LA SCOMPARSA DI PADRE DALL’OGLIO DODICI ANNI FA, DI RICCARDO CRISTIANO

Padre Arturo Sosa, Superiore Generale della Compagnia di Gesú, in occasione del dodicesimo anniversario del sequestro di padre Paolo Dall’Oglio, avvenuto in Siria, a Raqqa, il 29 luglio 2013, ha fatto pervenire alla Provincia per il Vicino Oriente dei gesuiti e  alla  Comunità monastica di Mar Musa, fondata da padre Paolo, un messaggio nel quale ricorda che purtroppo di lui nulla si è saputo neanche dopo la caduta del regime degli Assad.

“Avevamo sperato, soprattutto alla luce dei recenti sconvolgimenti in Siria, che scoprisse finalmente la verità su quanto gli è accaduto e cominciassero a guarire le ferite del passato. Purtroppo non è ancora così”.

Quindi sopraggiungono delle considerazioni di grande rilievo per l’oggi e per le Chiese siriane, quando si sofferma sulla “accuratezza delle sue intuizioni più profonde e la pertinenza della sua diagnosi della società siriana. Oggi è giustamente celebrato come un visionario, un eroe che ha saputo resistere e indicare ai siriani, cristiani e musulmani, la strada da seguire.

Come tutti i veri profeti è stato un uomo scomodo, perseguitato, ma che è rimasto in piedi, a qualunque costo, per difendere la giustizia e la verità. Ancora una volta, rendiamo grazie per la vita del nostro compagno Paolo Dall’Oglio. Non abbiamo ancora finito di esplorare e comprendere tutta la ricchezza del suo pensiero teologico, in particolare per quanto riguarda il dialogo e l’ospitalità islamo-cristiana. Ma il suo impegno ha già portato frutti abbondanti”.

Non si può che partire dalla “pertinenza della sua diagnosi della società siriana”. Non vuol dire che avesse ragione, ma che la sua diagnosi aveva una sua fondatezza, diciamo che era “adatta”, per usare un sinonimo che forse spiega l’idea.

Al cuore di questa diagnosi scorgo due passaggi importanti: uno storico e uno relativo all’attualità. Analizzando la società siriana che ha conosciuto quando vi giunse all’inizio degli anni Ottanta, Dall’Oglio ha scritto che il “dress code” delle donne siriane e musulmane che vedeva nella zona dove si trova il suo monastero non differiva, usavano tutte un fazzoletto colorato, leggero e delicatamente posato sul capo, aperto al collo.

Le cose sono cambiate con l’arrivo delle televisioni satellitari, guardando le quali le musulmane hanno cominciato a vestirsi alla saudita, con veli sempre più chiusi, neri, e quelle cristiane all’europea, con gonne sempre più corte. Dunque modelli importati tramite le immagini che giungevano dalle loro società di riferimento.

Per l’attualità invece, nella sua diagnosi sociale trovo di straordinaria importanza, purtroppo, la convinzione che la primavera araba fosse un’occasione senza ritorno per costruire quella pari cittadinanza nella democrazia, una democrazia colorata di islam come le nostre sono colorate dalle radici cristiane e che quindi i cristiani siriani vi dovessero partecipare con convinzione e coraggio.

Tanto si è scritto sulla Primavera araba, poco invece sul suo dirottamento, dopo che è stata sequestrata da parte di gruppi jihadisti infiltrati nel corpo della protesta da poteri occulti. Quali? Dall’Oglio ha parlato di un’oscura cloaca che ristagna intorno al fenomeno terroristico e nella quale si scorgono i mercanti di droga, quelli di armi, servizi segreti o servizi deviati.

Io mi permetterei di parlare di pezzi di regimi in urto tra di loro ma uniti dal terrore della primavera, cioè della libertà anelata da popoli guidati dai loro giovani e uniti dietro uno slogan chiaro, inequivocabile e valido per tutti: “il popolo vuole la caduta del regime”.

La partecipazione attiva dei cristiani alla Primavera costituiva a suo avviso la speranza di costruire di quei legami che producono impegni comuni. Legami tra persone, legami diretti, al di là dell’apparenza comunitaria.

Questa io credo che sia stata una parte importante della sua diagnosi, che lo ha differenziato da diversi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche di allora.

