Gaza alla fame, di Alessia De Luca

Dopo 22 mesi di combattimenti, raid aerei, sfollamenti ripetuti, spari sulla folla affamata stipata davanti ai centri di distribuzione degli aiuti, è la fame l’ultima, micidiale, arma di guerra scatenata contro i palestinesi a Gaza. Se le testimonianze e le immagini, agghiaccianti, che provengono dalla Striscia non fossero abbastanza, a certificare lo sterminio in corso, che colpisce soprattutto i più vulnerabili tra i civili – bambini, anziani e malati – sono le Nazioni unite. Il World Food Programme ha dichiarato questa settimana che la crisi alimentare nell’enclave ha raggiunto “nuovi e sorprendenti livelli di disperazione, con un terzo della popolazione che non mangia da diversi giorni consecutivi”. Il numero dei bambini morti di malnutrizione è aumentato drasticamente negli ultimi giorni. Molti non avevano patologie preesistenti, sono semplicemente morti di inedia. “Non so come altro definirla se non fame di massa, ed è causata dall’uomo, questo è molto chiaro”, ha dichiarato il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa da Ginevra. Alcuni giorni prima, era stata l’Agence France-Press (AFP) a lanciare l’allarme, avvertendo che “senza un intervento immediato, anche gli ultimi giornalisti a Gaza moriranno”, aggiungendo che la maggior parte di loro, “non ha più la capacità fisica di spostarsi nell’enclave per svolgere il proprio lavoro e che teme di “apprendere della loro morte da un momento all’altro”. In una lettera oltre 109 agenzie, tra cui Medici Senza Frontiere, Oxfam International e Amnesty International, denunciano che è il governo israeliano a impedire alle organizzazioni umanitarie di distribuire gli aiuti salvavita. “Abbiamo cibo. Abbiamo aiuti. Eppure non possiamo consegnarli. E il motivo è semplice: le autorità israeliane ci bloccano”, ha detto Bushra Khalidi diOxfam chiedendo un cessate il fuoco immediato, l’apertura di tutti i valichi di frontiera e il libero flusso di aiuti umanitari.

La matematica della fame?
Le accuse di usare la fame “come arma di guerra sono state puntualmente respinte da Israele che ha invece replicato che a Gaza arriva cibo a sufficienza e che la scarsità di cibo è orchestrata da Hamas e della cattiva gestione delle organizzazioni umanitarie. Eppure, sono gli stessi numeri forniti dalla Gaza Humanitarian foundation (GHF) a confermare la drammatica carestia che Israele si ostina a negare. La controversa organizzazione, che di fatto detiene il monopolio della distribuzione di aiuti nella Striscia, sostiene infatti di aver già consegnato più di 85 milioni di pasti. Ma, come spiega il quotidiano Ha’aretz, calcolando gli abitanti di Gaza, i pasti da fornire avrebbero dovuto essere più del quadruplo. “Questo divario è solo la punta dell’iceberg della matematica della fame”, scrive Ha’aretz, secondo cui i punti di distribuzione gestiti da GHF sono aperti appena 15 minuti al giorno. E gli orari di apertura non vengono mai resi noti in anticipo, costringendo migliaia di persone a circondare i centri tutto il giorno nella speranza di riuscire a procurarsi un po’ di cibo. In questo clima di incertezza che aleggia sull’intero sistema di distribuzione, le strade limitrofe rischiano di trasformarsi in trappole mortali. Ogni giorno decine di persone vengono colpite dal fuoco di soldati e contractors incaricati in teoria di gestire la sicurezza dei centri. Più di mille palestinesi sono stati uccisi nella calca presso dei centri di distribuzione o vicino ai camion che trasportavano cibo dal 26 maggio – data in cui la GHF ha cominciato a operare a Gaza – ad oggi.

