attentati e da anni non se ne registrava uno ugualmente sanguinoso: altri civili inermi hanno perso la vita. La domanda è cosa accadrà ora. È stato un atto terroristico casuale o un inizio? I vertici militari israeliani temono la seconda eventualità e forse non hanno torto. Cosa ti aspetti che facciano i palestinesi quando esercito e polizia israeliani entrano ed escono dalle città della Cisgiordania; uccidono, arrestano, distruggono case, espellono palestinesi; quando i coloni aggrediscono indisturbati spesso con l’aiuto dei soldati; quando i ministri israeliani annunciano annessioni di un’area dei Territori, poi dell’80%, e infine di tutta la Cisgiordania? Perché non presumere che, per quanto suicida, sanguinoso e politicamente inutile, un popolo lasciato senza speranza decida di ribellarsi?”.

ispionline.it/it/pubblicazione/polveriera-medio-oriente-216743

 

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