Come immaginare una Siria non divisa su linee confessionali, come purtroppo vediamo confermato da al-Sharaa in modo capovolto rispetto a quanto accadeva con Assad? Impegnandosi insieme per dire no ad un regime che usava il tribalismo per dividere e comandare (come avevano insegnato a fare i colonialisti francesi). L’impegno cristiano avrebbe ridotto l’erronea comprensione europea della devastante natura del regime degli Assad.

Non si può riavvolgere la pellicola della storia, non si può dire che la storia avrebbe potuto prendere un corso diverso. Ma non lo si può neanche escludere, e questa era la sua speranza. Vedeva un federalismo non settario, non confessionale, perché i territori sono abitati da comunità diverse, sebbene l’una sia maggioritaria qui e l’altra là.

Ma costruendo legami personali e territoriali nell’azione comune, questo federalismo sarebbe stato possibile e avrebbe salvato la Siria da un ritorno alle camere stagne che oppongono drusi e sunniti, alawuiti e sunniti, per parlare delle grandi questioni degli scontri armati, dei massacri dell’oggi.

I sunniti, le vittime di Assad, andavano liberati dalla loro sete di vendetta nel riconoscimento del loro dolore, come oggi va fatto con gli alawiti e i drusi. Possibile che l’arabo, la lingua comune a drusi, alawiti e sunniti di Siria, non consenta la traduzione dell’altrui dolore? È quello, ritengo, che Paolo temeva, per la nuova Siria che aspettava già nel 2013, ma con il cuore lacerato.

La sua visione non era astratta, come le milizie tribali e confessionali di al Sahara non sono “la sola possibile realtà”. Tutti gli uomini e le donne della primavera avevano uno slogan nazionale: “uno, uno, uno, il popolo siriano è uno”. Con la scomodità che padre Sosa giustamente gli riconosce, padre Paolo ha scritto nel suo ultimo volume Collera e luce: “Ci sono sempre stati cristiani orientali che si sono fatti arruolare in progetti di rivincita, fossero le crociate, o, in seguito, le colonie. L’esercito francese del Levante era pieno di cristiani orientali. Ma in generale i cristiani del mondo musulmano sanno di essere perdenti dal punto di vista militare. La loro speranza è dunque legata al benvolere del sultano e alla disponibilità del buon vicinato […]

Da un certo punto di vista i musulmani comprendono l’atteggiamento di neutralità dei cristiani nei riguardi di un conflitto tra musulmani e ammettono anche la neutralità nella rivoluzione. Ma non accettano un appoggio esplicito alla violenza del regime nel nome di un sedicente diritto a farsi difendere, nel momento in cui l’autodeterminazione dei cittadini porterebbe, secondo i cristiani, alla vittoria dell’islam. Questa posizione li accomuna ai carnefici del regime”.

Così si capisce meglio anche il peso dell’infiltrazione jihadista e perché l’Isis sia stato definito “il nemico perfetto”, con molte evidenze aiutato ad emergere anche dal regime.

Mi sono soffermato su questo aspetto più che su quello teologico, molto vasto e complesso, ma credo importante aiutare a scovare qualcosa che aiuti a capire cosa vi sia nella sua pratica di uomo di dialogo che possa attenere alle parole di padre Sosa.

In Innamorato dell’islam, credente in Gesù c’è molto, ma a me ha sempre interessato un punto che si trova poche pagine dopo l’affermazione che “la cosa più sana che l’Islam ci ha portato è l’averci sconfitto in merito alla sacralizzazione del potere” bloccando la pretesa di costituire la società perfetta.

Chiaro, ma necessaria è la comprensione dell’attitudine: “Se a Deir Mar Musa ci guida l’attitudine di [Matteo] Ricci, sono quelle di Charles de Foucauld e di Louis Massignon le attitudini che ci ispirano più direttamente. Essi, infatti, si sono posti radicalmente la questione del significato dell’evento e della permanenza postcristiana dell’Islam e del suo valore nel quadro della storia salvezza centrata su Gesù Cristo.

Per Charles de Foucauld l’enigma della resistenza musulmana all’evangelizzazione spinge la Chiesa a una più forte radicolite d’imitazione dell’umiltà di Gesù, del suo spirito di accoglienza e servizio. Proprio il contrario del militantismo missionario di stile coloniale. Con Louis Massignon, si pone con chiarezza la questione propriamente teologica del valore della funzione dell’Islam nella storia della salvezza”.

da SettimanaNews del 30 luglio 2025

https://www.settimananews.it/profili/padre-dalloglio-a-dodici-anni-dal-sequestro/

 

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