Negoziati: è ancora stallo?
Intanto alla drammatica “guerra per fame” che si consuma nella Striscia, si alternano le notizie sempre meno incoraggianti che arrivano dai negoziati. Dopo l’ottimismo filtrato nei giorni scorsi i colloqui per un cessate il fuoco sono stati bruscamente interrotti da Israele e Stati Uniti che hanno annunciato il ritiro dei loro negoziatori da Doha. L’inviato statunitense Steve Witkoff ha accusato Hamas di “non agire in buona fede”. Secondo quanto riportato dai media israeliani, la proposta di Hamas includeva richieste sul numero di prigionieri da scambiare, sulle agenzie autorizzate a distribuire aiuti a Gaza e sulla fine definitiva del conflitto piuttosto che un cessate il fuoco temporaneo. Secondo il sito Axios, Hamas avrebbe chiesto a Israele di rilasciare 200 palestinesi che stanno scontando una condanna all’ergastolo per aver ucciso israeliani, anziché i 125 previsti dalla proposta, e 2mila palestinesi detenuti a Gaza dopo il 7 ottobre, anziché i 1200 proposti. Il Forum delle famiglie degli ostaggi israeliani ha criticato un’altra “occasione persa” per il rilascio di una quota dei 20 ostaggi ritenuti ancora in vita e dei corpi di quelli deceduti in oltre 20 mesi di sequestro dal 7 ottobre 2023. Il passo indietro di Usa e Israele ha già innescato le prime reazioni diplomatiche, con il premier britannico Keir Starmer che annuncia una chiamata di emergenza su Gaza con Francia e Germania. La fame a Gaza “è intollerabile”, ha detto Starmer, anticipando che i leder discuteranno di come “fermare le uccisioni e portare il cibo alle persone che ne hanno disperato bisogno”. Dal canto suo, il presidente francese Emanuel Macron ha annunciato che a settembre la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina.

Gaza: una vergogna per l’umanità?
L’annuncio di Macron, pur importante, rimane simbolico in assenza di sanzioni economiche, finanziarie o diplomatiche. E in generale, l’inazione dell’Europa di fronte allo sterminio dei palestinesi è al centro di critiche crescenti. Le richieste dell’Ue affinché gli aiuti arrivino a Gaza, mentre i palestinesi muoiono di fame a causa del blocco israeliano, “valgono ben poco senza sanzioni”, affermano le organizzazioni umanitarie. “I tweet non nutrono le persone”, ha affermato Bushra Khalidi, responsabile Oxfam, secondo cui è “sconcertante” che i vertici Ue diffondano post “vuoti” sui social media “invece di fare pressione su Israele affinché agisca”. Martedì scorso, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva definito “insopportabili” le immagini provenienti da Gaza, ribadendo le richieste dell’Ue affinché Israele faccia entrare più aiuti. La dichiarazione di von der Leyen era “attesa da tempo e, di fronte al genocidio e alla carestia programmata, è troppo poco e troppo tardi” ha commentato Hussein Baoumi di Amnesty International, sottolineando che a questo punto “Sospendere l’accordo e tutti gli scambi commerciali preferenziali con Israele è l’unico modo in cui l’UE può fare la differenza”. Da Bruxelles questa settimana si è levata una voce in difesa dei palestinesi. Ma non era quella dei vertici comunitari, bensì di Re Filippo del Belgio che, in un raro intervento pubblico ha condannato i gravi abusi umanitari a Gaza definendoli “una vergogna per l’umanità”. Il sovrano ha lanciato un appello più ampio: “L’Europa deve affermare la sua leadership con ancora più forza. Deve ergersi a baluardo contro le brutali lotte di potere a cui stiamo assistendo oggi e a una degna alternativa”. Il suo discorso ha avuto notevole risonanza anche oltre i confini del Belgio. “Le sue osservazioni non porranno fine alla guerra. Ma dovrebbero ricordare all’Europae al mondoche il silenzio di fronte all’ingiustizia equivale a complicità – osserva sul Guardian David Van Reybrouck – E che in tempi di codardia politica, un monarca può ancora essere un leader morale”.

Il commento, di Ugo Tramballi, ISPI Senior Advisor
“Nessuno dei 29 paesi firmatari della lettera contro la continuazione della guerra a Gaza, né del centinaio di agenzie dell’Onu che chiedono un cessate il fuoco ha mai ignorato l’aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023. Nessuno nasconde la brutalità terroristica di quel movimento. Ma dopo 22 mesi niente può giustificare il massacro che Israele compie a Gaza. Cosa sta accadendo in questo Paese? Il Paese nel quale il ministro della Difesa, Israel Katz, propone di chiudere 600mila gazawi in una ‘città umanitaria’ dalla quale gli abitanti non possono uscire nell’attesa della deportazione. È la lingua di “1984” di George Orwell, che dava alla guerra il nome di pace e alla persecuzione quello di libertà. Katz dà al Ghetto di Gaza il nome di città umanitaria.

ispionline.it/it/pubblicazione/gaza-alla-fame-214941

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